Festival di San Sebastian 2005 - Pagina 3

Stampa
PDF
Indice
Festival di San Sebastian 2005
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Tutte le pagine
E’ un’opera media, ordinaria e senza guizzi d'inventiva. Anche Sud Express di Chema de la Peña e Gabriel Velázquez è un film a più personaggi, questa volta disposti sull’asse ferroviario che collega Parigi a Lisbona. C’è il taxista fascista, destinato alle prevedibili corna da parte di un ex – fidanzato della moglie, l’emigrante angolano che campa a malapena e finisce deluso dal sogno della grandeur francese, l’irregolare magrebino che insegue il sogno della ragazza francese incontrata per caso, il giovane paraplegico abbandonato dalla compagna che va a San Sebastian per proseguire gli studi, c’e’ il cacciatore che non ha il coraggio di uccidere il vecchio cane. Personaggi sul filo del sentimento e destini prevedibili sin dalle prime inquadrature. La struttura narrativa è tradizionale, senza raggiungere la classicità, un film di medio livello. Veniamo ora agli autori che operano nell’area linguistica spagnola. Fabián Bielinsky é un regista argentino che ha ottenuto uno straordinario successo con il film d’esordio, Nueve reinas (Nove regine, 2000), in cui due imbroglioni di Buenos Aires si mettono nei guai tentando di vendere ad un ricco collezionista una serie di francobolli falsi. Il medesimo meccanismo e lo stesso attore principale, ritornano in El Aura (L’aura) in cui un tassidermista dalla memoria prodigiosa é coinvolto in una rapina ad un furgone portavalori organizzata da una banda di feroci gangster boarensi. Finale con massacro, da cui emerge, sempre in modo abbastanza casuale, il solo imbalsamatore che sembra ritornare al lavoro come se nulla fosse successo. Il film, dotato di un alto tasso d’improbabilità e di uno spirito assai più banale di quello che percorreva il film precedente, di cui è una copia amplificata, nei soldi e nella confezione. E’ un meccanismo abbastanza complesso, ma freddo che scorre più per lavoro di testa che non per vera intuizione inventiva. La vida perra de Juanita Narboni (La vitaccia di Juanita Narboni) che la marocchina Farida Benlyazid ha tratto da una novella dello scrittore tangerino Ángel Vázquez (1929 – 1980), pubblicata nel 1976, racconta, in forma di lungo monologo, la vita e la decadenza di una signora della buona borghesia spagnola in Marocco fra il 1938 e gli anni settanta. Lo scenario é quello della Tangeri, fra la guerra civile spagnola e la nascita del nuovo Marocco. Gli eventi sociali e politici rimangono costantemente sullo sfondo lasciando il campo alla protagonista, una zitella che progressivamente s’incarognisce e decade sino ad una misera solitudine. Grande saggio interpretativo dell’attrice spagnola Mariola Fuentes, ma un testo più da palcoscenico che da schermo. Ovenene da madrugada (Il veleno dell’alba) del brasiliano, d’origine mozambicana, Ruy Guerra nasce da un racconto, La mala ora (1962), di Gabriel García Márquez. In un paese dell’America latina, vicino ad un grande fiume in piena, gli abitanti trovano ogni giorno alcuni foglietti anonimi, affissi alle porte delle case più importanti, che riportano pettegolezzi velenosi, anche se noti a tutti. Queste pasquinate diventano oggetto di un’indagine, non disinteressata, del capo della polizia che usa l’inchiesta per organizzare lo sterminio di una potente famiglia sua rivale. Il piano naufraga e il funzionario è ucciso. In realtà era un tentativo di vendetta, a lungo meditato, del figlio di una giovane, anni prima sedotta e cacciata in un bordello dal patriarca della famiglia. Il film è immerso in un’atmosfera notturna resa ancor più oppressiva da una pioggia torrenziale e costante. La vicenda si sviluppa per balzi, ritorni all’indietro, visioni diverse dello stesso fatto. E’ un raccontare greve, a tratti ieratico, oppressivo nel suo svilupparsi quasi interamente per primi e primissimi piani. Uno stile che ha ben poco a che vedere con quello dello scrittore. Una volta ancora l’autore di Cent’anni di solitudine è tradito dalla trasposizione cinematografica delle sue pagine. Questa manifestazione cinematografica ha sempre prestato molta attenzione alle cinematografie nordiche e centro europee, così è stato anche quest’anno. Simon Stahlo, autore del pregevole Dag och natt (Giorno e notte, 2004) è ritornato dietro la macchina da presa con Bang Bang Orangutang, girato, come il precedente, in gran parte all’interno di un’automobile. Questa volta il protagonista è un manager che, nel giro di poche settimane, piomba da una condizione di potere al ruolo di taxista. Una banale distrazione alla guida lo rende responsabile della morte del figlio. La moglie lo lascia e gli porta via l’altra figlia, dopo poco perde l’impiego e ogni fortuna. In preda ad una sottile, ma crescente paranoia s’innamora di una ragazza, che non vuole saperne di lui, spia la moglie e, alla fine, rapisce la figlia finendo circondato dalla polizia in una sequenza che ha del surreale.