Transilvania International Film Festival

Stampa
PDF
Indice
Transilvania International Film Festival
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Tutte le pagine

http://tiff.ro/

logo

Dopo un inizio convenzionale con il film di Pedro Amodovar Gli amanti passeggeri (Los Amantes pasajeros, 2012), la dodicesima edizione del Transilvania International Film Festival ha dimostrato le sue caratteristiche di originalità iniziando a presentare corti basati solo su horror, thriller e fantascienza, opere in concorso - unicamente di giovani autori al primo o secondo titolo - e film con tema la morte destinati al premio della critica assegnato dalla giuria della FIPRESCI. Saranno dieci giorni di proiezioni - 31 maggio / 9 giugno – distribuite su dodici schermi oltre a una miriade di concerti di musica - dal jazz alla classica, dalla balcanica alla country – in una città in festa dove tutto parla di cinema, d’arte e di grande intrattenimento.

blancanieves 03Come primo evento speciale è stato presentato Blancanieve (Biancaneve, 2012) di Pablo Berger. Cinquantenne al suo secondo film, ha impiegato otto anni di lavoro per realizzare questa singolare opera girata prima de The Artist (2011) che ha alcune caratteristiche in comune, non ultimo l’uso del bianco e nero nonché del muto. Ha ottenuto diciotto nomination per l'edizione 2013 dei Premio Goya, il principale riconoscimento cinematografico spagnolo, vincendo dieci riconoscimenti, fra i quali miglior attrice e miglior attrice rivelazione. E’ stato presentato con successo al Festival di Torino e a quello di Montpellier. La storia si regge su una piacevole commistione di temi con chiare citazioni di almeno tre fiabe. Il film è girato in sedici millimetri per la maggiore duttilità in confronto al trentacinque millimetri. E’ un’pera che predilige come tipo di narrazione l’opera lirica, con giochi interessanti che frammentano la melodrammacità con toni lievi da commedia, il tutto sormontato, condotto, indirizzato da una colonna sonora da cui in parte si è ispirato il regista per realizzare alcune scene particolari. La storia è ambientata nella Spagna degli anni venti dove un notissimo toreador ha sei combattimenti lo stesso giorno e nell’ultimo, a causa del flash di un fotografo, viene travolto e gravemente ferito dal toro. Non solo, la moglie incinta che assiste alla prova del marito, partorisce in anticipo e muore. L’infermiera che cura in ospedale il ferito, rimasto paralizzato, riesce a farsi sposare, ma poco lo cornifica con l’autista e affida la figlia alla nonna materna. Quando l’anziana muore la matrigna accoglie la ragazza in casa trasformandola in una sorta di Cenerentola e, quando scopre che è riuscita a vedere il padre, prima ordina all’autista di ucciderla e, in un secondo tempo, ammazza il marito. La ragazzina è trovata semi annegata da sei saltimbanchi nani che si esibiscono in una comica corrida. Lei ha perso la memoria e vive felice con loro che, pensando alla fiaba dei fratelli Grimm, la chiamano Biancaneve fino a quando il toreador del gruppo non viene incornato e lei, per salvarlo, si trasforma in torero. Un impresario la vede e la fa esibire nelle più grandi arene, compresa Siviglia dove vive la matrigna. Qui ritrova la memoria mentre combatte, non con un torello come avrebbe dovuto, ma con un bestione da mezzo quintale. Vince e la folla le dona denaro, fiori, cappelli e, la perfida assassina del padre, una mela avvelenata. Lei la mangia e diviene una bella addormentata. Si sorride, ci si commuove ma, soprattutto, ci si accorge di essere di fronte ad un film davvero originale in cui tutti capiscono l’importanza del progetto e vi si dedicano in maniera completa.
weekend22Per la seconda giornata dedicata ai corti romeni sono stati presentati alcuni cortometraggi due dei quali particolarmente interessanti. Weekend la mare (Fine settimana al mare, 2013) di Răzvan Tache racconta di due amici per la pelle che vogliono trascorrere il loro week-end al mare. Non hanno abbastanza soldi, così decidono di ricattare un vicino di casa che ha un oscuro segreto e che loro hanno spiato nei giardini pubblici. Il segreto ne rivela un altro e l’amicizia viene messa alla prova. Infatti, ad essere ricattato ora è l’amante della sorella di uno dei due e la donna, abbandonata, tenta il suicidio. Giocando con i toni del noir e del thriller, il corto ha un finale difficilmente immaginabile che fa accapponare la pelle.
wasteWaste (Perdere, 2012) di Anton Groves racconta di giovane perditempo che vive tra alcool, droga e lavoro ottenuto solo con l’aiuto della madre. A un certo punto, la sua vita fatta di stravizi crea piccoli mostri, che vivono dentro e intorno alla sua vita, condizionando sempre di più la sua emarginazione. Ignaro, continua la sua triste vita, fino a quando il destino gli sorride e lui incontra una bella ragazza. La pattumiera, l’armadio, il frigorifero, il water si trasformano in mostri mangia tutto che trasformano la sua sciatteria in momenti di forte emozione visiva, grazie ad un gioco di colori fatto con grande fantasia ed una buona dose di ironia.


