Festival Internazionale del Film di Cannes 2013 - Pagina 6

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2013
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Inside Llewyn Davis (A proposito di Llewyn Davis) è l’ultima fatica di Joel e Ethan Coen, una coppia di fratelli cineasti che ha ottenuto un grande successo di critica e pubblico. La caratteristica più evidente di questi autori è saper mescolare abilmente ironia e violenza, situazioni divertenti e momenti tragici. Un altro dato interessante è l’abilità nel costruire personaggi e situazioni capaci sia di ammaliare lo spettatore, sia di offrire uno sguardo acuto sulle realtà e i miti americani. Quest’ultimo film esalta queste caratteristiche con, in più, una positiva sottrazione d’immagini violente. Siamo nel Greenwich Village di New York, nel 1961, qui un musicista talentuoso e squattrinato (dorme in casa di amici, cambiando letto o divano e appartamento ogni sera) sta tentando di imporsi nel difficile mondo dello show business. Il genere musicale che propone, il folk, sta muovendo i primi passi e il personaggio a cui s’ispira il protagonista è Dave Van Ronk che diventerà uno dei maestri musicali e politici di Bob Dylan. I discografici non sono disposti a rischiare su canzoni e cantanti adatti a piccole sale, ma ignoti al grande pubblico. Tutto questo costringe Llewyn Davis, questo il nome del protagonista, a destreggiarsi fra mille difficoltà, sopravvivere chiedendo soldi in prestito, adattarsi a ruoli musicali di ripiego. All’inizio lo vediamo dormire sul divano di un coppia di professori universitari con i quali rischia di rompere ogni contatto quando fa scappare il gatto di casa. In realtà lo ha subito recuperato, ma la porta dell’appartamento era ornai chiusa per cui lo ha perso, definitivamente, quando la sera successiva è andato a dormire in casa di un’amica che ha messo incinta e che lo ospita controvoglia. Neppure un viaggio a Chicago per sottoporre la sua musica al potente proprietario del Golden Horn (Corno d’Oro), un locale realmente esistito, avrà esito positivo e il cantautore si ritroverà letteralmente là dove era partito, cosa che i registi sottolineano con una trovata di gran classe: la ripetizione della prima sequenza in chiusura del film. E’ il ritratto di un periodo particolarmente fecondo per la storia della musica americana, dunque mondiale, quello da cui muoveranno artisti destinati a un grande successo come Jane Baez. La proposta dei due registi è davvero di prima qualità e il loro film offre molti spunti di riflessione che non si limitano al quadro d’epoca, ma chiamano in causa la cultura e il mito del sogno americano.Altrettanto non può dirsi per un film che, invece, si prefigge di proporre un testo allegorico e complesso per eccellenza.

Borgman dell’olandese Alex Van Warmerdam racconta una sorta di parabola incentrata su un gruppo di personaggi feroci e misteriosi (all’inizio i maschi del gruppo vivono sottoterra e sono stanati da un prete e da altri due tipacci armati di picche e pistole) che s’insinuano in una bella villetta altoborghese, corrompono e uccidono la moglie del proprietario, che avvelenano, irretiscono i figli e la ragazza alla pari che vive li. Alla fine distruggeranno il bel giardino della casa e se ne andranno aggregandosi i giovani della famiglia che li aveva ospitati. Come ultimo atto cospargono le rovine del parco con qualche cosa, forse semi (una nuova vita nasce dalla distruzione?) o, più biblicamente, sale. Non è facile decifrare la complessa testura del racconto che può essere letto in varie maniere, nessuna delle quali convincente sino in fondo. Potrebbe essere una metafora sull’arrivo del Demonio in una società che ha perso il senso della morale e vive solo per accumulare soldi. Oppure potrebbe essere una sorta di allarme sul pericolo che il terzo mondo conquisi completamente il nostro. Sono letture opposte, la seconda sconfinante nel razzismo, ma allo spettatore sono offerti indizi talmente contradditori da lasciarlo nella più assoluta incertezza.
l-image-manquanteUn Certain Regard ha presentato un testo accorato e bello del cambogiano Rithy Panh: L’image manquant (L’immagine mancante). Il regista vive a Parigi, ma in gioventù ha attraversato la tragedia della follia dei Khmer Rossi. Deportato con l’intera famiglia nella foresta dopo che i nuovi padroni del paese, che governeranno dal 1975 al 1979, avevano letteralmente svuotato la capitale Phnom Penh dei suoi abitanti. La filosofia folle e criminale di Pol Pot, che guidava quel movimento, era che si doveva azzerare tutto per ricostruire un nuovo mondo non contaminato dal capitalismo. Le scuole furono chiuse, spesso trasformate in luoghi di tortura, bandite le medicine occidentali sostituite con rimedi vegetali, cancellata ogni forma d’arte che non fosse d’esaltazione del regime. Il regista ricostruisce questo terribile dramma, spesso sottovalutato dai media europei, facendo ricorso alle poche immagini di regine e integrando ciò che non c’è mai stato con una sorta di presepio del dolore costruito con pupazzi dolenti. Ne nasce un film molto toccante e bello nella costruzione stilistica. Una testimonianza davvero indimenticabile.