Festival Internazionale del Film di Cannes 2013 - Pagina 9

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2013
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grigris-1Grigris del ciadiano Mahamat-Saleh Haroun ha i difetti di un film africano naif e quelli di un’operazione coloniale fatta da cineasti di un paese occidentale che guardano con sufficienza al terzo mondo. Due difetti che ne fanno un film falso, prevedibile e noioso. In un villaggio povero del Ciad un giovane d’origine del Burkina Faso e menomato a una gamba, ma dotato di uno straordinario senso del ritmo, s’innamora di una bella prostituta. Prevedibile persecuzione di un delinquente locale che s’infuria in modo particolare quando il ragazzo gli ruba alcune taniche di benzina di contrabbando. Lo fa per pagare le spese del ricovero in ospedale all’anziano che lo ha adottato. Fuga della coppia e rifugio in un villaggio abitato da sole donne, poiché gli uomini sono partiti per il raccolto e ritorneranno solo fra alcuni mesi. Quando un emissario dei cattivi arriva con l’intenzione di uccidere i fuggitivi, le donne del villaggio insorgono per difendere gli ospiti e ammazzano i banditi. La morale della storia, come capita con una certa frequenza cinema africano, è che la purezza e i valori veri sopravvivono solo nei piccoli centri in cui le tradizioni sono preservate, mentre le città, più in generale la modernità, è vista come sinonimo di perdizione. E’ una posizione ambigua come dimostra il fatto che molti movimenti radicali islamici propugnano il rifiuto delle cose nuove che arrivano dall’Occidente come peccaminose e corruttrici. In poche parole è un film carico d’ambiguità e, per giunta, costruito in modo grezzo e senza vera ispirazione.
only-god-forgives-poster 2Only God Forgives (Solo Dio Perdona) del danese, trasferitosi negli Stati Uniti, Nicolas Winding Refn si muove in pieno spirito tarantiniano ambientando a Bangkok una storia trucida di vendette e ammazzamenti vari. L’americano Julian è fuggito nella capitale thailandese per sottrarsi alla giustizia del suo paese. In Tailandia dirige una palestra di box che serve da copertura per traffici di droga al servizio della cosca, ora guidata da sua madre, rimasta negli Stati Uniti. Nei fatti obbedisce agli ordini del fratello maggiore che ha il vizio di picchiare le giovani prostitute con cui si accompagna quando è ubriaco. Con una esagera e la uccide di botte. Un imperturbabile ispettore di polizia in pensione, soprannominato l’Angelo della vendetta, interviene sulla scena del delitto e decide che sia fatta giustizia sommaria: fa venire il padre della ragazza e lo lascia solo con l’assassino. Il genitore della morta ammazza di botte il colpevole, ma anche questo è un crimine, per cui l’ex - poliziotto gli taglia un braccio . Ne nasce una serie di vendette e contro vendette organizzate dalla madre dell’americano,  piombata in Tailandia dagli Usa. La donna capeggia un’organizzazione criminale molto potente, ma anche lei finirà uccida dal poliziotto - giustiziere. La sequenza finale vede Julian sfidare il vendicatore, ma senza molte speranze di uscire vivo dallo scontro. Il film è pino di ammazzamenti, getti di sangue, sbudellamenti, spari, conflitti mortali. Non c’è un preciso filo logico, meno che mai morale, ciò che interessa al regista è la rappresentazione della violenza di per se stessa, tutto il resto è semplice fumo di copertura. Con buona probabilità il film piacerà agli estimatori del regista di Django Unchained (2012), ma non a chi chiede al cinema riflessione e non sola esibizione di muscoli.
la jaula de oroLa jaula de oro (La gabbia d’oro) è un bel film diretto dallo spagnolo Diego Quemada-Diez e basato su un impianto generosamente neorealista. E’ la storia dell’odissea subita da quattro quindicenni in fuga dal Guatemala con la speranza di arrivare negli Stati Uniti passando per il Messico. Uno solo arriverà a destinazione, ma scoprirà che la meta tanto agognata non è affatto promettente e generosa quanto sembrava. L’opera ricostruisce un vero e proprio calvario fatto di agguati, rapine, violenza sulle donne. E’ la radiografia di una feroce condizione di sfruttamento dei più poveri ad opera sia di coloro che dovrebbero curare la sicurezza pubblica, sia delle organizzazioni criminali. Come già segnalo è un film basato su un approccio neorealista e di denuncia sociale, forse nulla di veramente nuovo, ma un testo generoso e, come si diceva un tempo, civilmente impegnato.