29° Festroia Setubal

Stampa
PDF
Indice
29° Festroia Setubal
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Tutte le pagine

29-festroia-posterIl festival del cinema di Setúbal, Festroia, dedicato ai paesi con produzione inferiore ai 32 titoli a stagione, ha aperto la sezione competitiva con Il film norvegese Into the White (Nel bianco) di Petter Næss, un’opera che si rifà a una vicenda realmente accaduta. Nel 1940, durante l’invasione tedesca del paese, due aerei precipitano in una zona scarsamente popolata.

Uno era tedesco e solo tre membri dell’equipaggio si salvarono, uno seriamente ferito a un braccio, l’altro era inglese e solo il pilota e il mitragliere sopravvissero all’impatto con il suolo. I due gruppi di avieri si ritrovano in una casetta abbandonata in cui i primi hanno trovato rifugio. Fu l’inizio di una convivenza difficile, ostacolata da pregiudizi, scarti culturali e adesioni politiche. Lentamente le necessità della sopravvivenza in condizioni particolarmente difficili ebbero il sopravvento sulle differenze ideologiche e il gruppo formò una sorta di piccola comunità destinata a cementarsi in occasione dell’amputazione di un braccio al ferito e a spezzarsi con l’arrivo di una pattuglia di militari norvegesi che, prima, ammazzarono senza alcuna ragione uno dei tedeschi, poi, trattarono da traditori i due inglesi. into-the-white locandinaUna serie di didascalie finali ci informano sulla sorte dei veri personaggi, c’è chi morirà in campo di prigionia in Canada, chi sarà travolto da nuovi scontri bellici, chi riuscirà a sopravvivere sino alla fine del conflitto per rincontrare, molti anni dopo, il nemico con cui aveva avuto a che fare in circostanze tanto difficili. Il film ha un taglio decisamente teatrale facilitato dalle molte sequenze realizzate nella capanna in cui i superstiti hanno trovato rifugio. Il film è girato in un bianco e nero virato al grigio che fa molto prodotto antico, anche se non rinuncia a una fotografia precisa e non priva di tagli raffinati. E’ un buon prodotto, interessante più per lo spirito pacifista che lo anima che non per l’originalità del soggetto. Vi sono, infatti, molti esempi di storie di nemici costretti a convivere sino a diventare amici. Una per tutte: La grande illusione (La grande illusion, 1937) di Jean Renoir il cui trionfo al Festival di Venezia irritò particolarmente i funzionari fascisti.

the-broken-circle-breakdown 1The broken circle breakdown (La divisione del cerchio spezzato) del belga Felix van Groeeningen (1977) è un melodramma familiare pieno di scene madri e di situazioni strappalacrime. Elise e Didier fanno parte di un gruppo musicale specializzato nel genere country americano, si amano appassionatamente e vivono serenamente le rispettive passioni: lui per l’abbigliamento western, lei per i tatuaggi di cui ha il corpo interamente ricoperto. Vanno a vivere in campagna, si sposano, hanno una figlia, ma tutto crolla quando si scopre che la piccola ha un cancro praticamente incurabile che la uccide in pochi mesi. L’atmosfera fra loro non potrà mai più essere la stessa, lei immagina che l figlia morta venga a trovarla sotto forma di uccello, lui inveisce in pubblico contro il presidente americano George Bush, reo di aver ostacolato per motivi religiosi la ricerca sulle cellule staminali, studio che avrebbero potuto condurre a risultati in grado di salvare la vita della piccina. Si separano e lei si uccide. Ora solo gli apparecchi medicali la tengono in vita, per il resto è ridotta a un vegetale e lui decide di far staccare la spina. E' la radiografia di una coppia travolta dalle disgrazie, anzi c’è sin troppo pathos e non mancano i colpi di scena tesi a strappare una facile commozione. Nel complesso è un film sentimentale e non nel senso positivo del termine.

