Antalya Film Festival 2007 - Pagina 5
Scritto da Umberto Rossi
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22 Ottobre 2007
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Uovo
Lattesa è stata lunga, ma, alla fine, il buon film turco è arrivato. Yumurta (Uovo) di Semih Kaplanoğlu è unopera che rientra appieno nel migliore filone moderno di questa cinematografia, quello che ha come autore di punta Nuri Bilge Ceylan. E un modo dintendere lo stile filmico fatto più di silenzi che di parole, denso di lunghi piani sequenza, ricco dintrospezione psicologica, impreziosito da paesaggi suggestivi, attento ai personaggi veri. A questo proposito occorre fare una premessa. Il cinema turco sta riprendendo la strada del cosiddetto cinema di campagna, un vero e proprio genere che, da queste parti, ebbe vasta cittadinanza negli anni sessanta e settanta. Un filone frequentato da autori di grande prestigio come Lutfi Akad, il fondatore del nuovo cinema neorealista turco, e Yilmaz Güney. Era costruito su racconti che usavano i moduli tipici del cinema commerciale - il poliziesco, il western autarchico, il film di vendetta per costruire storie dense di proposte sociali avanzate, denunce politiche, impeti rivoluzionari. Qualche cosa di molto simile al cinema di Damiano Damiani o, con particolarità stilistiche imparagonabili o, al limite, Francesco Rosi. Una delle caratteristiche di questa tendenza era che i suoi protagonisti - registi, attori e, frequentemente, attori / registi - erano intellettuali di città, o autori dorigine periferica (tipico il caso di Yilmaz Güney) che si assumevano il compito di portare il verbo, quasi sempre lincitamento alla rivolta, presso gli umili, gli incolti o, nel migliore dei casi il vasto pubblico cittadino fruitore del cinema commerciale di tipo tradizionale. Oggi la situazione è profondamente diversa, sono intellettuali e artisti dorigine contadina o che nella campagna hanno mantenuto salde radici, a ritornare alla periferia e al paesaggio rurale. Lo fanno non per portarvi qualche cosa di urbano, ma per andare alla ricerca delle loro origini, vale a dire di quelle dellintero paese. Da qui un forte rispetto per il realismo nella messa in scena, il ritratto fedele della piccole città, spesso sprofondate nel deserto dellAnatolia, la precisione nella descrizione dei personaggi, la nostalgia malinconica verso i valori che rischiano di essere o già sono stati cancellati dalla modernizzazione forzata delle grandi città. E un processo che non esclude affatto la politica, ma vi arriva in modo indiretto e, proprio per questo, più forte e profondo. Non è un caso se quasi tutti i personaggi di questo cinema sono dominati dalla malinconia del vivere, dalla marginalità dellesistenza, dal degrado morale.
Distante
A questo proposito, si pensi
Uzak (Distante, 2002) di Nuri Bilge Ceylan e al personaggio centrale del fotografo, in crisi per labbandono della moglie, che è riuscito ad inserirsi economicamente bene nella città e che caccia il cugino, ingenuo e ruspante, venuto a turbare il suo tram tran di colletto bianco scettico, ma ben amalgamato con il vivere moderno. Oppure, rimanendo ancora nel cinema di questo regista che è il vero caposcuola morale di questa corrente, al docente universitario maschilista, violento e disperato protagonista di
Iklimler (Il piacere e lamore, 2006). Lo scorso anno, nel quadro del Festival Internazionale del film di Salonicco è stata organizzata una mostra sul lavoro di questo autore come fotografo, professione in cui aveva ottenuto ottimi successi prima di approdare al cinema. Bastava osservare con attenzione le sue foto di paesaggi, quasi sempre colti durante le riprese dei film e nei mesi invernali (Theo Angelopoulos docet) per rendersi conto di quanto dolore, vera partecipazione e bellezza ci sia nel suo approccio alla campagna e allimmenso interno del paese.
Poster mostra di Salonicco
Questi dati sfociano in una linea narrativa basata su personaggi vivi, dettagliati, definiti non dalla funzione sociale, che si muovono sempre nel mondo borghese e partecipano ad attività creative, quanto dalla profondità e complessità della costruzione psicologica. Ciò che conta è lo spirito profondo, non gli eventi. Con questottica si dicono molte cose, anche limitandosi a narrare le incomprensioni fra due amanti, veri o possibili. E quanto capita ai protagonisti di questultimo film, opera terza di un regista che, con
Herkes kendi evinde (Lontano di casa, 2001) e
Melegin düsüsü (Langelo caduto, 2005), si è conquistato buona fama cinematografica, dopo essersene guadagnata una, solidissima, quale autore televisivo. Lopera apre una trilogia, i cui capitoli successivi sintitoleranno, rispettivamente,
Latte e
Miele, e può essere riassunta in poche righe. Yusuf, libraio e poeta dilettante, ritorna controvoglia al villaggio natale per celebrare il funerale della madre. Nel piccolo paese incontra la ragazza che ha assistito la defunta per molti mesi.
![Image Image](http://cinemaeteatro.com/images/stories/cinema/uovo 2.jpg)
E una donna modesta, timida, molto bella, che lo forza dolcemente a effettuare il sacrificio rituale che la morta voleva. Sempre più fievolmente luomo sostiene che deve ritornare ad Istanbul, ma, dopo una notte passata allaperto la sequenza è da antologia bloccato da un enorme cane da pastore, si deciderà a rimanere. Non un bacio è stato scambiato fra i due, ma limmagine finale che li vede fare colazione insieme ha molta più forza di qualsiasi dato esplicito. E un film molto bello in cui latmosfera conta assai più dei fatti e che ci offre, ancora una volta, uno sguardo ruvido e tenero su una terra fredda e inospitale, ma ricca di valori, simboli e radici culturali che, per fortuna, la modernità non è riuscita ad estirpare del tutto.