hors le mursDue titoli interessanti e difficili proposti per la sezione This is the End dedicata a un modo diverso di intendere il tema morte, il primo parla della fine di un rapporto, il secondo dell’incapacità di staccarsi da un caro che è deceduto convivendo col suo spirito e maturando piano piano il lutto. Hors les Murs (Fuori le mura) è opera prima del regista belga David Lambert. Con grande delicatezza, anche se con scene di vera passione, racconta una vicenda di acquisto della coscienza della sua omosessualità per un giovane musicista. Paulo è un pianista che lavora alla Cineteca di Bruxelles, eseguendo gli accompagnamenti musicali dei film muti, vive con la bella fidanzata un rapporto che non conosce da tempo la passione. Quando Ilir, un giovane di origine albanese che lavora in un bar, lo porta a casa sua perché completamente sbronzo, il suo piccolo e rassicurante universo viene sconvolto. Bassista in un gruppo rock, spavaldo e dannato, l’uomo irrompe come un terremoto nella vita dell'insicuro e fragile Paulo. Il percorso di formazione di un uomo alla ricerca dell'amore, ma soprattutto della sua vera identità è legata alla condizione omosessuale. Tuttavia, la crescita del protagonista potrebbe coincidere con quella di qualsiasi uomo o donna alle prese con la faticosa e travagliata ricerca del proprio posto nel mondo. L'iniziazione sessuale e sentimentale di Paulo non è altro che un avviamento alla vita, con tutto ciò che questa comporta: dolore, senso di inadeguatezza, difficoltà nell'accettarsi, ma anche gioia e soprattutto autenticità. Solo dopo aver gettato ogni maschera è possibile donarsi completamente a un'altra persona e confessarle il proprio bisogno di cura. Ma non può esserci libertà in un rapporto basato sulla dipendenza e sull'ossessione di annientare nell'altro le proprie fragilità. La storia d'amore tra Paulo e Ilir conoscerà è drammaticamente altalenante in un incessante saliscendi dal paradiso all'inferno. Il merito della sceneggiatura, prima, e della regia, poi, è quello di spingere sull'acceleratore delle emozioni, senza mai banalizzare o involgarire, facendo vivere allo spettatore il turbinio della passione che satura e lacera i due amanti, con la complicità di un accompagnamento rock intimista che accentua e valorizza la sensualità o lo strazio di alcune scene. Bello, difficile perché non concede sconti allo spettatore, affascinante per la storia d’amore raccontata, perfetto nella costruzione dei momenti più difficili. I giovani Matila Malliarakis e Guillaume Gouix sono i protagonisti convincenti che hanno lavorato assieme al regista per definire ancora meglio i loro personaggi. Da vedere senza pensare ad un film sull’omosessualità: racconta dell’amore, quello vero.
livingЖить - Living (Vivere, 2012) del russo Vasily Sigarev è un film tra l’onirico ed il visionario, la fantasia e l’allucinazione, l’amore e la follia. Un ritratto esistenziale dei protagonisti costruito attraverso varie storie, figure che vivono nella provincia russa e stanno trascorrendo un duro inverno. Una madre vuole riunirsi alle sue figlie gemelle, morte in una brutta situazione e per fare questo le disseppellisce, le lava, le mette in un luogo dove gli altri non le possano trovare; quando si rende conto che non può fare nulla, si suicida facendo esplodere una bombola di gas. Una giovane e anticonvenzionale coppia decide di sposarsi in chiesa, ma subito dopo la cerimonia il destino mette alla prova il loro amore nel modo più brutale facendo morire per una rapina il giovane. Lei crede che il morto sia tornato a casa malconcio, lo lava, lo mette a letto ma lui in realtà non c’è. Un ragazzo vuole vedere suo padre separato, nonostante le violente proteste di sua madre, per fare questo è disposto a fare tutto, proprio tutto. Ognuno di questi personaggi vive attraverso la propria allucinata realtà che li porta a credere per amore di potere sconfiggere il destino. Un film difficile da intendere in prima battuta, ma quando si giunge sulla stessa lunghezza d’onda del regista ci si emoziona e si rischia di credere possibile l’impossibile. La bravura di Vasily Sigarev sta soprattutto nell’essere riuscito a coinvolgere emotivamente ed a fare vivere come possibile l’impossibile. Giunto a realizzare questo suo secondo film dopo tre anni da Volchok (Oltre il fondo, 2009) dimostra di essere autore interessante anche se sicuramente di nicchia.