90minutes manifesto90 minutes (90 minuti) della norvegese Eva Sørhaug (1971) mette assieme tre storie di quotidiana violenza, tutte raccolte nel giro di un’ora e mezzo. In questo lasso di tempo seguiamo Johan, borghese di fascia medio alta, che si prepara ad avvelenare la moglie e a suicidarsi. Assistiamo al dramma di Fred che non riesce a sopportare la separazione dalla moglie, cui sono affidati i figli e che si è trovata un altro compagno. La vicenda sfocerà in un vero e proprio massacro con l’uomo che, impugnata una pistola, farà strage dell’ex – consorte, delle figlie e del nuovo compagno della donna. Grandguignolesca anche la storia in cui è immerso Trond che, dopo essere rimasto disoccupato, annega la sua rabbia nella coca e nelle sevizie sulla moglie che ha partorito da poco. Storie di angosciante violenza quotidiana che radiografano condizioni umane disperate. La regista le tratteggia con la freddezza di un osservatore sociale cui poco importa di motivazioni e conseguenze, ma guarda con attenzione ai dettagli del comportamento umano. Così assistiamo nei minimi particolari della preparazione dell’omicidio – suicidio: la cancellazione dell’abbonamento al quotidiano preferito, la cura con cui è confezionato l’ultimo pasto, la ricerca di una sistemazione per il pappagallo di casa, la preparazione minuziosa della tavola e degli abiti. Allo stesso modo la furia omicida dell’ex – marito cresce attraverso piccole annotazioni, frasi apparentemente insignificanti, gesti da nulla. E’ lo stesso per il marito violento che picchia selvaggiamente e violenta la moglie sino al momento in cui lei riesce a liberarsi e ad ucciderlo. E’ un film molto duro, segnato da uno sguardo con qualche venatura femminista, che coglie nel profondo gli scompensi e i guasti di una società ammantata di perbenismo e giustizia, ma sostanzialmente squilibrata e violenta.


viva belarius posterIl regime con cui  Aleksandr Lukašenko governa la Bielorussia, nazione ex – sovietica in cui l’ufficialità si esprime ancora in russo, con modi particolarmente  dispotici e crudeli. Questo capita fra l’indifferenza quasi generale delle cancellerie europee, attratte più dalle riserve minerarie – le possibilità dell’agricoltura sono state gravemente compromesse dall’incidente nucleare avvenuto nel 1986 nella centrale di Chernobyl - e dalle opportunità commerciali offerte dal paese che non dalla tutela dei dritti umani. Questa drammatica realtà è al centro di Zywie Biełarus! (Viva la Bielorussia!) del regista polacco Krzysztof Lukaszewicz che ripercorre il calvario del giovane Miron, un musicista molto dotato casualmente trasformato in leader politico d’opposizione e, di conseguenza, sottoposto a tutte le angherie, aggressioni, mutilazioni inferte dal regime a coloro che vi si oppongono. Il film ha il taglio della classica opera di denuncia sociale, forte nella condanna dell’ingiustizia, debole sul piamo dello stile narrativo. Vi si ritrovano le classiche componenti dei film carcerari, anche se qui le prigioni sono sostituite dalle caserme e dai rituali d’iniziazione militare, inserite in un discorso disparato e privo di orizzonti positivi. Lo sguardo del regista e dello sceneggiatore Franak Viatchorka, che ha trasferito nel copione molti dati autobiografici, non si apre su possibili soluzioni positive, ma guarda al futuro del paese come a un tunnel di cui non s’intravvede lo sbocco. In altre parole un film civilmente importante, cinematograficamente modesto.

