29° Festroia Setubal - Pagina 4

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29° Festroia Setubal
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8 ball manifesto8 – pallo (Palla 8) del finlandese Aku Louhimies disegna un quadro deprimente e terribile del mondo giovanile di Helsinki. Pirkko, giovane madre di una bimba di otto mesi, esce di prigione, dove è finita per uso e cessione di droga, messa in libertà condizionata con l’impegno di rimettersi sulla corretta via: niente alcol, né sostanze proibite o compagnie sconsigliabili. Generosi propositi quasi subito vanificati dall’intrusione nella sua vita di un trafficante padre della sua bimba. Lei è ancora attratta dal criminale e, in un primo momento, si lascia trascinare fra le sue braccia. Tuttavia non appena si rende conto del baratro in cui sta riprecipitando si ribella ricavandone botte, iniezioni forzate di stupefacenti e minacce varie. Tutto questo è seguito a distanza da un maturo funzionario della sezione antidroga che considera la ragazza un po’ come una sua figlia. Finale cruento con la ragazza che uccide il trafficante colpendolo con una palla da biliardo, la numero 8, inserita in un calzino. L’agente, che abbandonerò la polizia per seguire la madre e la bambina, riesce a sistemare le cose in modo che la giovane sia scagionata e possa ritentare, ancora un volta, l’inserimento nella vita normale. Il quadro tracciato dal film è deprimente, oscuro e carico di violenza con cadaveri fatti a pezzi, morti ammazzati di botte. Un panorama davvero poco incoraggiante di una società che la mitologia comune vorrebbe ordinala, sicura e socialmente sensibile. Non si riesce a capire sino a che punto il quadro rifletta una precisa realtà e sin dove forzi situazioni, senza dubbio reali, al fine di trarne un quadro spettacolarmente accattivante. Una situazione che lascia il dubbio, fondato, di un’operazione mirante a colpire allo stomaco lo spettatore, piuttosto che a fargli conoscere l’altra faccia di una medaglia che si vorrebbe solo idilliaca.
the-deep-posterRestiamo nelle regioni nordiche, terreno di caccia preferenziale di questo Festival, con Djúpiơ (Il profondo) di Baltasar Kormákur. Il film ricostruisce una storia vera, accaduta nel 1984 quando un peschereccio islandese naufragò vicino a Heimaeyd, una delle isole dell’arcipelago delle Vestmannaeyjar (Westman), nell’ Oceano Atlantico settentrionale. Dell’equipaggio, formato da sei uomini, uno solo sopravvisse nuotando per sei ore nelle acque gelide e camminando per altre due, dopo aver raggiunto un’isola, in mezzo alla neve a al ghiaccio. Il fatto, teoricamente impossibile, fu oggetto di studi sia da parte dei centri di ricerca ospedalieri, sia di quelli militari anche se i meccanismi profondi rimangono ancora quasi inspiegabili. Il regista basa buona parte della storia sull’odissea del naufrago, che assiste alla morte dei compagni e sopravvive sia parlando a un gabbiano, sia ricordando vari episodi dell’infanzia. E’ una sorta di documentario ricostruito, realizzato con grande abilità tecnica, ma senza una vera ragione d’essere che non sia l’esaltazione della forza vitale nelle circostanze più difficili. In altre parole è la riproposizione di un fatto di cronaca assunto senza alcuna angolazione specifica. Un film tecnicamente pregevole anche se fine a se stesso.