31° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier - Pagina 4

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31° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier
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Drammi occidentali
Drammi occidentali
Eastern Plays (Drammi occidentali) del bulgaro Kamen Kalev è il classico ritratto delle drammatiche condizioni, morali e materiali, in cui sono piombati i paesi ex – socialisti dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Qui il filo del racconto passa attraverso le storie di due fratelli: un artista frustrato, appena uscito dal baratro della droga, e un giovane tentato dalla violenza di una banda fascista e razzista. Tutt'attorno ci sono famiglie distrutte, donne emarginate, politici disposti a usare la delinquenza comune per raggiungere i propri obiettivi di potere. Esaminato da un punto di vista stilistico, il film non contiene grandi elementi di novità, ma ha il pregio di ribadire con forza lo stato di profonda decadenza e violenza diffusa di cui sono preda molti paesi dell’ex Europa orientale.
1 a 0
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Wahed – Sefr (Uno a zero) di Kamela Abu Zekri è un brutto film egiziano con non poche sfumature di regime, cosa che non sorprende, visto che è stato finanziato quasi per intero dal Ministero per la Cultura de Il Cairo. Sono varie storie che s’intrecciano e confluiscono in una notte molto particolare, quella di domenica 10 febbraio 2008 in cui si gioca la finale della Coppa delle Nazioni Africane fra le nazionali egiziana e camerunense. La vittoria arriderà ai cairoti per uno a zero (gol di Mohamed Aboutreika al 70’). Attorno a queste ore di tifo acceso si sviluppano le storie di una donna ricca che ha per amante un giovane e cinico intrattenitore televisivo, una ragazza osservante amata da un timido garzone di panetteria, una piccola imbrogliona che vende privatamente creme che dice essere miracolose e il cui figlio, apprendista parrucchiere, sta cercando aprire un suo negozio strappando le clienti al vecchio padrone. Tutte queste vicende confluiscono in un commissariato di polizia in cui un dirigente bonario, tollerante ed esaltato dalla vittoria della nazionale, manderà tutti a casa felici e contenti. Il film ha un taglio a dir poco buonista, sia nei confronti dei personaggi, sia verso il governo che appare rappresentato da funzionari tolleranti, disponibili e intelligenti. E' un’opera mal costruita, con una regia zoppicante e una storia piena di buchi, come dire un film da dimenticare.
La lunga notte
La lunga notte
Al lail al talee (La lunga notte) dell’attore e regista siriano Hatem Ali si apre con il protagonista che recita alcuni versi tratti una scena del Re Lear di William Shakespeare (1564 – 1616): Soffiate, venti, sin a farvi scoppiare le gote, infuriate, soffiate! / Turbini e cataratte del cielo, diluviate / sino ad affogare le banderuole giravento in cima ai campanili. Un preannuncio di tempesta che ben si attaglia a questa storia, che inizia in una cupa prigione siriana in cui sono detenuti quattro intellettuali dissidenti che hanno scontato già una trentina d’anni di galera. Il governo decide di liberarne tre che sono restituiti a un mondo completamente diverso da quello che avevano lasciato. C’è il fratello che ha fatto carriera come avvocato, inserendosi perfettamente nelle maglie del regime, c’è la figlia che ha preferito fuggire e rifarsi una vita a Parigi, c’è il nipote che continua cocciutamente e disperatamente a contestare il potere, ma senza troppe speranze di successo. Uno dei tre, quello dotato di maggior carisma e prestigio, anziché ritornate a casa dai parenti preferisce andare a morire nella dimora in cui è nato, una villa imponente ora semideruta. E’ un film dalla forte componente teatrale, con la macchina da presa spesso ferma davanti a personaggi che dialogano o intenta a riprendere lunghi primi piani dei protagonisti. Il tutto in un’atmosfera volutamente cupa che preferisce le parole alle immagini. Un’opera politicamente molto importante, visto che arriva da uno dei regimi più longevi e crudeli della storia mediterranea, ma che aggiunge poco allo sviluppo del linguaggio filmico. Certo, il dolore, la disperazione e la denuncia ci sono tutti, ma quello che manca e la dinamicità di un discorso che appare come immobile nel tempo, privo di coordinante reali, teso più al trionfo della recitazione che non alla comprensione del dramma.