Transilvania International Film Festival - Pagina 4

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Transilvania International Film Festival
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el-limpiadorEl Limpiador (Il pulitore, 2012) è uno di quei film che fa sperare nella nascita di un cinema di grande qualità anche in paesi dove il numero di produzioni è molto limitato. Il peruviano Adrian Saba racconta con estrema delicatezza una storia bella, difficile in cui ogni cosa è perfettamente calibrata tra commedia e dramma senza mai toccare il registro del melò. E’ un film maturo e convincente. Un uomo il cui lavoro è quello di pulire e sterilizzare i luoghi in cui qualcuno è morto, è il più attivo tra i suoi colleghi dallo scoppio di una misteriosa epidemia che ha fatto molte vittime a Lima. Un giorno, durante la pulizia di una casa abbandonata, si imbatte in un bambino nascosto in un armadio la cui madre e morta e di cui non si conosce l’identità. L’uomo, poiché Polizia ed enti preposti non si muovono, è costretto moralmente a prendere in carico il bambino. Lo cura, lo aiuta prima a convivere poi a superare le mille fobie da cui è stato colpito, in una città che sta lentamente morendo. Cerca di accelerare i tempi quando scoprono che è contagiato e che ha pochi giorni di vita. Molto bella l’amicizia tra l’uomo ed il bambino che diventano inseparabili; finalmente ambedue hanno una ragione per vivere, si sentono desiderati ed utili. Víctor Prada, praticamente al suo debutto cinematografico, vive in maniera perfetta un personaggio difficile, una persona che prima di incontrare il bimbo non è nessuno, non ha mai realmente vissuto. Il bambino gli dice il nome sbagliato della zia perché vorrebbe vivere con lui, cerca disperatamente di essergli vicino anche quando inizia a stare male. Una bellissima fiaba presentata con successo in vari Festival ma che non riesce a trovare una corretta distribuzione.

salvajes3Los salvajes (I selvaggi, 2012) è un film non facile, spesso sgradevole, che racconta con onestà una storia di emarginazione giovanile. Diretto dall’esperto regista argentino Alejandro Fadel, ha come unico grande e vero difetto l’eccessiva lunghezza (oltre 2 ore) che toglie concentrazione ed interesse a quello che succede sullo schermo. Cinque ragazzi violenti fuggono dal riformatorio di una provincia argentina vessata dalla povertà. Viaggiano a piedi attraverso le colline e compiono un centinaio di chilometri con la promessa di uno di loro di giungere a una nuova casa. Armati, cacciano per nutrirsi, rubano, uccidono. Quando finalmente giungono al fiume, simbolo di libertà e di speranza, esplode carnalmente il desiderio tra uno di loro e l’unica ragazza, combattendo uno con l'altro per fare l'amore: il loro viaggio presto diventa un mistico racconto di coraggio, speranza, viltà, delusione mortale. E’ un film dove non esiste l’ottimismo, in cui la certezza è quella che o si riesce ad uscire da quella spirale di povertà o è meglio morire. L’emarginazione è la base di ogni cosa, la violenza l’unico mezzo che conoscono per sopravvivere: sono ragazzini cresciuti troppo in fretta, amorali, incapaci di pensare realmente ad una vita normale. Bellissima la foto, interessante l’interpretazione dei giovani attori alcuni dei quali non professionisti, valida la recitazione degli adulti a cui sono affidati personaggi chiave ma che hanno poche battute per disegnare le figure a loro affidate. La splendida natura incombe e sottolinea, fa paura e dona gioia, sa essere madre e matrigna. Una presenza che condiziona ogni cosa.