29° Festroia Setubal - Pagina 5

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29° Festroia Setubal
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brasserie romantique posterBrasserie Romantiek (Ristorante romantico) è l’opera d’esordio nel lungometraggio del belga Joël Vanhoebrouck ed è un debutto pienamente riuscito. Tutto si svolge la sera del 14 febbraio, San Valentino, in un tempo che è quasi lo stesso della proiezione cinematografica. In un piccolo ristorante di Bruxelles ove è stato organizzato in pranzo romantico a menu fisso riservato a coppie d’innamorati omo ed eterosessuali. In tutto sono una ventina di clienti che vanno dalla moglie abbandonata, che ha scelto proprio quell’occasione per uccidersi con il veleno inserito in un cioccolatino mescolato ad altri in una scatola a forma di cuore, al giovane sfigato che tenta l’avventura con un appuntamento al buio combinato su internet, al ex – innamorato che si presenta alla donna che lo ha sempre amato – la comproprietaria del locale - a distanza di lustri per invitarla a seguirlo immediatamente a Buenos Aires, alla coppia matura formata da una moglie in crisi e da un marito che neppure si accorge del disagio della compagna. Non tutte le storie avranno un lieto fine. La donna sola troverà un nuovo compagno nel cameriere del locale, il pasticcione capirà che una cosa sono i sogni, un’altra la realtà e capirà che la ragazza contatta su internet può essere una possibile, ottima compagna. Esito non ugualmente positivo avranno le storie della coppia matura e quella della padrona del ristorante. Il film ha un taglio decisamente teatrale, sottolineato dalla quasi unità di luogo – la sala da pranzo e la cucina – ma un andamento talmente mosso da mettere in ombra qualsiasi staticità. Ciò che conta sono i dialoghi fulminanti e il ritmo con cui le situazioni si susseguono e s’inanellano. In altre parole un film brillate e malinconico, come dire una delle miscele migliori che il cinema passa offrire.       
circles poster1Krugovi (letteralmente Boccali, ma il titolo internazionale è Cerchi) è una produzione fra Serbia, Germania, Croazia, Slovenia e Francia diretta dal belgradese Srdan Golubovic (1972) che ritorna sul tema della violenza che ha accompagnato la dissoluzione dell’ex Iugoslavia. Il film, che nasce da un fatto realmente accaduto, inizia nel 1993 a Trebinje, una delle enclavi in cui una maggioranza serba conviveva ancora con una minoranza mussulmana. Qui un militare in licenza è ucciso a pugni e calci da quattro soldati ubriachi perché ha difeso un civile mussulmano aggredito per futili motivi. Sono passati quindici anni e i protagonisti di quel delitto hanno ora vite separate e diverse. C’è chi è diventato un apprezzato chirurgo, chi è emigrato e tenta di dimenticare, c’è chi oggi è vive in Germania ed è un criminale violento. A questi si aggiungono il padre del morto e il figlio del mussulmano picchiato a sangue dai quattro assassini. Le storie di ciascuno di loro s’intrecciano in varia misura, portando alla conciliazione – il padre dell’ucciso e il figlio dell’aggredito – all’assunzione di piena responsabilità – il medico che salva la vita all’ex commilitone e maggior responsabile del delitto – l’emigrato che rischia di essere ucciso pur di sottrarre la moglie del delinquente dalla vendetta del marito. E’ un mosaico ben costruito, sorretto da un grande lavoro attoriale che riporta sullo schermo ferite con cui il cinema di quest’area non ha ancora fatto del tutto i conti. E’ anche un film che, per essere compreso sino in fondo richiede una certa conoscenza di ciò che è accaduto nell’area all’inizio degli anni novanta e il ricordo delle terribili violenze che hanno segnato quel conflitto. Motivi aggiuntivi per apprezzare un film che ricorda senza fini di spettacolarizzazione e radiografa senza assolvere. halimaspath poster 

La guerra iugoslava ritorna anche in Halimin put (Il percorso di Halima) del croato Arsen Anton Ostojic (1965). Il regista racconta uno dei tanti drammi di guerra ispirandosi ad una storia vera e dividendo la storia in due tempi il primo nel 1977 il secondo nella seconda metà degli anni duemila, il calvario di una donna mussulmana che cerca i resti del marito e del figlio adottivo scomparsi nel fuoco della guerra bosniaca. Sarà un duro percorso che approderà a una chiusura dolorosa: il ragazzo, figlio di un serbo e di una mussulmana, risulterà ucciso dal padre che aveva partecipato, riluttante, ad uno dei tanti massacri compiuti dai  miliziani di Belgrado ai danni di civili. Il film è costruito molto bene e ha il merito di ricordare alcune fra le terribili atrocità che hanno segnato quel conflitto. Atrocità che qui sembrano essere state commesse solo da una parte, quella serba, mentre in realtà sono state compiute anche dai miliziani dell’altra parte, certo in misura infinitamente minore, ma con ferocia non diversa. Il dato più interessante del film è nella descrizione del percorso doloroso a cui è costretta una contadina come qualsiasi altra che la ferocia dalla guerra ha colpito solo perché inserita in una certa comunità etnico – religiosa. Lo stile narrativo è quello, un po’ lacrimevole, tipico di questo tipo di film, ma ciò non intacca il valore di un testo che ha il grandissimo merito di ricordarci come, meno di una decina d’anni or sono e a poche centinaia di chilometri dal nostro paese, la barbarie bellica avesse dilagato nella mente e nelle azioni di un’intera popolazione. Un ricordo terribile le cui conseguenze non basteranno pochi anni ad attenuare, né alcuni decenni a cancellare.