08 Giugno 2013
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29° Festroia Setubal |
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Bejbi Blues (Baby Blues) porta la firma della polacca Kasia Rosłaniec e racconta di un mondo giovanile sospeso fra i sogni consumistici e la dura realtà di una società forse più impietosa e crudele di quella che l’ha preceduta. Natalia è una ragazza giovanissima ed è appena diventata madre di un piccolo avuto con il suo fidanzatino. Entrambi sono del tutto impreparati ai compiti che attendono un padre e una madre: lui sembra non aver altro interesse se non le esibizioni sullo skateboard, lei guarda solo alla moda e spera di diventare modella. In questo quadro il piccolo diventa poco più che l’ennesimo accessorio da esibire ad amici e parenti. Ciò che conta è che se ne stia tranquillo e non disturbi gli interessi e le esigenze dei grandi. Così, quando la madre ottiene un lavoro da commessa, pagandolo con la continua sottomissione sessuale al giovanotto che l’ha fatta assumere, e non può permettersi di arrivare in ritardo al lavoro, il piccolo finisce in una borsa depositata in un cellario della stazione. La scelta irresponsabile causa la morte del neonato e l’arresto della ragazza che, tuttavia, approfitta di una visita in riformatorio del compagno per fare l’ammore con lui, nella speranza di rimanere nuovamente incinta. E’ un film coloratissimo, in cui i vestiti dei personaggi delineano una sorta di passerella della moda giovanile, ma che sfiora, più che centrali, i bersagli che apparentemente si pone. In altre parole siamo alla presenza di qualche cosa di molto simile alle opere che inanellano immagini scioccanti con il pretesto di mostrare quando terribile sia la violenza. Qui il discorso sulla vacuità delle mode e la sostanziale irresponsabilità delle nuove generazioni, passa attraverso un’esibizione di modelli comportamentali assunta in maniera quasi feticista. In questo modo il fine profondo del film è vanificato dalla forma assunta dalla narrazione e soffocato da una diffusa, generale incoerenza.
Tango libre (Tango libero) del belga Frédéric Fonteyne (1968) racconta una storia segnata da un piacevole retrogusto anarchico. Fernand e Dominic stanno scontando lunghe condanne per rapina a mano armata, crimine nel corso del quale è morta una guardia. Entrambi sono legati ad Alice, moglie separata di uno, da cui ha avuto un figlio ora adolescente, e rimaritata con l’altro. Il trio trova un punto d’unione in Jean-Christophe, per tutti J-C, guardia carceraria della prigione e amante del tango in una cui scuola incontra la donna. Il ballo argentino diventa una sorta di filo rosso che lega i tre e contagia anche gli altri detenuti. E’ una sorta di sogno libertario che permette ai detenuti di superare, idealmente, i muri della prigione e al carceriere di vivere una vita che vada oltre l’esistenza solitaria in cui è immerso. Tutto questo approda a conflitti vari e al convincimento dell’agente penitenziario che la sola cosa da fare è far evadere i due detenuti. Tuttavia, una volta liberi, gli ex galeotti, la donna e il ragazzo lo imbarcheranno sull’automobile con sui stanno scappando verso nuove avventure. E’ un film piacevole, ironico, moralmente irregolare in cui il ballo diventa una sorta di via di fuga dalle costrizioni della vita e dalle regole della società. Potrebbe sembrare qualche cosa di simile ad un invito alla ribellione anarchica. In parte è tale, ma ciò che più conta è lo sguardo di ribellione che propone nei confronti di un mondo grigio e oppressivo. Le sequenze più riuscite sono quelle dei numeri di ballo fra le mura della prigione, sono brani degni di un musical pieno di gusto, ritmo e speranza.
Tie pohjoiseen (Strada per il nord) del finlandese Mika Kaurismäki racconta una classica storia di riavvicinamento fra padre e figlio. Timo, un apprezzato pianista, è in crisi con la moglie che lo ha appena abbandonato portandosi dietro la figlioletta. Ancora immerso nelle turbe della separazione si vede capitare in casa l’anziano vistoso e corpulento Leo che dice di essere il padre che non lo vede da trentacinque anni. Sconcerto, primi conflitti, imbarazzo, poi l’anziano convince il più giovane a mettersi in viaggio verso il nord per raggiungere il rifugio della moglie fuggitiva e della figlia. Il genitore non ha remore nel rubare una macchina indispensabile per un viaggio che ha molte caratteristiche sia della scoperta di un passato annegato nelle nebbie del tempo, sia d’immersione nei segreti di una vita tutt’altro che chiara. Alla fine scopriremo che il genitore è appena uscito di prigione, dopo essere stato condannato per una rapina in banca, è malato e il viaggio e gli incontri che lo costellano sono, per lui, è una sorta di rivisitazione di un tempo ormai concluso. Allo stesso modo, per il figlio, il percorso verso le regioni settentrionali assume il significato di un recupero e conoscenza di un passato di cui non ha mai avuto consapevolezza. Sono temi non nuovi, così come appare scontata la scelta del viaggio quale riavvicinamento fra due esistenze che si ignorano anche se le legano profondi rapporti di sangue. Un film non molto originale, sia nella forma espressiva sia nello sviluppo della storia, ma che ha il merito di essere costruito con un’apprezzabile pulizia espressiva e una giusta misura narrativa.
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