panihida-la-locandina-del-filmProsegue la maratona di film che riempiono completamente la giornata di chi a un festival chieda titoli meno noti, rassegne curiose, la voglia di riscoprire il cinema vero. Panihida (2012) è diretto da Ana Felicia Scutelnicu con la collaborazione del direttore di fotografia Tito Molina. Nonostante la giovanissima età, la regista Moldava ha già al suo attivo vari documentari. Questo titolo segna il suo passaggio alla fiction, anche se in realtà sarebbe più corretto definirlo un film-doc. In un piccolo villaggio moldavo anziana donna muore, lasciando il figlio e la nipote. Secondo la tradizione, l'intero villaggio la piange e le dice addio. Durante una notte di tempesta il corteo funebre percorre una strada verso il cimitero. I vecchi uomini devono portare la pesante bara sui sentieri pietrosi fino alla collina sacra. Il giorno dopo il sole è alto e la strada sembra infinita: contro la sete c'è il vino e contro il dolore i canti tra allegria e malinconia. La gioia si mescola alla tristezza e alla fine, la vita vince sulla morte. Forse eccessivamente lungo, racconta attraverso l’interpretazione di attori non professionisti tradizioni che vanno sempre più scomparendo.
la-cinquieme-saison locandinaLa cinquieme saison (La quinta stagione, 2012) è una coproduzione olandese, belga e francese diretta da Peter Brosens e Jessica Woodworth che ha avuto ottimo riscontro all’ultima edizione del SEMINCI di Valladolid, vincendo il premio speciale della Giuria e quello della FIPRESCI. E’ opera interessante che mescola tradizioni agricole al credo del malocchio, all’incapacità di avere spiegazioni naturali a eventi straordinari, al desiderio di trovare un capro espiatorio per giustificare ogni cosa. In un villaggio tranquillo e felice, una misteriosa calamità colpisce la comunità: il falò che scaccia l’inverno non si accende e non giunge la primavera. Il ciclo della natura sembra essersi irrimediabilmente interrotto. I semi non crescono, le mucche si rifiutano di dare il latte, le api non escono dall’alveare. C’è chi scappa, chi si uccide, chi muore di crepacuore. Alla fine trovano un capro espiatorio che, come ai tempi delle streghe, sarà sacrificato per tranquillizzare la comunità. Splendide le livide immagini, molto brava la giovanissima Aurélia Poirier, ma, a tratti, la mancanza di azione può provocare una certa noia.
pirati del mar neroThe Last Black Sea Pirates (Gli ultimi pirati del Mar Nero, 2013) racconta con toni da documentario una favola che nasconde critica sociale e politica. Opera prima del bulgaro Svetoslav Stoyanov è molto bella nella presentazione fatta da lui stesso al pubblico, quantomeno discutibile nei risultati finali. Si parla di cementificazione, di persone foraggiate per non vedere o per aiutare in loschi affari, ma tutto più rimane nelle intenzioni che non nel reale sviluppo del film che si potrebbe definire come tentativo di cinema verità in cui si usa troppo l’artificio della narrazione fantasy. Per venti anni, il capitano Jack The Whale e il suo equipaggio hanno bevuto, sognato di riprendere le ricerche di un tesoro sepolto nel golfo di Karadere, spiaggia incontaminata che chiamano casa, ma qualcun altro ha avuto sentore di quella meraviglia naturale e pensato di costruirvi un mega villaggio turistico con hotel, ville e porticciolo. Quando la notizia del cambiamento imminente comincia a diffondersi in quest’oasi remota, la comunità degli ex pirati perde immediatamente coesione. Dubbi erodono le fondamenta della reciproca fiducia, il troppo bere genera conflitti, le tensioni sono in aumento. Attori quasi tutti non professionisti che donano freschezza all’interpretazione ma privano di vis drammatica la vicenda, una storia d’amore tra un anziano pirata e donna di mezza età, cattivi da barzelletta che vivono in un mondo parallelo fatto solo di furbizia e disonestà. Le intenzioni erano più che buone, ma il risultato finale è quantomeno discutibile.


