Antalya Film Festival 2007 - Pagina 3

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Antalya Film Festival 2007
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La nebbia e la notte
Riprendiamo il discorso sul cinema turco con S¡s ve gece (La nebbia e la notte), opera seconda di Turgut Yasalar. E’ il classico poliziesco venato di accenni sociali – il terrorismo, la guerra civile curda, i sequestri e le torture della polizia politica – che si conclude con il non meno prevedibile colpo di scena. Durante l’assalto all’appartamento in cui vivono alcuni ricercati (il film parla genericamente di terroristi, ma nel vocabolario dei media turchi questo termine ha una valenza assai larga) un funzionario di polizia spara a due fuggiaschi e ne ferisce uno. Pochi giorni dopo lo stesso poliziotto scopre che la sua giovane amante è scomparsa e inizia a cercarla affannosamente senza risultato. Dopo un bel po’ di avvenimenti, scoprirà, in modo del tutto casuale, che la figura contro cui ha sparato nella notte era proprio la donna che sta cercando e il cui cadavere è finito in un congelatore abbandonato nella cantina del palazzo in cui la ragazza abitava. Il film è ben costruito, anche se con qualche passaggio non proprio limpido, e ha il merito di spruzzare la storia di riferimenti a brucianti problemi d’attualità, ma, nella sostanza, ha solo l’obiettivo, in gran parte centrato, di costruire un prodotto professionalmente solido, destinato al consenso del grande pubblico. Nulla di male, in questo, non siamo certo alla presenza di quello che si suole definire cinema di qualità.
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La scomparsa di Deauville
Nella sezione della competizione internazionale è stato presentato il secondo lungometraggio diretto dall’attrice Sophie Marceau. S’intitola La disparue de Deauville (La scomparsa di Deauville) è ha il tono di uno di quei polizieschi in cui, più che lo sciogliemmo del mistero visto che si tratta di una soluzione intuibile dopo una decina di minuti, ciò che sta a cuore alla regista è un clima intellettuale e tenebroso che trova nei personaggi il principale punto d’appoggio. Qui, in particolare, tutto ruota attorno alla figura di un poliziotto in crisi che non riesce ad elaborare il lutto per la morte della sua compagna, anche se non rinuncia a fare il suo lavoro. Per avere un’idea della profondità delle scelte di regi basti dire che l’interprete di questo personaggio, il professionalmente da sempre modesto Christophe Lambert, non trova di meglio che strabuzzare gli occhi, girare vestito come un accattone reinterpretato da un qualche stilista, andare a letto senza togliersi gli abiti, riuscire a sfuggire, nelle situazioni più incredibili, ai colleghi che lo stanno inseguendo. La storia ruota attorno ad un maturo riccastro che finge il suicidio per prendere il largo con la bella di turno la quale, guarda caso, assomiglia come una goccia d’acqua ad una diva, morta 36 anni or sono, di cui l’imbroglione era un ammiratore fanatico. Ovvio che, alla fine, il malvagio paghi il fio dei suoi delitti, mentre il questurino e la donna, che si era accoppiata con il lestofante per compiere una sua personale vendetta, partono, ricchi e felici, verso un futuro radioso. E’un film pretenzioso, girato da un’autrice convinta che lo stile si conquisti con vorticosi giri di macchina, che il ritmo lo si ottenga con corse d’auto simili a quelle che popolano i telefilm americani e che agli attori basti essere presenti per dare vita ai personaggi.
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Il gioco del ragazzo povero
Meglio allora il modesto artigianato di cui da prova il canadese, d’origine giamaicana, Clement Virgo che disegna in Poor Boy’s Game (Il gioco del ragazzo povero) il difficile percorso verso la redenzione e la vita normale di un giovane di periferia, incappato in una dura condanna per aver causato un danno mentale irreparabile ad un coetaneo. Sarà la boxe, con le sue dure regole, ad aprirgli la strada verso il reinserimento sociale e il perdono dei genitori del giovane menomato. E’ un film semplice, senza alcuna pretesa stilistica avanzata, ma che ha il merito di dire bene le poche cose che si è prefisso di comunicare.