Sguardo sul cinema rumeno

Stampa
PDF
Indice
Sguardo sul cinema rumeno
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Tutte le pagine

La prima affermazione del nuovo cinema rumeno è avvenuta in un momento ben preciso. Nel maggio 2007 il Festival del Cinema di Cannes, sessantesima edizione, mette in cartellone 4 luni, 3 saptamini, 2 zile (4 mesi, 3 settimane e 2 giorni) di Cristian Mungiu. Il film conquista subito il consenso della critica e, a fine manifestazione, anche quello della giuria che gli assegnerà la Palma d’Oro. E’ uno di quei testi in cui la storia conta poco e si può rinchiudere in poche parole: una giovane donna deve abortire e chiede a una sua amica di assisterla. L’intervento è fatto in una camera d’albergo e va a buon fine nonostante un susseguirsi d’incidenti e difficoltà. Nessun evento straordinario, ma una piccola tragedia in un paese in cui - nel 1987, anno in cui la storia è ambientata - l'interruzione clandestina di gravidanza è considerata un reato grave punito severamente.

Alla caduta del regime, due anni dopo, si calcolò che quando l’aborto era vietato per legge, con l’intento di avere a disposizione una mano d’opera abbondante, ogni anno più di un milione di donne vi aveva fatto ricorso clandestinamente. E’ un dato importante, ma è ancora un’informazione sociologica, ben più efficace è la descrizione, mirabile nel film, dei rapporti che s’instaurano fra le due donne, il fidanzato di una di loro, il sanitario che pratica l’interruzione di gravidanza pretendendo, in cambio, che entrambe gli si concedano prima di realizzare l’intervento operazione. E’ un quadro variegato e cesellato da cui emergono un panorama sociale e umano disperato, contornato da uno scenario dominato da miseria, abbandono, disgregazione. E’ questa l’opera seconda di un regista che aveva esordito cinque anni prima con Occident e che diventerà una figura di punta di questa cinematografia sia come autore e, soprattutto, come produttore. Due anni dopo questa vittoria ritornerà sulla Croisette con un’altra opera a più voci di grande forza di cui è il produttore e l’anima essenziale. Amintiri din epoca de aur (Racconti nell'età dell'oro) raccoglie cinque storie - firmate da Hanno Höfer, Razvan Marculescu, Cristian Mungiu, Costantin Popescu, Iona Uricaru - dedicate ad altrettante leggende metropolitane in vigore all'epoca di Nicolae Ceauşescu (1918 - 1989). Si passa dai pasticci innescati dall'annuncio della classica visita del dittatore a un villaggio di campagna, ai traffici cui sono costretti, vera economia del baratto, i comuni mortali, alle assurdità imposte da funzionari più papisti del papa, alla pratica dello sport nazionale: imbrogliare lo Stato e gli altri cittadini. Come sempre capita in produzioni di questo tipo, non tutte le parti hanno un'identica forza, ma due s’impongono sulle altre: l'esplosione in un appartamento i cui inquilini hanno tentato di macellare un maiale in casa e la piccola truffa ordita da due ragazzi per guadagnare qualche lei facendosi passare per funzionari pubblici che chiedono agli abitanti di un casermone bottiglie con un campione di acqua potabile. In realtà il loro scopo è raccogliere bottiglie per poi rivenderle. Il film è percorso da un'ironica intelligenza che invita a fare i conti con un passato terribile e questo senza eccessi retorici e con la convinzione che il sorriso è l'arma migliore per liquidare gli sciocchi e i violenti. Qui troviamo due delle principali caratteristiche di questo cineasta, dati che segnano anche gran parte della cinematografia rumena: il richiamo al realismo e l’uso di un’ironia costantemente intrisa di malinconia e disperazione. Volendo fare un paragone, sicuramente forzato verrebbe da citare lo spirito che permea gran parte della cultura della vecchia Cecoslovacchia. A questo proposito si potrebbero citare sia Il buon soldato Sc'vèik (1912) di Jaroslav Hašek (1883-1923), sia quella parte della nová vlna che ha come principale esponente Jiří Menzel (1938). Il cinema di Cristian Mungiu e dei cineasti che gli sono vicini partecipa di uno spirito molto simile a questo.

