25mo Festival Internacional de Cine, Cinema Jove

Stampa
PDF
Indice
25mo Festival Internacional de Cine, Cinema Jove
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
I premi
Tutte le pagine

Image

Sito del festival: www.cinemajove.co

VALENCIA. Promosso dal Ministero per la Gioventù, celebra la 25° edizione il Festival Internacional de Cine, Cinema Jove. Condizionata dalla crisi che ha colpito la Spagna e i Festival di cinema, la rassegna diretta da Rafael Maluenda ha reagito con scelte di qualità, a cominciare dai nove film in concorso fino al mercato del corto. Lo testimonia il debutto della polacca Qatariana Roslaniec (1980) con Galerianki (Ragazze al centro commerciale), che getta uno sguardo impietoso su studentesse che si prostituiscono. Appena premiato al Festival di Zlin, il film presenta tre quattordicenni, compagne di classe, che passano dalla scuola al centro commerciale offrendosi in maniera disinibita ad adulti che le pagano. Le guida Milena, la più sfacciata e la più volgare, che tende a vestirsi bene e a fare proseliti a scuola. Inevitabile che Alicja, studentessa diligente e isolata, sia attratta dal gruppo.

Eamon
Eamon

Superate difficoltà e diffidenze, la ragazza comincia a integrarsi e stabilisce un rapporto stretto con Milena. Dopo le prime esperienze sessuali, e forte dell’esperienza, tenta di riallacciare col timido boyfriend, Michal. Il ragazzo, impacciato e sorpreso, ha un rapporto di una velocità anni luce. “Uno, due: fatto”, le dice lei, che ingenuamente lo confida a Milena che lo racconta alle amiche. A scuola diventa  un ritornello. Michal, pieno di vergogna, si getta da una finestra. Alicja si rende finalmente conto della malvagità di Milena e dell’errore commesso, e si ribella. Leggermente didattico, un film credibile sul mondo giovanile frastornato da pubblicità, successo e denaro.

Ragazze al centro commerciale
Ragazze al centro commerciale

In chiave leggermente eccentrica, invece, il debutto dell’irlandese Margaret Corkery (1976) con Eamon. I protagonisti: una madre egoista, un padre frustrato, un figlio di sei anni con problemi di comportamento. In una breve vacanza al mare, madre e figlio dormono insieme. Relegato in un’altra camera, il padre è irrequieto. Sulla spiaggia, inoltre, lei civetta con un bagnante. Ci sono tutti gli ingredienti per un film triste su un padre irresoluto e una giovane madre tiranno. Invece, dopo aver subito in silenzio, il padre tenta di far capire al bambino che spetta a lui dormire con sua moglie, e interviene sulla donna che cede quando scopre che il bagnante adocchiato è gay e constata che lei sta ingrassando. Il nuovo idillio tra i genitori, tuttavia, non chiude il film. Il protagonista è il bambino: Eamon (Robert Donnelly) e il trovarsi in disparte provoca la reazione che diventa la chiave del film che sembra adombrare lo spirito di Buñuel.


Miguel Baratta e Patricio Pomares
Miguel Baratta e Patricio Pomares

Fiore all’occhiello del 25º Festival Internacional de Cine, Cinema Jove, la retrospettiva completa dei film di Matteo Garrone che vengono presentati in Cineteca nella piazza del Comune, nella rinnovata sala dedicata a Luis Berlanga. Stranamente, accanto ai giovani che frequentano il Festival, molti gli anziani che assistono alle proiezioni. Il regista romano sarà a Valencia sabato 26 per ricevere il premio Luna de Valencia. Frattanto Daniele Monzòn, il regista di Cella 211 (Celda 211), presenta 16 film che hanno segnato la sua carriera: da M, il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang a La cosa di John Carpenter. Tornando al concorso, un curioso e promettente esordio, quello di due argentini appena usciti dall'università di Buenos Aires: Miguel Baratta, Patricio Pomares. Il film, El fruto (Il frutto) dura soltanto 65 minuti e fa tesoro della lezione di Carlos Sorín. Frammenti di vita, ripresi in tempo reale, illustrano la giornata di un contadino, dal risveglio al tramonto. La cinepresa descrive la colazione, con dettagli che rimandano alla pittura di Giorgio Morandi, quindi segue l’anziano agricoltore che copre la terra attorno alle radici di una pianta che tenterà di vendere. Si avvia lentamente sulla strada di campagna, in un paesaggio sereno e deserto. In un villaggio si ferma, mangia un panino con alcuni operai e racconta storie di altri tempi. Storie di un mondo che non c’è più e che affascinano gli operai. Quindi prosegue per il suo cammino. Tenta invano di vendere la pianta, e per colmo di sfortuna cade e si ferisce a un piede. Una donna glielo disinfetta e glielo fascia, poi un giovane lo fa salire sul suo pick up e lo riporta a casa. Forse parlare di minimalismo è fuorviante. Sembra piuttosto un invito a riappropriarsi della capacità di vedere, di rendere allo sguardo la sua visione primitiva. Cogliere il tempo, il ritmo e il sapore del mondo che ci circonda senza lasciarsi frastornare dal frastuono del cinema commerciale che tenta di impossessarsi dello spettatore come fanno gli illusionisti.