poster-pasion de michelangeloLa passion de Michelangelo (La passione di Michelangelo) del cileno Esteban Larrain (1973) prende le mosse da un fatto di cronaca, cosa abbastanza usuale per il cinema contemporaneo. Siamo in Cile, nel 1983, durante le prime manifestazioni contro Augusto Pinochet, salito al potere nel 1973 con un colpo di stato da cui è nata una feroce dittatura che durerà sino al 1988. In un paesino di provincia un ragazzo conquista l’attenzione della gente dicendo di essere in grado di parlare con la Madonna. Appoggiato da un prete ingenuo e bigotto, il ragazzo diventa in breve tempo una sorta di santone locale a cui si attribuiscono persino alcuni miracoli. Molti pellegrini si recano nella località in cui lui sostiene di assistere all’apparizione della Vergine e il regime golpista pensa di sfruttare il miracolato facendogli affermare che la Vergine ha detto che il dittatore è la migliore scelta per il paese. Un prete, inviato dalla curia di Santiago per indagare sui fatti, inizia ad avere dubbi, misti a pietà, sulle visioni mistiche del giovane e si rende conto che, in realtà, il ragazzo vaneggia e gioca sull’ingenuità degli altri. Presto i supposti ordini della Madonna diventano così stravaganti da indurre gli stessi fedeli al dubbio e, da lì, all’aggressione fisica al santone. E’ una vicenda assurdamente complessa che incrina la fede, già vacillante, del religioso e lo induce a gettare la tonaca alle ortiche. Tuttavia, proprio nell’ultima sequenza, quando l’ex – prete ritorna sul luogo del miracolo spingendo, per pietà, un paralitico in carrozzella, assistiamo ad un inspiegabile miracolo. Alcune didascalie finali ci informano sulla morte, dopo molti anni, del giovane che parlava con la Vergine in un ospedale cileno. Il film ha un andamento complesso e mescola discorso didascalico a ricostruzione di cronaca, a riflessioni morali sulla forza della fede e l’ambiguità di un potere disposto ad usare qualsiasi mezzo pur di mantenersi in sella. E’ un film dal bilancio altalenante che non sceglie con decisione una via narrativa precisa, ma è anche un’opera non banale girata molto bene seppur con qualche inciampo narrativo.
het-meisje-en-de-dood-wint-kalf-voor-beste-film orgJos Stelling (1945) è un regista olandese raffinato, autore di film molto interessanti, non pochi dei quali hanno ricevuto importanti riconoscimenti internazionali. Ha un gusto particolare per la cura delle immagini, i riferimenti pittorici e la precisione delle psicologie come dimostra, ad esempio, uno dei suoi titoli più noti: Lo scambista (De wisselwachter, 1986), storia d’amore fra un uomo e una donna che s’incontrano in uno sperduto casello ferroviario. Sono interessi che marcano anche Het Meisje en de Dood (La ragazza e la morte) in cui si racconta, nel corso di vari decenni, l’amore appassionato di un medico, prima studente, per la mantenuta di un nobile tedesco. Una storia sentimentale è cadenzata da riferimenti poetici in cui assumono un ruolo fondamentale i versi di Aleksandr Sergeevič Puškin (1799 – 1837). Il film ha un andamento narrativamente non proprio limpido, ma un indubbio fascino per quanto riguarda la bellezza delle immagini e l’eleganza della confezione. Ciò che si apprezza maggiormente è la cultura che traspare da un’opera un po’ vecchia maniera, ma dal taglio tutt’altro che banale. Valida anche la possibiltà di leggere l'intera storia come una sorta di metafora di un mondo, quello borghese . ottocentesco, destinato a scomparire sotto la spinta di passioni, guerre ed eventi politici destinati a mutare il volto della società.