el-limpiadorEl Limpiador (Il pulitore, 2012) è uno di quei film che fa sperare nella nascita di un cinema di grande qualità anche in paesi dove il numero di produzioni è molto limitato. Il peruviano Adrian Saba racconta con estrema delicatezza una storia bella, difficile in cui ogni cosa è perfettamente calibrata tra commedia e dramma senza mai toccare il registro del melò. E’ un film maturo e convincente. Un uomo il cui lavoro è quello di pulire e sterilizzare i luoghi in cui qualcuno è morto, è il più attivo tra i suoi colleghi dallo scoppio di una misteriosa epidemia che ha fatto molte vittime a Lima. Un giorno, durante la pulizia di una casa abbandonata, si imbatte in un bambino nascosto in un armadio la cui madre e morta e di cui non si conosce l’identità. L’uomo, poiché Polizia ed enti preposti non si muovono, è costretto moralmente a prendere in carico il bambino. Lo cura, lo aiuta prima a convivere poi a superare le mille fobie da cui è stato colpito, in una città che sta lentamente morendo. Cerca di accelerare i tempi quando scoprono che è contagiato e che ha pochi giorni di vita. Molto bella l’amicizia tra l’uomo ed il bambino che diventano inseparabili; finalmente ambedue hanno una ragione per vivere, si sentono desiderati ed utili. Víctor Prada, praticamente al suo debutto cinematografico, vive in maniera perfetta un personaggio difficile, una persona che prima di incontrare il bimbo non è nessuno, non ha mai realmente vissuto. Il bambino gli dice il nome sbagliato della zia perché vorrebbe vivere con lui, cerca disperatamente di essergli vicino anche quando inizia a stare male. Una bellissima fiaba presentata con successo in vari Festival ma che non riesce a trovare una corretta distribuzione.

salvajes3Los salvajes (I selvaggi, 2012) è un film non facile, spesso sgradevole, che racconta con onestà una storia di emarginazione giovanile. Diretto dall’esperto regista argentino Alejandro Fadel, ha come unico grande e vero difetto l’eccessiva lunghezza (oltre 2 ore) che toglie concentrazione ed interesse a quello che succede sullo schermo. Cinque ragazzi violenti fuggono dal riformatorio di una provincia argentina vessata dalla povertà. Viaggiano a piedi attraverso le colline e compiono un centinaio di chilometri con la promessa di uno di loro di giungere a una nuova casa. Armati, cacciano per nutrirsi, rubano, uccidono. Quando finalmente giungono al fiume, simbolo di libertà e di speranza, esplode carnalmente il desiderio tra uno di loro e l’unica ragazza, combattendo uno con l'altro per fare l'amore: il loro viaggio presto diventa un mistico racconto di coraggio, speranza, viltà, delusione mortale. E’ un film dove non esiste l’ottimismo, in cui la certezza è quella che o si riesce ad uscire da quella spirale di povertà o è meglio morire. L’emarginazione è la base di ogni cosa, la violenza l’unico mezzo che conoscono per sopravvivere: sono ragazzini cresciuti troppo in fretta, amorali, incapaci di pensare realmente ad una vita normale. Bellissima la foto, interessante l’interpretazione dei giovani attori alcuni dei quali non professionisti, valida la recitazione degli adulti a cui sono affidati personaggi chiave ma che hanno poche battute per disegnare le figure a loro affidate. La splendida natura incombe e sottolinea, fa paura e dona gioia, sa essere madre e matrigna. Una presenza che condiziona ogni cosa.


