Festival di San Sebastian 2005 - Pagina 4

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Festival di San Sebastian 2005
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Il tema è, come il solito, quello della solitudine, della mancanza di motivazioni, di una vita completamente priva di senso se orfana del denaro. L’operazione è meno riuscita di quella, di senso analogo, tentata con il film precedente, che rimane ben più vivo e compatto. Anche dal punto di vista stilistico l’aria è quella di un’operazione di riporto che, in molti punti, si trascina stancamente e ripetitivamente. Drabert (Omicidio colposo) è firmato da un altro danese, Per Fly, e parte come un film politico, si sviluppa come un dramma d’amore per finire in puro melodramma. Un maturo professore universitario ha una relazione con un’allieva che milita in un gruppuscolo rivoluzionario. Lei e i suoi compagni uccidono un agente durante un’azione dimostrativa contro una fabbrica d’armi. Al processo sono assolti perché non é possibile stabilire chi è il diretto responsabile dell’omicidio. A questo punto il film fa una svolta di 360 gradi e diventa un dramma psicologico sul senso di colpa e la passione irrefrenabile dell’anziano per la ragazza che, da parte sua, gli preferisce un coetaneo. Un po’ come avveniva nel precedente Arven (L’eredità, 2003) si parte da un quadro sociale intrigante e si finisce nelle storie sentimentali. Il risultato non é soddisfacente e il film ballonzola fra le varie possibilità di sviluppo finendo col deludere ogni attesa. Chiudiamo con un paio di film francesi, uno sloveno e uno inglese. Entre ses mains (Nelle sue mani) d’Anne Fontaine vorrebbe essere il classico prodotto di buona qualità francese fatta di solide sceneggiature, ottimi attori, fotografia precisa, storie abbastanza originali, ma l’obiettivo è stato mancato. La storia di una funzionaria di una società d’assicurazioni che incontra e s’innamora di un veterinario strambo, che si rivelerà un serial killer, zoppica in più punti, è interpretata da attori sul limite della sufficienza e si sviluppa con un ritmo talmente blando da rischiare la sonnolenza. Inoltre, la regia sfrutta ben poco lo sfondo, la città di Lille, che appare scelto più per ragioni economiche, il sostegno della locale film commission, piuttosto che per reali esigenze espressive. Insomma, un prodotto modesto che ridimensiona alquanto le speranze suscitate da Nathalie... (2003) dove almeno c’era d’apprezzare le performance di un trio davvero straordinario formato da Fanny Ardant, Emmanuelle Béart e Gérard Depardieu. Va poco meglio Je ne suis pas là pour être aimè (Non sono qui per essere amato) di Stéphane Brizé che ha al centro un maturo ufficiale giudiziario dalla vita triste e gretta. Un giorno decide d’iscriversi ad una scuola di ballo e qui conosce una trentaseienne che sta per sposarsi. E’ amore a prima vista e, dopo qualche intoppo, lieto fine e vita serena. Un classico film d’attori, professionalmente molto corretto, ma nulla più. Decisamente interessante, invece, Odgrobadogoba (Di tomba in tomba) dello sloveno Jan Cvitkovic la cui opera prima, Kruh in mleko (Pane e latte, 2001), ha vinto il premio De Laurentiis a Venezia 2001. Lo spirito è, per buona parte, quello dei classici film ex – jugoslavi, con personaggi eccentrici e situazioni strane, zingaresche, al limite del verosimile. Qui i protagonisti appartengono ad una famiglia il cui patriarca, oppresso dal dolore per la morte della moglie, tenta continuamente di suicidarsi. L’incontro con una piacente vedova risolverà ogni tribolo. Attorno a lui figli e figlie dalle situazioni alquanto singolari. Una ha un marito supercialtrone che, ogni tanto arriva a casa, si fa una sveltina, e sparisce. Una buona dose di legnate somministrategli dal cognato, oratore professionale ai funerali, lo rimetterà in riga. Un altro rampollo ha la passione per una vecchia cinquecento che cura maniacalmente, potenziandone il motore e riempiendola d’accessori. Quando morirà suicida, dopo aver sterminato tre bravacci che hanno stuprato e letteralmente inchiodato ad una tavola, sua sorella muta, si farà seppellire con l’automobile come bara. Nel veicolo si è nascosta anche la ragazza violata. La sequenza finale, con la terra che copre lentamente il veicolo oscurandone i finestrini, è veramente degna di un’ideale antologia di sequenze magistrali. Il film ha qualche discontinuità e indulge in alcune strizzate d’occhio kusturichiane, ma offre un bilancio più che positivo. Michael Winterbottom è autore notoriamente eclettico, capace di passare dal film sociale a quello storico, dall’opera di guerra a quella di fantascienza, dal racconto raffinato al semiporno. Con A Cock and a Bull Story (Un racconto inverosimile) si muove sul terreno, molto scivoloso, del film nel film. Una troupe sta girando una versione cinematografica di alcune parti dei romanzi che Laurence Stern (1713-68) ha dedicato a Tristan Shandy, Gentleman (1759/67). Gli affari sentimentali, personali, erotici d’interpreti, regista, produttore, e troupe si alternano alle riprese, alle difficoltà del lavoro, alle modifiche in corso d’opera. Il tutto accompagnato da musiche felliniane, a segnare una sorta d’omaggio a 8 e ½. Nella sostanza un piacevole divertimento senza altri significati che vadano oltre il gusto di raccontare una storia già vista.