baby blues poster Bejbi Blues (Baby Blues) porta la firma della polacca Kasia Rosłaniec e racconta di un mondo giovanile sospeso fra i sogni consumistici e la dura realtà di una società forse più impietosa e crudele di quella che l’ha preceduta. Natalia è una ragazza giovanissima ed è appena diventata madre di un piccolo avuto con il suo fidanzatino. Entrambi sono del tutto impreparati ai compiti che attendono un padre e una madre: lui sembra non aver altro interesse se non le esibizioni sullo skateboard, lei guarda solo alla moda e spera di diventare modella. In questo quadro il piccolo diventa poco più che l’ennesimo accessorio da esibire ad amici e parenti. Ciò che conta è che se ne stia tranquillo e non disturbi gli interessi e le esigenze dei grandi. Così, quando la madre ottiene un lavoro da commessa, pagandolo con la continua sottomissione sessuale al giovanotto che l’ha fatta assumere, e non può permettersi di arrivare in ritardo al lavoro, il piccolo finisce in una borsa depositata in un cellario della stazione. La scelta irresponsabile causa la morte del neonato e l’arresto della ragazza che, tuttavia, approfitta di una visita in riformatorio del compagno per fare l’ammore con lui, nella speranza di rimanere nuovamente incinta. E’ un film coloratissimo, in cui i vestiti dei personaggi delineano una sorta di passerella della moda giovanile, ma che sfiora, più che centrali, i bersagli che apparentemente si pone. In altre parole siamo alla presenza di qualche cosa di molto simile alle opere che inanellano immagini scioccanti con il pretesto di mostrare quando terribile sia la violenza. Qui il discorso sulla vacuità delle mode e la sostanziale irresponsabilità delle nuove generazioni, passa attraverso un’esibizione di modelli comportamentali assunta in maniera quasi feticista. In questo modo il fine profondo del film è vanificato dalla forma assunta dalla narrazione e soffocato da una diffusa, generale incoerenza. 

tango libre posterTango libre (Tango libero) del belga Frédéric Fonteyne (1968) racconta una storia segnata da un piacevole retrogusto anarchico. Fernand e Dominic stanno scontando lunghe condanne per rapina a mano armata, crimine nel corso del quale è morta una guardia. Entrambi sono legati ad Alice, moglie separata di uno, da cui ha avuto un figlio ora adolescente, e rimaritata con l’altro. Il trio trova un punto d’unione in Jean-Christophe, per tutti J-C, guardia carceraria della prigione e amante del tango in una cui scuola incontra la donna. Il ballo argentino diventa una sorta di filo rosso che lega i tre e contagia anche gli altri detenuti. E’ una sorta di sogno libertario che permette ai detenuti di superare, idealmente, i muri della prigione e al carceriere di vivere una vita che vada oltre l’esistenza solitaria in cui è immerso. Tutto questo approda a conflitti vari e al convincimento dell’agente penitenziario che la sola cosa da fare è far evadere i due detenuti. Tuttavia, una volta liberi, gli ex galeotti, la donna e il ragazzo lo imbarcheranno sull’automobile con sui stanno scappando verso nuove avventure. E’ un film piacevole, ironico, moralmente irregolare in cui il ballo diventa una sorta di via di fuga dalle costrizioni della vita e dalle regole della società. Potrebbe sembrare qualche cosa di simile ad un invito alla ribellione anarchica. In parte è tale, ma ciò che più conta è lo sguardo di ribellione che propone nei confronti di un mondo grigio e oppressivo. Le sequenze più riuscite sono quelle dei numeri di ballo fra le mura della prigione, sono brani degni di un musical pieno di gusto, ritmo e speranza.

rn posterTie pohjoiseen (Strada per il nord) del finlandese Mika Kaurismäki racconta una classica storia di riavvicinamento fra padre e figlio. Timo, un apprezzato pianista, è in crisi con la moglie che lo ha appena abbandonato portandosi dietro la figlioletta. Ancora immerso nelle turbe della separazione si vede capitare in casa l’anziano vistoso e corpulento Leo che dice di essere il padre che non lo vede da trentacinque anni. Sconcerto, primi conflitti, imbarazzo, poi l’anziano convince il più giovane a mettersi in viaggio verso il nord per raggiungere il rifugio della moglie fuggitiva e della figlia. Il genitore non ha remore nel rubare una macchina indispensabile per un viaggio che ha molte caratteristiche sia della scoperta di un passato annegato nelle nebbie del tempo, sia d’immersione nei segreti di una vita tutt’altro che chiara. Alla fine scopriremo che il genitore è appena uscito di prigione, dopo essere stato condannato per una rapina in banca, è malato e il viaggio e gli incontri che lo costellano sono, per lui, è una sorta di rivisitazione di un tempo ormai concluso. Allo stesso modo, per il figlio, il percorso verso le regioni settentrionali assume il significato di un recupero e conoscenza di un passato di cui non ha mai avuto consapevolezza. Sono temi non nuovi, così come appare scontata la scelta del viaggio quale riavvicinamento fra due esistenze che si ignorano anche se le legano profondi rapporti di sangue. Un film non molto originale, sia nella forma espressiva sia nello sviluppo della storia, ma che ha il merito di essere costruito con un’apprezzabile pulizia espressiva e una giusta misura narrativa.