nordvest - plakat 895248mNella rassegna dei film in competizione per il trofeo Transilvania, tutte opere prime o seconde, vari titoli interessanti che hanno incontrato, soprattutto, il gradimento del pubblico dei giovani. A parte Wadjda (La bicicletta verde, 2012) della giovanissima regista araba Haifaa al Mansour già uscito con successo in Italia, gli altri titoli non sono ancora giunti sui nostri schermi. Per ora è il film più gradito dal pubblico, che potrebbe essere il vincitore del premio popolare è Nordvest (Nord Est, 2013). Un’opera non originalissima come vicenda ma che il regista danese Michael Noer è riuscito a raccontare col giusto distacco, evitando quasi sempre le cadute nel facile melodramma. Il Nordvest è una delle zone più povere e multietniche di Copenaghen. Casper vive qui con la giovanissima madre, il fratello minore e la sorella più piccola che adora. Ha 18 anni e per sbarcare il lunario vendere merce rubata. Quando il crimine organizzato giunge nel Nordvest, al ragazzo è offerta la possibilità di divenire un piccolo boss. Presto si trova completamente assorbito nel mondo della droga e della violenza vista e della prostituzione. Quando si accorge che il gioco è troppo pericoloso, non ha più possibilità di fare marcia indietro. Ci sono i classici elementi di questo tipo di film pseudo sociologico: il padre che non è presente, la madre che lavora onestamente ma non riesce a mantenere la famiglia, il figlio maggiore che, a fin di bene, si impegna sempre di più nella micro delinquenza. In questo caso, c’è anche un fratello minore che lo imita e una sorella che trasferisce nel ragazzo la figura del padre. Detto questo, la bravura di Michael Noer, che aveva debuttato col riuscito R (R, 2010) su di alcuni carcerati e le loro storie, sta nel mantenere il distacco da quanto avviene sullo schermo, evitando di giudicare o di parteggiare. Suono in presa diretta, macchina a mano, colore livido, musiche molto hard.
callgirlCall Girl (Call Girl, 2012) è diretto dal regista svedese Mikael Marcimain, qui alla sua opera prima, ha trattato con grande bravura e levità un tema non facile. Difficolta su difficoltà, alla prostituzione minorile aggiunge l’aggravante di una vicenda realmente accaduta in Svezia pochi anni orsono, a Stoccolma alla fine degli anni settanta. Dall’esterno la Svezia viene presa come esempio ed invidiata per la  neutralità politica, il no al nucleare, la liberazione della donna, la rivoluzione sessuale. Tuttavia sotto questa apparente perfezione vi sono desideri meno condivisibili che hanno segretamente lo stesso livello di interesse da parte dei politici. Nei pressi dei palazzi del potere prolificano case d’appuntamento anche con minorenni, il mondo seducente scintillante e marcio dei club del sesso, strip show, discoteche e appartamenti usati da escort di lusso per le loro illecite attività. Il  film racconta la storia della quattordicenne Iris che vive in una casa protetta. Con la cugina scappa spesso in città e viene notata da una maitresse che con estrema facilità le convince che quel mondo è solo denaro e felicità, tra ricchi clienti, padri di famiglia, politici, addirittura ministri. A due detective viene dato l’incarico di indagare su questi loschi traffici ma, quando scoprono che ci sono nomi illustri, sono messi in condizioni di non creare problemi. Il film è ben girato, ma ha il difetto di durare oltre due ore, togliendo un minimo di concentrazione da parte del pubblico. Sofia Karemyr è brava e spontanea all’interno di un cast ben calibrato.


afichetantaguaTIFF si conferma come un festival in crescendo che sta presentando opere sempre interessanti, pure coi limiti che spesso sono presenti nelle opere prime di autori a cui manca la completa capacità di trasfondere in immagini le proprie idee. Tanta agua (Molta acqua, 2012) ne è un chiaro esempio. Diretto da due giovani autrici uruguayane, Ana Guevara Pose e Leticia Jorge Romero, ha grande delicatezza nel trattare il tema dell’adolescenza ma, nello stesso tempo, varie volte dimostra una certa insicurezza nella costruzione drammaturgica. Lucia è una quattordicenne particolarmente dispiaciuta di dovere trascorrere una settimana di vacanza con il padre divorziato ed il fratellino. Non le piace il suo tono sempre inquisitorio e, a peggiorare le cose, continua a piovere costringendo alla chiusura per motivi di sicurezza la piscina, praticamente l’unica attrazione della zona. Mentre il fratello passa il tempo con il padre, lei cerca disperatamente esperienze più eccitanti. Dopo poco incontra un ragazzo più grande di lei che le propone un giro col ciclomotore e poi la coinvolge in una festicciola fuori del paese. Timori e speranze della ragazzina vengono raffreddati dalla triste realtà. Gradevolissimi i giovani protagonisti, migliorabile la sceneggiatura.
i-catch-a-terrible-cat-film-posterUna bellissima sorpresa è giunta da un film giapponese, I Caugt a Terrible Cat (Ho preso un gatto terribile, 2013), gradevolissima commedia con un humor che non conoscevamo agli abitanti del paese del sol levante. Diretto con bravura e grande lievità da Rikiya Imaizumi, che ne è anche lo sceneggiatore, questo dramma misto a commedia convince per un intreccio alla Georges Feydeau (1862 – 1921) che funziona in maniera perfetta. Norifumi Takada è un autore che ha pubblicato una serie di romanzi di successo, ma non ha più scritto da quando sua moglie è morta. Si avvicina il suo sessantesimo compleanno e per un insieme di coincidenze, si trova ad essere ospitato in casa di una bella barista che le offre il suo amore ma che poi vede in lui un padre. La ragazza ha un boy friend che in realtà è sposato con la figlia dello scrittore. Intanto, un giovane autore che considera l’uomo suo maestro, vuole sposare una ragazza che non ama ma che crede di avere messo incinta. Lui, però, è amico ed innamorato della cameriera. Detto questo, si può immaginare quante cose possano accadere in 130 minuti. Si sorride, si prova pena per l’anziano, si ha l’impressione di scoprire come sia sviluppata la società nipponica.
ya-tozhe-hochu-me-too-russian-alexeia-Ya tozhe khochu (Anche io, 2012) è un film russo sulla fine del mondo con uno sviluppo non sempre convenzionale e personaggi capaci di creare forti emozioni. Presentato nella sezione competitiva That is the End, ha ottenuto grosso riscontro da parte del pubblico. Un violento tenente della Polizia, un prete anticonformista ed un gruppo di amici partono per raggiungere una lontanissima località per incontrarsi con la morte o, forse, con la vita.
Danno un passaggio ad una prostituta che poi, per potere avere il diritto di stare con loro, attraversa nuda campi innevati. Per strada incontrano molti morti ed a questi si aggiungono alcuni di loro. Giunti nel luogo, una torre con una luce dice a loro mille cose o, forse, nulla. Diretto con grande bravura da Alexei Balabanov, lo stesso che nel 1997 aveva firmato Brother, è opera che non lascia indifferenti. Ottimi gli interpreti, bellissime le immagini. Dopo questo film, il regista è immaturamente mancato