A questo tipo di approccio se ne affianca un altro, dominato da elementi tragici, un tipo di cinema che aveva attirato l’attenzione di molti critici ancor prima del successo del titolo cui abbiamo appena parlato. Una di queste opere è Moartea domnului Lazarescu (La morte del signor Lazarescu, 2005) opera seconda di Cristi Puiu che aveva esordito nel 2001 con Marfa si banii (Beni e denaro, 2001). Quest’ultimo film registra, con taglio apparentemente documentario, la morte di un anziano pensionato, col debole della bottiglia. Il vecchio si sente male un sabato sera e, fra diagnosi sbagliate, vicini impiccioni e incompetenti, soccorsi in ritardo, spira qualche ora dopo. È una cronaca apparentemente banale, in realtà ricca di notazioni e dure accuse alla disgregazione morale e materiale di una società passata da una feroce dittatura a un liberalismo selvaggio. La macchina da presa segue con lievità e discrezione il calvario del vecchio e lo fa sino a quasi rendersi impercettibile, lasciando spazio alla tragedia quotidiana che si consuma sotto i nostri occhi. Ci mostra il malato, imperterrito ribante per solitudine e abbandono, che scende, passo dopo passo, nell’inferno della sanità incompetente o impotente. Dopo quest’opera, veramente di grande rilievo, il regista firma una coproduzione multinazionale, Offset (2006), alla cui realizzazione contribuiscono Francia, Romania, Germania, e Svizzera. E’ la storia di un triangolo amoroso che tende a una riflessione sull’Europa e, in particolare, sui rapporti fra Germania e paesi ex – socialisti.

Quattro anni dopo, nel 2010, arriverà quella che, sino ad ora, è l'opera più importante firmata da questo cineasta: Aurora, ove il regista s’impegna anche nel ruolo di’interprete principale. Come i precedenti anche questo film ha un andamento lento, attento ai piccoli gesti del quotidiano, ai lunghi silenzi interrotti da atti di grande violenza, mai mostrati in modo compiaciuto. La storia è quella dei due giorni nella vita di un ingegnere siderurgico turbato dal divorzio con la moglie, rancoroso verso i suoceri e il notaio che ha indotto la donna a lasciarlo. Meditabondo, cupo, solitario attraversa le ore con gesti che sembrano insensati, ma che hanno fini precisi: l’uccisione dei suoi nemici. Compirà la strage e si consegnerà alla polizia, quasi adempiendo un rituale burocratico, lo stesso che lo accoglie fra le mura del commissariato. Indifferenza, malessere esistenziale, difficoltà di rapporto con gli altri, tutto questo rimpolpa un film di grande forza che chiede allo spettatore la pazienza necessaria a seguirne i tempi narrativi consegnando, alla fine, un ritratto disperato e impietoso in cui brillano persino alcuni frammenti d’ironia. E’ qui che possiamo cogliere i tratti fondamentali di un modo di fare cinema che si muove in sintonia con le più moderne tendenze dell’espressione filmica, facendo coincidere il tempo della narrazione con quello della vita e dando a questa scelta il valore di un richiamo all’osservazione attenta, al rifiuto della superficialità e della corsa che segnano il cinema e la vita moderna.

 


 

Un approccio stilistico che ritroviamo in numerose opere di questi anni come, ad esempio, Politist, adjectiv (Poliziesco, aggettivo, 2009) di Corneliu Porumboiu un cineasta che aveva già all’attivo un titolo di grande forza inserito anche nei cartelloni delle nostre sale: A Fost sau n-a fost? (letteralmente C’è stato o non c’è stato, ma il titolo internazionale è stato 12:08 Est di Bucarest, 2006). Questa sua nuova fatica è uno straordinario ritratto dell'adeguamento di un giovane agente alle regole burocratiche e al rispetto delle gerarchie. Cristi è un poliziotto che prende sul serio il lavoro, ma non dimentica le ragioni umanitarie. Un informatore gli segnala che alcuni liceali fumano hashish, cocciuto e umano inizia a pedinare uno degli studenti e si rende conto che si tratta di una bravata giovanile e che il vero colpevole, se mai ne esiste uno, è il fratello maggiore di uno dei ragazzi che utilizza frequenti viaggi in Italia per contrabbandare fumo. A questo punto la logica vorrebbe che si lasciassero stare i ragazzini per prendere in trappola il fornitore, ma il capo della polizia pretende arresti immediati e con una lezione di semantica, da qui il titolo, degna di una cattedra universitaria, costringe l'agente a organizzare una retata con tanto di telecamere, progettata come se si trattasse di arrestare qualche pericoloso delinquente. E' un film apparentemente semplice, in realtà ricco di riflessioni sulla vita e la società rumene. Certo il ritmo è lento e vi sono momenti che ostacolano alcune parti del racconto, come i pedinamenti seguiti quasi in diretta, ma il risultato è di grande interesse.