8 ball manifesto8 – pallo (Palla 8) del finlandese Aku Louhimies disegna un quadro deprimente e terribile del mondo giovanile di Helsinki. Pirkko, giovane madre di una bimba di otto mesi, esce di prigione, dove è finita per uso e cessione di droga, messa in libertà condizionata con l’impegno di rimettersi sulla corretta via: niente alcol, né sostanze proibite o compagnie sconsigliabili. Generosi propositi quasi subito vanificati dall’intrusione nella sua vita di un trafficante padre della sua bimba. Lei è ancora attratta dal criminale e, in un primo momento, si lascia trascinare fra le sue braccia. Tuttavia non appena si rende conto del baratro in cui sta riprecipitando si ribella ricavandone botte, iniezioni forzate di stupefacenti e minacce varie. Tutto questo è seguito a distanza da un maturo funzionario della sezione antidroga che considera la ragazza un po’ come una sua figlia. Finale cruento con la ragazza che uccide il trafficante colpendolo con una palla da biliardo, la numero 8, inserita in un calzino. L’agente, che abbandonerò la polizia per seguire la madre e la bambina, riesce a sistemare le cose in modo che la giovane sia scagionata e possa ritentare, ancora un volta, l’inserimento nella vita normale. Il quadro tracciato dal film è deprimente, oscuro e carico di violenza con cadaveri fatti a pezzi, morti ammazzati di botte. Un panorama davvero poco incoraggiante di una società che la mitologia comune vorrebbe ordinala, sicura e socialmente sensibile. Non si riesce a capire sino a che punto il quadro rifletta una precisa realtà e sin dove forzi situazioni, senza dubbio reali, al fine di trarne un quadro spettacolarmente accattivante. Una situazione che lascia il dubbio, fondato, di un’operazione mirante a colpire allo stomaco lo spettatore, piuttosto che a fargli conoscere l’altra faccia di una medaglia che si vorrebbe solo idilliaca.
the-deep-posterRestiamo nelle regioni nordiche, terreno di caccia preferenziale di questo Festival, con Djúpiơ (Il profondo) di Baltasar Kormákur. Il film ricostruisce una storia vera, accaduta nel 1984 quando un peschereccio islandese naufragò vicino a Heimaeyd, una delle isole dell’arcipelago delle Vestmannaeyjar (Westman), nell’ Oceano Atlantico settentrionale. Dell’equipaggio, formato da sei uomini, uno solo sopravvisse nuotando per sei ore nelle acque gelide e camminando per altre due, dopo aver raggiunto un’isola, in mezzo alla neve a al ghiaccio. Il fatto, teoricamente impossibile, fu oggetto di studi sia da parte dei centri di ricerca ospedalieri, sia di quelli militari anche se i meccanismi profondi rimangono ancora quasi inspiegabili. Il regista basa buona parte della storia sull’odissea del naufrago, che assiste alla morte dei compagni e sopravvive sia parlando a un gabbiano, sia ricordando vari episodi dell’infanzia. E’ una sorta di documentario ricostruito, realizzato con grande abilità tecnica, ma senza una vera ragione d’essere che non sia l’esaltazione della forza vitale nelle circostanze più difficili. In altre parole è la riproposizione di un fatto di cronaca assunto senza alcuna angolazione specifica. Un film tecnicamente pregevole anche se fine a se stesso.