iamdeadiosonomortaEvil shots è la rassegna di dodici corti presentati in concorso al TIFF 12, Transilvania International Film Festival di Cluj in Romania. Prevalenza di opere spagnole, una italiana, le altre un po’ di tutto il mondo, incluso Nord e Sud America nonché Svizzera a dimostrazione che il mondo della paura non ha confini. Alexis (2012) è un titolo che proviene dalla Spagna. Diretto da Alberto Evangelio racconta di bambino di 9 anni che ha ucciso i genitori. Dietro a questo tanto tragico fatto vi è la presenza di un team di perfide persone che piano piano lo hanno trasformato in macchina da morte. Ma le macchine, nei film, si ribellano quasi sempre ai loro creatori. Semplice, mai banale, ben costruito.

Io sono morta (I am dead, 2012) è corto un po’ troppo pretenzioso firmato dall’italiano Francesco Picone che ha annunciato il suo possibile passaggio al lungometraggio con una storia sugli zombie. Una coppia di amici va in gita in montagna, lui è innamorato e non ricambiato. Quella che doveva essere una tranquilla giornata di relax si trasforma ben presto in un incubo… e lei ha ragione a dire varie volte al ragazzo che non sa realmente chi sia, che proprio non la conosce. Molte citazioni, sceneggiatura debole, voci del doppiaggio aggiunte in maniera non efficace.

The End (La fine, 2012) è diretto dal romeno Marius Roşu e racconta del martirio del Uomo grasso, i suoi aguzzini senza nome e senza volto sono implacabili nei loro sforzi, portandolo alla pazzia. Un classico senza troppa fantasia ma gradevole nella costruzione.

Fist of Jesus (Pugno di Gesù, 2012) degli spagnoli Adrián Cardona e David Muñoz è goliardicamente irriverente, con un gioco intelligente che spesso spiazza lo spettatore; con toni da horror classico, trash assoluto, pochi mezzi, tantissime idee. Gesù, nella sua enorme bontà, fa risorgere Lazzaro ma col piccolo problema che diviene uno zombie. Uccide, infetta e Gesù, con l’aiuto del fidato Giuda e della sua moltiplicazione dei pesci, elimina centinaia di esseri trasformati. Alla fine, per consolarsi, dice che ha provveduto ad inviare in cielo tante anime. Ben costruito, collaborano gratis oltre 200 persone.

wallThe Tale Of The Wall Habitants (Il racconto degli abitanti del muro, 2012) del serbo Andrej Boka ha creato un poetico ed onirico film che merita di essere visto. Colori tendenti al grigio, tanta fantasia, un racconto equilibrato in ogni sua parte. Il conflitto tra le porte e le finestre minaccia di degenerare in una vera guerra. Siamo in un borgo antico dove si accorge di questa nuova situazione solo una bimba. Le finestre che lanciano contro le porte i vasi di fiori, le porte che rispondono spingendo verso l’alto le bottiglie di latte che infrangono i vetri. Non esiste un vincitore, in questa lotta tutti perdono.

Necrolovers (Amanti della necrofila, 2012) del cileno Victor Uribe è opera composita e compiuta in cui un’ottima tecnica si sposa con un valido costrutto narrativo. Con l’aiuto di una forza femminile un folle riesce a fuggire da ospedale psichiatrico. La forza lo guida fino a un vecchio cimitero dove scopre saccheggiatori e dissacratori di tombe. Goticheggiante, riesce a creare la paura attraverso immagini mai trash.