Già che siamo in argomento ricordiamo il film precedente di questo autore opera che gli ha fruttato la Camera d’Or al festival di Cannes 2006. E un testo che affronta temi legati alla memoria della rivolta che causò la fine di Nicolae Ceauşescu (1918 – 1989) ma lo fa con il taglio di una commedia amara. Diciassette anni dopo la caduta del dittatore, il responsabile di una miserabile televisione di provincia invita due partecipanti ai moti chiedendo loro di rispondere alle domande degli ascoltatori. Il risultato è devastante, la maggior parte degli interlocutori mette in dubbio l’eroismo dei due, mentre un ex funzionario della polizia politica, oggi importante industriale, arriva sino a minacciare querele. E’ questo il quadro della società emersa da quelle fragili speranze e finita annegata nell’alcol o corrotta dalla corsa al denaro facile e, spesso, sporco. Un film amaro in cui i toni da commedia si tingono abbondantemente di nero.Il nuovo cinema rumeno nasce dal travaglio subito dal paese con la fine drammatica del regime real - socialista e questo dato si riflette in numerose opere che fanno riferimento a quei giorni. Oltre a numerosi documentari e al già citato A est di Bucarest, va ricordato almeno Hirtia ve fi albastra (Il documento blu) di Radu Muntean che racconta, in flash back la morte di un soldato che si unisce ai rivoltosi nei giorni del grande caos ed è scambiato per uno dei sostenitori del regime e come tale ucciso. Il film ha il pregio di fornire un quadro variegato e approfondito della confusione seguita alla caduta del tiranno, i salti della quaglia fatti da molti, l’incapacità dei rivoltosi a dare un senso immediato e preciso alle loro scelte. Un’opera più interessante che bella. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca Caravana cinematografica (Cinema mobile) di Titus Munteam, che racconta una storia in cui risuonano echi di testi classici come L’ispettore generale (Revizor, 1936) di Nikolaj Vasil'evič Gogol' (1809 - 1852) e richiami stilistici alla commedia di costume italiana. Siamo nel 1959, in un piccolo villaggio di campagna arriva un giovane funzionario culturale ambizioso, ottuso e frustrato con l’incarico di proiettare, mediante un cinema mobile, l’ennesimo film bellico di esaltazione del regime. Questi ha passato la giovinezza in un orfanatrofio e vive l’incarico come una rivincita dalle umiliazioni che ha dovuto subire. Tuttavia il suo compito è ostacolato da vari inciampi che vanno dalla cronaca disorganizzazione della burocrazia (nessuno ha tenuto conto che gli abitanti del paesino lavorano in una città vicina e ritornano solo il sabato per cui non c’è quasi nessuno), alla sottovalutazione delle continue interruzioni nell’erogazione dell’energia elettrica e l’inclemenza del tempo, perché in quelle ore infuria una vera e propria bufera. Tutto questo induce il piccolo burocrate a scorgere da ogni parte sabotatori e anticomunisti. Ad esempio, quando un mandriano debole di mente, manda le sue mucche a cozzare contro il camion - cinema facendolo finire in un fosso, il funzionario non accetta il fatto come un banale incidente di percorso, ma vi scorge una trama sovversiva da denunciare alle autorità. Allo stesso modo quando alcuni rulli di pellicola finiscono accidentalmente in acqua, non pensa a una normale sbadataggine, ma a una trama controrivoluzionaria. L’unica cosa che lo intenerisce sono i begli occhi e il corpo sinuoso della giovane bibliotecaria la cui immagine mentre si aggiusta le calze lo induce a masturbarsi mentre scorrono le immagini di ciò che resta del film patriottico. In qualche modo la missione educatrice è portata temine, ma, prima di ripartire per il capoluogo di provincia, il piccolo burocrate fa fermare il camion davanti alla casa in cui abita la giovane, scende e la violenta. Poco dopo arriva la notizia che, nonostante le assicurazioni da lui fornite ai dirigenti locali, una commissione d’inchiesta è già in viaggio per scovare i sabotatori che si annidano fra i poveri paesani. E’ un film molto amaro, una di quelle opere che coprono con sorriso e gag la denuncia di un’epoca terribile che nessuno rimpiange. Il modello narrativo è, in tutta evidenza, la commedia italiana, anche se la malinconia e la pena superano notevolmente la voglia di ridere. Stilisticamente il film non eccelle in originalità, ma ha una forza morale e politica che merita grande attenzione.