Cattiva famiglia
Cattiva famiglia

In concorso anche il film prodotto da Aci Kaurismaki e diretto da Aleksi Salmenperä (1973), Paha perhe (Cattiva famiglia). Definito tragicommedia dai produttori, il film presenta un moderno padre-padrone che da sedici anni si è separato dalla moglie, vive con una donna più giovane dalla quale ha avuto un figlio, e col figlio del primo matrimonio. La morte della prima moglie, gli riporta in casa la figlia che viveva con lei. Fratello e sorella si ritrovano e scoprono una complicità tra coetanei. I due non solo confabulano esperienze giovani liste, ma decidono anche di dividere la stessa camera da letto. Il padre sospetta l’incesto. Dinanzi a un figlio reticente e a una figlia che lo accusa di non aver mai risposto alle sue telefonate, l’uomo passa alle maniere forti. Fino a coinvolgere un collega nel sequestro del figlio e a deportarlo su un’isola dove possa riflettere sul suo comportamento. Tuttavia sarà il giovane ad avere la meglio e a far risaltare la paranoia del padre, agente di polizia, preoccupato soltanto di mantenere l’ordine, nel paese e in famiglia.


Stanza a Roma
Stanza a Roma

Nei festival cosiddetti minori non sempre la sezione ufficiale costituisce la parte più importante. Vi si trovano spesso film visti in altri festival. Le scoperte si fanno nelle sezioni parallele. Al 25º Cinema Jove, la sezione Un futuro de cine, che premia mettendo in luce giovani attori, quest’anno ha reso omaggio all’attrice russa Natasha Yarovenko che ha appena interpretato il nuovo film di Julio Medem Habitación en Roma (Una camera a Roma). Il film, presentato anche al Festival del cinema spagnolo di Malaga, si svolge a Roma in una camera d’albergo con un balcone che si apre sui tetti della capitale. Inizio dell’estate 2008. Per Alba (Elena Anaya) e Natasha è l’ultima notte italiana. Si sono appena conosciute. Il giorno dopo una volerà a Madrid, l’altra a Mosca. Ora però la notte è tiepida e Alba invita Natasha per un ultimo bicchiere in camera sua. Natasha è indecisa, poi accetta. In camera, dopo alcuni preliminari, il regista le scopre: dentro e fuori. Alba non fa mistero delle sue tendenze lesbiche, ma il racconto della sua sessualità nasce da una lunga storia familiare cominciata in Oriente. Di rimando c’è la storia speculare di Natasha. Ha una gemella e, chiacchierando, le confida che parla italiano, ha studiato storia dell’arte del Rinascimento, ha capacità tennistiche e ha subito un sopruso paterno che invece di preoccupare la sorella le ha provocato un sentimento di emarginazione. Non si capisce, però, se è stata lei a subire violenza o la gemella. E’ come un puzzle che si va completando, ma anche un gioco parallelo alla manovra erotica in cui Alba coinvolge l’ospite. Ne è testimone un cameriere rispettoso e comprensivo (Enrico Lo Verso) che fa servizio al piano. Le ragazze gli offrono anche l’illusione di un coinvolgimento a tre. Non è così. Il cameriere lo capisce, e non fa una piega. Si congeda sorridendo e cantando con voce di tenore. Natasha, nuova al rapporto con una donna, è reticente, e spesso il rapporto assume toni duri. E’ un tira e molla. L’ospite tuttavia si lascia affascinare dall‘intraprendenza dell’altra. Tra momenti di affettuosa fusione e altri dai toni irati le due “sconosciute” fanno giorno e osservano dal balcone lo spuntare dell’alba. Scendono in strada ed è il momento della separazione. Sorta di passaggio di testimone (Elena Anaya ebbe lo stesso premio nel 1997), il film descrive una casta relazione sessuale, lontana dagli schemi del pornofilm. Adombra un discorso che si vorrebbe sociologico, ma è soltanto un gioco. Natasha Yarovenko, parlando del lavoro con Julio Medem, ha definito la sua interpretazione come un’esperienza curativa. Noi attori - ha dichiarato - immaginiamo, creiamo e tiriamo fuori le nostre emozioni e i nostri sentimenti; superiamo le nostre paure, i complessi e il senso del ridicolo apprendendo a controllare e a indirizzare le nostre energie facendo un lungo viaggio insieme con i nostri personaggi. Certamente per me il viaggio più profondo è stato interpretare il personaggio di Natasha. Nel film ho aperto la mia anima, l’ho svuotata, e quando è terminata la lavorazione ne sono uscita nuova, limpida e pura superando tutte le mie paure.