brasserie romantique posterBrasserie Romantiek (Ristorante romantico) è l’opera d’esordio nel lungometraggio del belga Joël Vanhoebrouck ed è un debutto pienamente riuscito. Tutto si svolge la sera del 14 febbraio, San Valentino, in un tempo che è quasi lo stesso della proiezione cinematografica. In un piccolo ristorante di Bruxelles ove è stato organizzato in pranzo romantico a menu fisso riservato a coppie d’innamorati omo ed eterosessuali. In tutto sono una ventina di clienti che vanno dalla moglie abbandonata, che ha scelto proprio quell’occasione per uccidersi con il veleno inserito in un cioccolatino mescolato ad altri in una scatola a forma di cuore, al giovane sfigato che tenta l’avventura con un appuntamento al buio combinato su internet, al ex – innamorato che si presenta alla donna che lo ha sempre amato – la comproprietaria del locale - a distanza di lustri per invitarla a seguirlo immediatamente a Buenos Aires, alla coppia matura formata da una moglie in crisi e da un marito che neppure si accorge del disagio della compagna. Non tutte le storie avranno un lieto fine. La donna sola troverà un nuovo compagno nel cameriere del locale, il pasticcione capirà che una cosa sono i sogni, un’altra la realtà e capirà che la ragazza contatta su internet può essere una possibile, ottima compagna. Esito non ugualmente positivo avranno le storie della coppia matura e quella della padrona del ristorante. Il film ha un taglio decisamente teatrale, sottolineato dalla quasi unità di luogo – la sala da pranzo e la cucina – ma un andamento talmente mosso da mettere in ombra qualsiasi staticità. Ciò che conta sono i dialoghi fulminanti e il ritmo con cui le situazioni si susseguono e s’inanellano. In altre parole un film brillate e malinconico, come dire una delle miscele migliori che il cinema passa offrire.       
circles poster1Krugovi (letteralmente Boccali, ma il titolo internazionale è Cerchi) è una produzione fra Serbia, Germania, Croazia, Slovenia e Francia diretta dal belgradese Srdan Golubovic (1972) che ritorna sul tema della violenza che ha accompagnato la dissoluzione dell’ex Iugoslavia. Il film, che nasce da un fatto realmente accaduto, inizia nel 1993 a Trebinje, una delle enclavi in cui una maggioranza serba conviveva ancora con una minoranza mussulmana. Qui un militare in licenza è ucciso a pugni e calci da quattro soldati ubriachi perché ha difeso un civile mussulmano aggredito per futili motivi. Sono passati quindici anni e i protagonisti di quel delitto hanno ora vite separate e diverse. C’è chi è diventato un apprezzato chirurgo, chi è emigrato e tenta di dimenticare, c’è chi oggi è vive in Germania ed è un criminale violento. A questi si aggiungono il padre del morto e il figlio del mussulmano picchiato a sangue dai quattro assassini. Le storie di ciascuno di loro s’intrecciano in varia misura, portando alla conciliazione – il padre dell’ucciso e il figlio dell’aggredito – all’assunzione di piena responsabilità – il medico che salva la vita all’ex commilitone e maggior responsabile del delitto – l’emigrato che rischia di essere ucciso pur di sottrarre la moglie del delinquente dalla vendetta del marito. E’ un mosaico ben costruito, sorretto da un grande lavoro attoriale che riporta sullo schermo ferite con cui il cinema di quest’area non ha ancora fatto del tutto i conti. E’ anche un film che, per essere compreso sino in fondo richiede una certa conoscenza di ciò che è accaduto nell’area all’inizio degli anni novanta e il ricordo delle terribili violenze che hanno segnato quel conflitto. Motivi aggiuntivi per apprezzare un film che ricorda senza fini di spettacolarizzazione e radiografa senza assolvere. halimaspath poster 