 


  

 

Medalia de onoare (Medaglia al valore) di Calin Peter Netzer funziona quasi da ponte fra il cinema che guarda al passato e quello che affronta i problemi dell’oggi. Un ex combattente della seconda guerra mondiale, oggi settantacinquenne, riceve dal ministero della guerra la comunicazione che è stato insignito di una medaglia al valore per un’azione compiuta nel 1944, durante la guerra contro i nazisti dopo che la Romania aveva cambiato fronte passando dall’alleanza con le potenze dell’Asse a quella con l’Unione Sovietica. Da qualche anno in pensione, l’uomo vive fra le mille difficoltà che segnano la vita di tutti i giorni. Suo figlio è emigrato in Canada, si è sposato con una ragazza di colore e intrattiene rapporti solo con la madre. La vita coniugale è segnata da mutismo fra i coniugi, un rancore inspessito dagli inciampi della vita quotidiana: il riscaldamento che non funziona, la difficoltà di saldate puntualmente le spese d’amministrazione, i vicini che parlano quasi solo con sua moglie. In quest’universo grigio il riconoscimento ministeriale diventa, una sorta di rivincita, un momento di ritrovata dignità. Sennonché, pochi giorni dopo arriva una seconda lettera che segnala come la prima comunicazione sia inviata per errore: la medaglia non è sua ma di un quasi omonimo. Sembrerebbe un piccolo incidente, ma l’uomo si è inorgoglito, ha trovato una ragione d’identità, non vuole restituire il pezzetto di metallo e, quando è costretto a farlo a forza, ne compra un altro da un rigattiere e lo sfoggia con orgoglio al pranzo organizzato per la visita del figlio, ritornato brevemente a casa. E’ una cerimonia in cui l’imbarazzo si taglia con il coltello, tutti sembrano felici, anche se quasi non gli parlano, solo il nipotino, che egli vede per la prima volta, da importanza alla medaglia, ma lo fa solo per giocarci. L’anziano, triste e deluso, è costretto a trincerarsi dietro un mesto sorriso di circostanza. E’ una storia molto semplice, trattata con finezza e grande attenzione psicologica. Vi traspare molto di più di un semplice aneddoto, bensì il quadro di una condizione umana umiliata ieri, messa da parte oggi. Questo vecchio illuso è parente stretto dei milioni di esseri umani prima schiacciati dal socialismo reale, poi travolti dal capitalismo selvaggio. Un film che tratteggia un quadro di grande umanità e lo fa con misura e delicatezza. Una piccola divagazione per segnalare come recentemente il cinema israeliano abbia utilizzato una situazione molto simile a questa per realizzare Footnote (Nota a piè di pagina) firmato da Joseph Cedar.

Veniamo ora alle opere che si rivolgono direttamente alla società di oggi. Schimb valutar (Cambio) di Nicolae Margineanu muove da una città di provincia e ha per protagonista un giovane che perde il posto per la chiusura della fabbrica in cui è impiegato. Rifiuta di ritornare a lavorare nei campi con il suocero e convince la moglie a vendere ogni cosa ed emigrare in Australia. Per riuscirci occorre trasformare in dollari i leu ottenuti dall’alienazione dei beni di famiglia, cosa che può essere fatta solo a Bucarest. Qui è subito derubato e costretto a rimontare da zero la scala sociale. Ci riesce grazie all’aiuto di una prostituta dal cuore d’oro, ma al prezzo di trasformarsi in truffatore e ladro. Quando, imbottito di valuta, sta per salire sull’aereo per Sidney, un banale incidente rimetterà tutto in discussione. Il film vale, soprattutto, per la straordinaria e lucida descrizione del degrado morale, economico e ambientale di un paese ex-comunista, piombato nelle fauci del capitalismo selvaggio. La descrizione dei tuguri in cui vivono migliaia di rumeni, la ferocia della vita di tutti i giorni, l’alluvione di crimini che costellano la quotidianità, tutto questo concorre a dare al racconto il valore di un quasi documentario e alla storia una funzione d’esempio, uno fra i tanti, della barbarie in cui è piombato il paese. Lo stile è quasi televisivo, con luci che imitano quelle naturali e personaggi che nulla hanno di eccezionale se non il peso delle disgrazie che li opprimono.

