15 Rome Independent Film Festival - Pagina 3

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15 Rome Independent Film Festival
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maxresdefaultIn concorso al festival un film tedesco di circa cento minuti, Jonathan, di Piotr J. Lewandowski, nativo di Varsavia ma formatosi e attivo in Germania. Dopo alcuni corti, questo suo esordio nel lungometraggio si svolge nella campagna tedesca, in una fattoria con mucche e galline tenuta da padre e figlio. Sfortunatamente il padre, Burghardt, è in chemioterapia per un cancro alla pelle ed è soggetto a forti depressioni pur lavorando duramente. Il figlio di 23 anni, Jonathan, lo cura e lo incoraggia, mentre sua sorella Martha, che vive e opera nella tenuta, non gli parla da molto tempo. Nella masseria, dove lavorano alcuni adolescenti, l’atmosfera è tesa. Jonathan, infatti, non ha mai saputo come è morta la madre. Né il padre, né la zia ne fanno parola. La visita di una giovane donna, Hanka, che la zia ha chiamato per curare il fratello, porta un momento di distensione ed è l’occasione per un flirt con Jonathan. Le cose precipitano quando uno sconosciuto bussa alla porta della zia e lei lo caccia imbracciando un fucile. L’uomo riappare quando l’anziano viene ricoverato e sarà proprio la zia a portarlo in clinica. Risulterà essere Ron, amico d’infanzia di Burghardt, e quando questi viene dimesso, rimane nella fattoria per prendersi cura dell’amico, ma provocando la reazione di Jonathan che lo considera un estraneo. Dopo alcuni scontri verbali, il giovane viene a sapere che la madre si era suicidata quando il padre se ne era andato da casa. Il padre se ne assume tutte le responsabilità, ma qualcosa sfugge al giovane e lo scopre in un fine settimana nel quale Ron porta Burghardt su una spiaggia del Baltico. La zia Martha era innamorata di Ron, ma tutto è sono rimesso in discussione dalla scoperta che una relazione omosessuale tra Ron e Burghardt portò alla disperazione le due donne. E qui c’è ancora mezz’ora di film per descrivere le reazioni di Jonathan nel ritrovarsi figlio di un gay, ma va detto che tutto il racconto è abbastanza rozzo e spesso ripetitivo, il giovane è istintivo e immaturo, e che il regista si perde a volte in descrizioni che andrebbero sottintese.
BarakaDa segnalare, nella International Short Competition, i 22 minuti del film spagnolo Baraka di Néstor Ruiz Medina. Si apre con due bambini che giocano tra le rovine durante la guerra in Iraq: il più grande ha una pistola. In un edificio semidistrutto scoprono una giovane legata e imbavagliata, ma devono nascondersi perché stanno arrivando guerriglieri islamisti armati di kalashnikov. Quando vedono che stanno per eliminare la soldatessa spagnola, il più piccolo ferisce il carnefice con un colpo di pistola. Depistati i guerriglieri, i bambini liberano la giovane e fuggono su un auto, ma la donna è raggiunta da una raffica di mitra, il più grande scappa e il più piccolo è catturato da un guerrigliero. L’a l’incontro sembra affettuoso visto che il militare è suo fratello che combatte con i gruppi islamisti. La vita è salva, ma ora il piccolo si domanda se prova più affetto per la soldatessa uccisa o per il fratello armato.
Nella National Documentary Competition una segnalazione meritano anche i 52 minuti di 2 Girls (Due ragazze) di Marco Speroni, sessantenne parmense, autore di una diecina di corti negli ultimi trent’anni. Intervistando due giovani donne: Lota a Dacca e Tigist ad Addis Ababa, descrive due percorsi di miseria mettendo in evidenza sfruttamento e umiliazioni in due tra i paesi più poveri del mondo, il Bangladesh e l’Etiopia. Lota lascia il villaggio dove veniva sfruttata in cambio di vitto e alloggio, si fa per dire, e finisce a Dacca dove lavora tredici ore al giorno confezionando pantaloni per pochi dollari. Tigist, scappa da una zia che la seviziava, incontra un giovanotto che la deflora e poi l’abbandona, e dopo essersi nutrita di rifiuti si prostituisce, tuttavia va in chiesa ed è alla ricerca di un lavoro dignitoso. Niente di nuovo nel profilo delle due giovani disgraziate, ma le riprese degli ambienti nelle quali si muovono e il coraggio e l’onestà di rivelare le proprie identità e sofferenze forniscono allo spettatore motivi per una presa di coscienza.