26° Torino Film Festivall 2008 - Pagina 2

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26° Torino Film Festivall 2008
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I premi
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Non detto
Non detto
Migliore attrice è stata individuata in Emmanuelle Devos, interprete di Non dit (Non detto) del belga Fien Troch un film che affronta il tema dell’elaborazione del lutto per la perdita di un figlio, in questo caso una ragazza quattordicenne scomparsa nel nulla, probabilmente morta, anni prima. Adesso, forse più per eccitazione della fantasia che quale dato reale, lei e il marito credono di scorgerla in una giovane prostituta vestita di rosso che le somiglia. Dei due l’uomo è quello che va maggiormente in crisi, tanto da allontanarsi da casa senza ragione per un lungo tempo e indurre la donna e denunciarne la scomparsa alla polizia. Una riconciliazione (provvisoria?) fra i coniugi segnerà il finale di un film molto preciso nella descrizione dei personaggi, ma più pregevole per il lavoro degli attori che per quello della regia.
Tra le dita
Tra le dita
Il premio Cipputi, riservato ai film che affrontano temi legati al mondo del lavoro è andato a Entre os Dedos (Tra le dita) dei portoghesi Tiago Guades e Federico Serra, un’opera che unisce analisi psicologica a notazioni sociali. Un muratore è sconvolto dal crollo di una casa in costruzione, incidente in cui perde la vita un suo amico. Esasperato protesta per il mancato rispetto delle norme di sicurezza ottenendo solo di essere licenziato. A questa condizione economicamente difficile si aggiungono le incomprensioni della moglie che, stanca di lavorare come una bestia mentre il marito gironzola senza fare nulla, decide di prendersi qualche distrazione con un compagno di lavoro. Al dramma sociale si somma, in questo modo, quello psicologico, in un precipitare verso il degrado molto ben sottolineato da una fotografia in bianco e nero, marcia, pesante, quasi priva di luci. Un film ben costruito, un po' vecchio nella tessitura, ma solido nel racconto e nella costruzione dei personaggi.
L'onda
L'onda
I giurati del Premio Invito alla Scuola Holden hanno scelto Die Welle (L’ondata) del tedesco Dennis Gansel, cui è andato anche il premio del pubblico, e Quemar las naves (Bruciarsi i ponti alle spalle ) del messicano Francisco Franco-Alba. Il primo è tratto da un romanzo dello scrittore americano Morton Rhue, che è partito da un fatto realmente accaduto. Nel 1967 in una scuola di Palo Alto, in California, Ron Jones, insegnante di storia, aveva fatto proiettare agli alunni un film sul nazismo constatando come i ragazzi dubitassero che un intero popolo potesse seguire ciecamente un demagogo. Spinto da questa incredulità il docente aveva deciso di fondare un nuovo movimento, chiamato la Terza Ondata e ne aveva imposto i rituali: saluto con braccio teso all’altezza del cuore, uniforme formata da camicia bianca e jeans, obbligo di rivolgersi all’insegnante chiamandolo signore, ferrea disciplina nei comportamenti in classe. Il tutto accompagnato slogan del tipo: la disciplina e la comunità rendono forti. L’esperimento ebbe un successo inaspettato tanto che i giovani, tempo cinque giorni, si erano trasformati in una pattuglia di prefetti nazisti ciecamente devoti al capo. Il regista tedesco riprende questa vicenda, ambientandola in Germania ai giorni nostri, onde dimostrare quanto sia sottile e perverso il fascino dell’obbedienza ed aggiungendovi un finale cruento. Il film è costruito molto bene, sorretto da un ritmo degno del miglior testo d’azione e rimpolpato dall’inevitabile ottimismo sulla forza delle istituzioni democratiche a combattere anche i virus più pericolosi. Tuttavia è proprio su questo versante che sorgono i maggiori dubbi, nel senso che il fascino della costruzione di una pattuglia di fanatici obbedienti finisce per essere più forte delle parole di condanna pronunciate dall’insegnante pentito. Come spesso capita quando un film, un libro, un testo teatrale fanno del male assoluto il protagonista di una storia c’è il rischio, qui non evitato del tutto, di renderlo più accattivante del bene e della ragione.
Bruciarsi i ponti alle spalle
Bruciarsi i ponti alle spalle
Il film messicano, invece, è un bel melodramma claustrofobico con centro fratello e sorella legati da un sentimento che rasenta l’incesto. Il ragazzo, poi, mostra chiare tendenze omosessuali che si concretizzano nella relazione con un compagno di classe dì origini umili che ha alle spalle una pesante situazione famigliare. Come è tradizione del cinema messicano lo stile mescola melodramma con effetti funesti, in questo caso la madre dei due un’ex cantante che si sta spegnendo, consumata da un cancro in fase terminale, ad atmosfere morbose, il tutto inquadrato in scenografie debitamente decadenti. E’ un cinema non privo di pregi, ma che richiede un gusto particolare per essere apprezzato. Unico dato sicuro una forte capacità di costruzione narrativa e di direzione degli attori.