Sulla stessa linea si colloca Pescuit sportiv (Pesca sportiva) di Adrian Sitaru, un'opera che guarda, forse con eccessiva insistenza, ai film basati su un estraneo che si inserisce in una coppia, apparentemente felice, facendone esplodere le contraddizioni. Qui a far saltare l’equilibrio è una giovane prostituta, casualmente investita dall'auto dei due, un professore di matematica idealista e la sua amante, che stanno andando a fare un picnic. La presenza dell'estranea rovescia l’apparente sicurezza della coppia e il suo comportamento, prima si offre all'uomo poi pretende di toccare la donna, rompe il fragile equilibrio che regna nella coppia e la spinge sin quasi alla rottura. Il film è girato in soggettiva saltando dallo sguardo di un personaggio a quello di un altro, una scelta espressiva che, alla lunga, finisce col disturbare un poco senza ottenere un effetto stilisticamente pregevole.

Assai più equilibrato il risultato cui approda Marti, dupa Craciun (Martedì, dopo Natale) di Radu Muntean che radiografa, con toni quasi da cinema – verità, una crisi coniugale. Paul e Adriana sono sposati da dieci anni e hanno una figlia di otto, vivono senza troppi problemi economici, anche se il marito fa un lavoro un po’ misterioso. Un giorno lui s’innamora di una giovane dentista, perde la testa e, dopo qualche mese, confessa tutto alla moglie, proprio alla vigilia di Natale, con tanto di pranzo festivo, albero e regali in salotto. Il film non dice altro, non si schiera per nessuna delle parti, descrive con toni appassionati il nuovo amore, ma non ne fa oggetto di scandalo erotico. E’ un ritratto di normalità in un interno che la dice lunga sugli sbandamenti delle nuove generazioni e sulla perdita di punti di riferimento, anche personali.

 


 

La prostituzione e l’esportazione delle donne in altri paesi è un tema di grande attualità nella società rumena. Lo cita apertamente Loverboy di Catalin Mitulescu raccontando di giovani delinquenti che seducono ragazze ingenue per poi passarle a chi le manda a battere in vari paesi europei. Luca è uno di questi, prima aggancia e vende una giovane, poi avvia sulla stessa strada Veli di cui s’innamora dopo averla deflorata. Tuttavia gli affari sono affari e, anche se la ama, la cede ai suoi complici. E’ un film molto bello, crudo nella descrizione di una gioventù che tiene al denaro più che a qualsiasi altra cosa. Il tono della narrazione è realistico, l’ambientazione, soprattutto della vita nelle campagne, precisa e terribile. E' un quadro di grande drammaticità e d’intensa emozione.

Su questo stesso tema un ottimo risultato è quello raggiunto da Periferic (In partenza), opera d’esordio di Bodgan George Apetri. Matilda è in galera con una condanna a dieci anni, ne ha scontati cinque quando ottiene un permesso di ventiquattrore per assistere al funerale di sua madre. In realtà progetta di espatriare con i soldi che le sono stati promessi dal suo ex fidanzato, un magnaccia della più bella specie, in cambio del silenzio al momento della condanna. Ripudiata dai parenti, imbrogliata dal prosseneta, la giovane si trova, quasi casualmente, in grado di rubargli una consistente somma di denaro. E’ l’occasione per ritirare il figlio di otto anni dall’orfanatrofio e raggiungere Costanza, da dove prendere una nave per l’estero. Il ragazzino, che già si concede per soldi a maturi pedofili, sembra apprezzare le attenzioni della madre, ma, alla prima occasione, la deruba e scappa. Ora è sola, senza denaro, ricercata dalla polizia e senza alcuna prospettiva davanti. Il film disegna un universo in cui non ci sono personaggi positivi, ma solo animali che si contendono con le zanne e le unghie, il necessario per sopravvivere. Il tutto è immerso in uno scenario deruto, punteggiato di ruderi e detriti, pieno di sporcizia. E’ uno sguardo che abbiamo già colto in numerose opere provenienti da questa cinematografia, ma che questa volta si fa particolarmente cupo e pessimista. In questo il film diventa sofferta e convincente testimonianza del degrado che ha travolto i paesi ex socialisti dopo la caduta del muro di Berlino.