La guerra iugoslava ritorna anche in Halimin put (Il percorso di Halima) del croato Arsen Anton Ostojic (1965). Il regista racconta uno dei tanti drammi di guerra ispirandosi ad una storia vera e dividendo la storia in due tempi il primo nel 1977 il secondo nella seconda metà degli anni duemila, il calvario di una donna mussulmana che cerca i resti del marito e del figlio adottivo scomparsi nel fuoco della guerra bosniaca. Sarà un duro percorso che approderà a una chiusura dolorosa: il ragazzo, figlio di un serbo e di una mussulmana, risulterà ucciso dal padre che aveva partecipato, riluttante, ad uno dei tanti massacri compiuti dai  miliziani di Belgrado ai danni di civili. Il film è costruito molto bene e ha il merito di ricordare alcune fra le terribili atrocità che hanno segnato quel conflitto. Atrocità che qui sembrano essere state commesse solo da una parte, quella serba, mentre in realtà sono state compiute anche dai miliziani dell’altra parte, certo in misura infinitamente minore, ma con ferocia non diversa. Il dato più interessante del film è nella descrizione del percorso doloroso a cui è costretta una contadina come qualsiasi altra che la ferocia dalla guerra ha colpito solo perché inserita in una certa comunità etnico – religiosa. Lo stile narrativo è quello, un po’ lacrimevole, tipico di questo tipo di film, ma ciò non intacca il valore di un testo che ha il grandissimo merito di ricordarci come, meno di una decina d’anni or sono e a poche centinaia di chilometri dal nostro paese, la barbarie bellica avesse dilagato nella mente e nelle azioni di un’intera popolazione. Un ricordo terribile le cui conseguenze non basteranno pochi anni ad attenuare, né alcuni decenni a cancellare.


 the-broken-circle-breakdown 1Premi

Miglior film – Delfino d’oro THE BROKEN CIRCLE BREAKDOWN (La divisione del cerchio spezzato) di Felix van Groeningen, Belgio
Premio speciale della giuria – Delfino d’argentoLA PASSION DE MICHELANGELO (La passione di Michelangelo), di Esteban Larrain, Chile/France/Argentine/
Germany.
Miglior regista - Delfino d’argento    SRDAN GOLUBOVIC, per KRUGOVI (Cerchi), Serbia/Germania/
Francia/Croazia/Slovenia.
Miglior attore – Delfino d’argento VESA-MATTI LOIRI, per TIE POHJOSEEN (Strada per il nord), di Mika Kaurismaki, Finlandia.
Miglior attrice – Delfino d’argento ALMA PRICA e OLGA PAKALOVIC, per HALIMIN PUT (Il percorso di Halima), di Arsen Anton Ostojic, Croazia/Serbia/Bosnia.
Miglior sceneggiatura – Delfino d’argento ESTEBAN LARRAIN, per LA PASSION DE MICHELANGELO (La passione di Michelangelo), Cile/Francia/Argentina/Germania.

Premio del pubblico BRASSERIE ROMANTIEK (Ristorante romantico) di Joël Vanhoebrouck, Belgio
Premio l’uomo e l’ambiente JOURNEY (Viaggio) di by Nadim Guç, Turchia
Menzione speciale KINSHASA KIDS (I ragazzi di Kinshasa) di Marc-Henri Wajnberg, Belgio
Premio Opera prima OFFLINE (Fuori linea) di Peter Monsaert, Belgio
Premio FIPRESCI THE BROKEN CIRCLE BREAKDOWN (La divisione del cerchio spezzato) di Felix van Groeningen, Belgio
Premio SIGNIS THE BROKEN CIRCLE BREAKDOWN (La divisione del cerchio spezzato) di Felix van Groeningen, Belgio
Menzione speciale BEJBI BLUES (Baby Blues) di Kasia Roslaniec, Polonia
Premio CICAE BEJBI BLUES (Baby Blues) di Kasia Roslaniec, Polonia
Premio MÁRIO VENTURA DURA LEX di Anke Blondé, Belgio