Dood van een Schaduw (Morte di un’ombra, 2012) del belga Tom Van Avermaet è sicuramente una delle più interessanti opere presentate e dimostra che in pochi minuti si possono costruire grandi emozioni. Bloccato nel limbo tra vita e morte, soldato caduto durante la guerra deve raccogliere con una particolare macchina fotografica le ombre di persone che stanno per morire così potrà avere una seconda possibilità di vita e di amore. Ma quando è vicinissimo al suo risultato, si sacrifica e dona questa possibilità ad una coppia. Bello, dolce, affascinante riesce a dare l’emozione di un mondo parallelo possibile anche se improbabile.

Hotel (2012) dello spagnolo Jose Luis Aleman è un classico horror che ha la particolarità di avere un solo interprete. Un uomo sfinito cammina attraverso il deserto, riesce a malapena a stare in piedi, affamato e assetato. In lontananza, intravedere un hotel ridotto a rudere. Entra e ha la sorpresa di trovare tavolate imbandite di ogni cosa buona. Si abbuffa, è felice, fino a quando non si vede allo specchio.

kf-ani how-to-raise-the-moon 3How to raise the moon (Come sale in cielo la luna, 2012) è una coproduzione tedesca danese diretta da Anja Struck. E’ un’opera di animazione resa raffinata dall’uso del bianco e nero con personaggi che possono fare ricordare “Alice nel paese delle meraviglie”. In un mondo parallelo le cose morte o statiche riacquistano vigore in una lotta tra sonno e morte per tornare a vivere. La lotta avviene per portare alla vita una giovane donna.

Charlie Is My Darlin (Charlie Manson è il mio idolo, 2012) è interpretato con molta bravura da Stephen Cardwell un autentico bad boy delle bande delle Harley Davidson che in poco tempo è stato utilizzato in una dozzina di shorts per il suo preoccupante volto. Racconta dell’incontro tra Roman Polanski e l’assassino della moglie, volendo dimostrare che a seconda del tipo di persona la reazione ad una efferata uccisione può essere notevolmente differente. In pratica, un uomo a cui è stata brutalmente assassinata la moglie da un serial killer vuole vendetta. E’ la natura umana. Ma se fosse Roman Polanski potrebbe vendicarsi in modo artistico. Diretto con grande equilibrio dall’artista visivo scozzese Mick Davis è stato molto contestato dove è stato presentato, ma molto applaudito a Cluj dove, forse, è stata capita la bellezza dell’opera.

The Captured Bird (L’uccello catturato, 2012) è una produzione canadese diretta da Skyler Wexler. Siamo di fronte ad una fiaba dark e poetica che vede una bambina disegnare figure di persone col gesso sul suolo di un parco giochi. Nota una insolita crepa nel pavimento da cui sta colando un liquido nero misterioso, che sembra uscire da un palazzo molto tetro. All'interno, muri che sanguinano bianco e tentacoli che emergono dal soffitto cercando di toccarla. Assiste alla nascita di cinque esseri soprannaturali terrificanti che minacciano l'esistenza del suo mondo. Un finale a sorpresa per un film povero come budget ma molto ricco di idee.

Zimmer 606 (Stanza 606, 2012) è un perfetto prodotto professionale realizzato dallo svizzero Peter Volkart, il più vecchio dei registi presenti avendo 56 anni. Designer, grafico, realizzatore di corti, ha studiato alla New York University cinema. Tutto è perfetto, ogni cosa dona emozioni in una costruzione classica del thriller a cui si aggiungono vari elementi di fanta - realtà. Un commesso viaggiatore entra in hotel fatiscente in cui non ci sono stanze libere tranne una che mai viene offerta ai clienti. La camera della mansarda numero 606 nasconde molte insidie. Qualcosa sta accadendo al di là del muro; a creare rumore, vibrazioni, strani suoni non sono le calde effusioni di due amanti ma un mondo parallelo in cui esiste un’apparente normalità salvo che è in netto contrasto con la nostra. L’uomo deve affrontare una notte molto turbolenta, notte che inizia una sera di fine autunno e finisce a primavera. Bello, sicuramente da vedere.