Ci sono poi casi particolari come California Dreamin' – Nesfarsit (Sognando California - Non finito, 2007) di Cristian Nemescu (1979 – 2006), morto in un incidente d’auto prima di portare a compimento di questo suo primo film. Il materiale girato è stato messo assieme dai suoi assistenti ed è stato presentato in vari festival come un vero film, seppure aggiungendo al titolo un pudico Nesfarsit (Non finito). In queste condizioni è difficile giudicarlo, poiché ci sono salti narrativi, parti quasi incomprensibili e le due storie che lo animano - quella dei bombardamenti alleati su Bucarest nel 1944 e la vicenda del treno che, nel 1999, trasporta materiali Nato ed è bloccato in un piccolo scalo da un capostazione cocciuto e irato con gli americani - combaciano poco e niente. La sola cosa che si può dire è che nel materiale girato, c’erano tutte le premesse per ricavarne un buon film.

Altro caso particolare è quello di Restul e tăcere (Il resto è silenzio, 2007) di Nae Caranfil. Il film racconta le fatiche di un giovane regista per realizzare il primo colossal rumeno dedicato alla guerra del 1877 contro i turchi. Attraverso questa storia la regia disegna un mosaico del paese fra il 1911 e gli anni ’40. Il riferimento è a un film realmente esistente, Independenta Romaniei (L’indipendenza della Romania, 1912) diretto da Aristide Demetriade con il supporto del finanziere Leon Popescu, un colossal di due ore sulla guerra d’indipendenza rumena (1877 – 78). L’operazione ha lo scopo di tracciare un quadro segnato da amori e contrapposizioni fra un giovane attore mancato e cinefilo entusiasta, e un ricco possidente che finirà con l’impossessarsi del lavoro dell’altro assumendosi la titolarità dell’opera. E’ un testo ricco di tocchi umoristici, confezionato con cura, molto ben recitato e che riesce ad evitare le trappole della nostalgia cinematografica per un passato che, oggi appare glorioso, ma forse tale non è mai stato.

Alta opera singolare è Ingerul Necesar (L’angelo necessario, 2007) di Gheorghe Preda, un film vicino all’informale, che racconta gli incubi di una compositrice e pianista trentenne, affetta da una grave forma di asma, che vive in una casa linda e totalmente bianca. Un giorno inizia a ricevere costosi regali da uno sconosciuto che fa dipingere slogan con il suo nome sui muri della città. Incuriosita da questo ammiratore misterioso, lei accetta l’invito per un viaggio in Grecia. In terra ellenica cade e si ferisce gravemente inseguendo una limousine in cui ha intravisto l’uomo misterioso. Il regista ha dichiarato il suo disinteresse per il cinema realista e, in particolare, quello sociale, e la sua predilezione per le immagini (ha alle spalle una lunga carriera di autore di video clip) anche se staccate dallo svolgimento di una qualsiasi storia. Nel caso specifico il film dovrebbe denunciare, oltre la patinatura e una certa sconnessione narrativa, l’impossibilità di scindere il bene dal male da qui la facile trasformazione degli angeli custodi in demoni, il tutto unito al senso di casualità che domina la vita. Le immagini che ci propone hanno un’indubbia bellezza, così come trasudano fascino le composizioni musicali che cadenzano lo scorrere dell’opera mescolando partiture pre-classiche e suono di strumenti industriali.

Il panorama non sarebbe completo senza citare un autore di origine rumena, anche se di attività francese. Radu Mihaileanu rumeno di origine ebraica, è emigrato in Francia nel 1980 ed è stato aiuto regista di John Glen per Agente 007 – Bersaglio mobile (A View to a Kill, 1985) e Marco Ferreri (I Love You, 1986 - Come sono buoni i bianchi, 1988). In Italia è noto, soprattutto, per Train de vie - Un treno per vivere (Train de vie, 1998). Nel 2005 dirige Vai e vivrai (Va, vis et deviens) e, nel 2009, Il concerto (Le concert). Questo cineasta ha come tema principale del suo lavoro le sofferenze degli ebrei con toni, che, nonostante le tendenze a un linguaggio commercial – internazionale, non manca di finezza.

Umberto Rossi