Giorni di strada
Giorni di strada

Tra gli ultimi film in concorso al 25º Cinema Jove, Submarino di Thomas Vinterberg, già visto al recente Festroia, il thriller georgiano Quchis Dgeebi (Giorni di strada) di Levan Koguashvili, e due film di lingua francese: il discusso bio-pic Gainsbourg – vie héroïque (Gainsbourg – vita eroica) di Joann Sfar e il canadese J’ai tué ma mère (Ho ucciso mia madre) di Xavier Dolan, premiato a Cannes. Quello georgiano è un film violento, e parla di una generazione perduta a vent’anni dalla caduta del Muro. Finito il mondo di ieri, non adatti a quello di oggi, molti sopravvivono al margine di un mondo che non comprendono. Il tutto visto da un padre di famiglia, spacciatore, che si destreggia nelle strade della capitale. Coinvolto da agenti di polizia per incastrare un personaggio importante, non avrà scampo. Girato con attori non professionisti, segna il brillante esordio di questo regista dopo dieci anni di corti e di documentari e dopo alcuni anni di studi a New York.

Ho ucciso mia madre
Ho ucciso mia madre

Ho ucciso mia madre è il titolo del tema svolto dal sedicenne Hubert Minel, che accusa il malessere di vivere con la madre divorziata. Una vita di routine dopo il lavoro, la donna è l’esatto contrario del figlio, studente di belle arti, scrittore in erba, un rapporto omosessuale non dichiarato. Sa tutto, invece, la madre del suo compagno che candidamente lo comunica a sua madre. Lei  si sente esclusa. Ed è motivo per rinnovare i litigi quotidiani, dopo l’alterco per aver scritto nel tema che lei è morta. Il ragazzo va via di casa e si fa ospitare da un’insegnante. La sua assenza induce i genitori a metterlo in collegio. Hubert scappa dall’internato provocando una lite tra la madre e il rettore. Ci saranno altre liti tra madre e figlio, e ricordi del calore dei rapporti quotidiani di quando era bambino, ma dovranno imparare a convivere ancora per qualche tempo. Scritto, diretto e interpretato da Xavier Dolan a vent’anni, descrive la ribellione quotidiana dell’adolescente che anela a una vita d’artista, ma è costretto a fare i conti con le esigenze quotidiane e con le abitudini borghesi della madre. Un film come un grido, tra incomprensioni e slanci, per affermare che a sedici anni si ha ancora il mondo in tasca.

Gainsbourg – vita eroica
Gainsbourg – vita eroica

Del tutto diversa la ribellione dell’adolescente e dell’adulto Serge Gainsbourg, descritte nel primo film dell’ex disegnatore di fumetti Joann Sfar. Prossimo ai quaranta anni, studi di filosofia e di Belle Arti, Sfar ha scelto una visione fantastica per illustrare le reazioni di Serge bambino ebreo sotto l’occupazione nazista. Pittore in erba, avviato alla musica dal padre, lo ritroviamo nel dopoguerra, compositore e cantante. Sempre seguito dalla sua coscienza inquieta, impersonata nel film dal suo doppio, si fa apprezzare da personaggi famosi ostentando un comportamento schivo, spesso provocatore, a volte da misantropo. Interpretato dal rassomigliante Eric Elmosnino, vediamo l’icona della cultura francese del secolo scorso accompagnarsi con le più belle donne dell’epoca: da Juliette Greco a Brigitte Bardot (Laetitia Casta) e a Jane Birkin (Lucy Gordon). Non manca un accenno agli scandali sessuali e alla lotta politica, ma il bio-pic nasce nella mente di un pittore che l’ha scritto e diretto adombrando un mondo fantastico e insistendo sul rapporto di Serge con i genitori. Una fantasia di 130 minuti, con le musiche che s’imposero nei cabaret anni Sessanta frequentati da Gainsbourg, con gli eccessi e con le illuminazioni di un poeta, che era pittore, compositore, cantante.


Ragazze al centro commerciale
Ragazze al centro commerciale

Il 25º Festival Internacional de Cine, Cinema Jove, per tradizione, assegna un solo premio ai lungometraggi in concorso. La giuria, presieduta dall’attrice Ana Álvarez, ha premiato con la Luna de Valencia il film polacco Galerianki (Ragazze al centro commerciale) di Kasia Roslaniec del quale abbiamo scritto giorni or sono. In via eccezionale è stata data una menzione speciake al film danese Submarino di Thomas Winterberg. Un’altra giuria ha assegnato il premio al miglior cortometraggio allo spagnolo Rumbo a peor (Verso il peggio) di Alex Brendemühl.