ship-of-theseus-poster3Sale sempre piene, pubblico partecipe anche ai confronti con registi ed attori alla fine delle proiezioni, il piacere di avere visionato opere quasi sempre interessanti, spesso ben riuscite. Difficile trovare tanti titoli così gradevoli tutti assieme, soprattutto se si pensa che erano presenti film di cinematografie meno note come Perù, Uruguay, Tailandia, Cile e via di seguito; oltretutto moltissime erano opere prime di cui poco si era sentito parlare in altri festival. Il vincitore è stato il film indiano Ship of Theseus (Nave di Teseo) di Anand Gandhi, un’opera prima bene riuscita in cui, in oltre due ore, si raccontano tre storie distinte ma unite dal desiderio o dalla necessità di ricostruire se stessi. Una fotografa in crisi cerca se stessa nella foto che scatta, un monaco deve affrontare non il dolore altrui ma la propria malattia, un giovane agente di cambio scopre il mondo dei trapianti. Il trentenne Anand Gandhi, qui al suo primo film come regista, ha iniziato a scrivere e dirigere spettacoli a scuola all'età di 12 anni. A 19 anni, ha scritto oltre 150 episodi di due soap opera televisive, poi ha viaggiato in tutta l'India per esplorarla, conoscere persone, la scrittura, ha partecipato e anche condotto una serie di seminari su argomenti che variano dalla economia gandhiana alla fisica quantistica. Grande amante della filosofia, ha inserito nel film le sue personali esperienze di vita.
La sezione più stimolante è stata quella Shadow – Evil Shots dedicata ai cortometraggi in cui più di un titolo merita la massima attenzione con autori particolarmente giovani (alcuni ventenni) che fanno bene sperare in un cinema futuro ricco di idee. Per contro, quella più deludente era legata alla produzione locale dei cortometraggi con opere molto didattiche normalmente prodotte da Università e realizzate come compiti di fine corso da autori che spesso mancano di un vero linguaggio cinematografico. rioEccezione per il bellissimo e molto triste Rio 2016 di Bianca Rotaru, un documentario che racconta delle bambine chiuse in collegio ormai da un paio di anni e che rimarranno relegate a questo loro destino, alla fine forse di gloria, fino alle olimpiadi di Rio de Janeiro: l’infanzia loro negata è per tentare di ripetere le gesta di Nadia Comăneci mito di un paese che ricorda con orgoglio quella quindicenne che nel 1976 a Montreal aveva vinto tre medaglie d’oro nella ginnastica.
Nei film in competizione alcuni già presentati in altri festival o addirittura uno già giunto anche in Italia - Wadjda (La bicicletta verde) di Haifaa Al-Mansour vincitore del premio del pubblico – erano comunque interessanti. Su 12 titoli proposti almeno 9 meriterebbero la circuitazione internazionale.
Molto bene scelti titoli per la sezione in competizione This is the End in cui il premio era assegnato dalla FIPRESCI. La morte vista come fine di una vita, chiusura di un rapporto, il fallimento. Nonostante il tema non certo allegro, i vari film hanno ottenuto molto interesse anche da parte del pubblico che ha dimostrato di capire il filo rosso filosofico che univa ogni titolo.
Particolarmente interessante la proposta di Manasse di Jean Mihail, un film romeno del 1925, che racconta di un matrimonio combinato per bella ereditiera ebrea che vorrebbe sposare un giudice cattolico e a cui viene imposto ricco commerciante della sua stessa fede religiosa. La location per la proiezione era la corte di un antico castello che ha donato ulteriore fascino a questa proposta. L’accompagnamento musicale dal vivo è stato realizzato dai Minima, un gruppo inglese specializzato in questo tipo di operazioni.
Il tempo non è stato quasi mai clemente, mettendo a dura prova gli spettatori che avevano scelto di vedere la rassegna di film più noti nella piazza principale di Cluj. Molto adeguato il premio a Tanta agua (Tanta pioggia) di Ana Guevara e Leticia Jorge, bello davvero, ma anche assolutamente in tema col clima di questi giorni.    

ship-of-theseus-poster4PREMI

Trofeo Transilvania
a Ship of Theseus (Nave di Teseo) di Anand Gandhi (India, 2012)
Premio per il miglior regista
A Rikiya Imaizumi per Catch a Terrible Cat (Ho preso un gatto terribile) (Giappone - 2012)
Premio Speciale della Giuria
a Tanta agua (Tanta pioggia) di Ana Guevara e Leticia Jorge (Uruguay, Messico, Olanda, Germania – 2012)
Premio per la migliore fotografia
a Pankaj Kumar a per Ship of Theseus (Nave di Teseo) di Anand Gandhi (India - 2012)
Premio per il migliore interprete
a Gustav Dyekjaer Giese per Nordvest (Nord ovest) di Michael Noer (Danimarca – 2012)
Premio per il miglior cortometraggio sezione Shadow – Evil Shots
a Dood van een Schaduw (Morte di un’ombra) di Tom Van Avermaet (Belgio – 2012)
Premio FIPRESCI
a El limpiador (Il pulitore) di Adrian Saba (Perù – 2012)
Premio del Pubblico
a Wadjda (La bicicletta verde) di Haifaa Al-Mansour (Arabia Saudita, Germania – 2012)
Premio di eccellenza
all’attrice Luminita Gheorghiu
Premio alla Carriera
al regista Jiří Menzel
Premio alla Carriera
al compositore Adrian Enescu.