27 Novembre 2016
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15 Rome Independent Film Festival |
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Tra gli ultimi festival dell’anno, la quindicesima edizione del RIFF, Rome Independent Film Festival, con ben 110 titoli in catalogo, al cinema Savoy fino al 2 dicembre. In concorso, due esordi: Un otoño sin Berlín, (Un autunno senza Berlino), Spagna, di Lara Izaguirre; Toto, Filippine/Usa, di John Paul Su. Dopo la laurea nei Paesi Baschi e studi al NYFA di New York, Lara Izaguirre, 31 anni, ha diretto due cortometraggi. Il suo debutto nel lungo è la cronaca del naufragio di un amore e di sogni adolescenziali. Si apre con June che bussa alla porta del suo primo amore, Diego.
Lui non le apre, e lei torna, inaspettata, alla casa del padre. Era partita per Berlino alla morte della madre, lasciando tutti all’improvviso, e ora, di notte, è tornata nel paese natio per ritrovare antichi affetti. Il giorno seguente, avendo ancora le chiavi dell’appartamento, entra e scopre che il suo ex non è più uscito dopo la sua partenza. Scrittore di racconti ed esperto di lingua tedesca, Diego ha un aspetto ascetico. E’ la madre a fare la spesa quotidiana, ma gli lascia le buste sull’uscio perché i due non comunicano. Ci vorranno giorni prima che June e Diego si parlino. Lentamente, però, riprendono a convivere. Tuttavia il giovane, malgrado le insistenze della ragazza, non vuole uscire. Quando Diego vince il primo premio per un racconto inviato da June a sua insaputa, prima mugugna, poi decide di accompagnarla alla premiazione. E decidono anche di andare a Berlino, ma qualcosa si è rotto per sempre. Novantacinque minuti tra due case e alcune strade battute dal vento. Una storia intima con pochi personaggi alla ricerca del proprio destino. Decisioni adolescenziali che lasciano il segno, gente semplice ferita e disorientata, ritratti di provincia tra i quali emerge l’interpretazione di Irene Escolar (June).
Totalmente differente l’esordio del filippino John Paul Su, 38 anni, residente negli Usa dopo la laurea all’università di New York. Toto, infatti, è una commedia su un giovane di Manila, Toto Estares, che lavora in un hotel e sogna di andare in America, dove a suo tempo è emigrato il padre che non ha più dato notizie. Per quanto ben inserito nell’albergo di lusso dove ha una relazione con una collega, Toto tenta in tutte le maniere di ottenere un visto per gli Usa. Prima s’inventa una famiglia che sostenga la sua richiesta, e dopo sei mesi se ne inventa un’altra onorevole, ma il visto gli viene rifiutato. Quindi chiede a un ospite dell’albergo di sposarlo, ma questi ha già un amico. L’occasione sembra nascere dalla relazione con una turista americana con la quale, in albergo, ha rapporti sessuali. Lei gli chiede 2.500 dollari per regolare tutte le pratiche: lui s’indebita con gli amici: lei prende i soldi e scappa. Che fare? Alle fine, però, si apre una nuova prospettiva. In 96 minuti, il regista descrive il sogno americano delle periferie di Manila, il ritratto di un giovane allegro e sanguigno, pronto a tutto pur di espatriare, e alcuni profili di contorno che corroborano la commedia animata da etero, gay e travestiti per necessità.
Fuori concorso una sorpresa di 28 minuti, Like a Butterfly (Come una farfalla), coproduzione italoinglese diretta da Eitan Pitigliani. Film indipendente con lo smalto di Hollywood, girato in inglese con attori americani, vede Ed Asner (87 anni) nei panni di una vecchia star ricoverata in ospedale, e il giovane Will Rothhaar in quelli di un aspirante attore disorientato, il cui destino muterà in seguito all’incontro casuale col vecchio. Con la partecipazione di un'altra star hollywoodiana, Cindy Pickett, il film si avvale di dialoghi essenziali, narrazione tesa e un importante apporto della musica di Paolo Vivaldi.
Nella sezione National Feature Film Competition del Festival, il terzo film di Sebastiano Rizzo dopo La ricotta sul caffè e Nomi e cognomi. Basato sul libro di Luigi Di Cicco e di Michele Cucuzza, Gramigna, col sottotitolo Volevo una vita normale, è stato sceneggiato da Camilla Cuparo e narra l’odissea del figlio di un camorrista condannato all’ergastolo. Dura 95 minuti e si avvale dell’interpretazione di Biagio Izzo nei panni del padre, di Enrico Lo Verso in quello del docente di educazione fisica e ha come protagonista Gianluca Di Gennaro. Nato durante l’arresto del padre, Luigi avrà occasione di incontrarlo soltanto in carcere. Lo vediamo in fasce, poi bambino, quindi ragazzino e proprio l’adolescenza, quindi la crescita e l’educazione del giovane sono al centro del film. La madre e le persone che frequentano la sua casa, gli insegnano a non accettare le provocazioni che possono derivare dal fatto di essere figlio di un ergastolano. Vogliono che cresca nella legalità, in un mondo che a suo padre non è stato concesso, ma in casa si avvicendano conoscenti che praticano l’usura e che spacciano droga, e spesso irrompono agenti con mandato di perquisizione che rivoltano la casa da cima a fondo tanto che rimettere l’abitazione in ordine è una pratica frequente. Anche fuori le cose non vanno meglio. Da compagni di liceo che fanno domande indiscrete a giovinastri che gli offrono passatempi notturni a base di droga e di ragazze, il percorso non è facile. Il film mette a fuoco la solitudine della madre tra un marito che non tornerà più a casa, un figlio da educare e amici camorristi in attività, e quella del figlio costretto a non difendersi da insulti e provocazioni per non finire in prigione. Ho sentito dire che è una pellicola da far vedere nelle scuole, ma anche da distribuire nelle sale perché il racconto è scorrevole, gli attori misurati e il problema attuale, senza limitarsi all’educazione dei figli dei camorristi ma preoccupandosi del risanamento dei quartieri dove imperversa la camorra.
Nella sezione Focus USA l’esordio nel lungometraggio di Deb Shoval con Awol, (Assente senza permesso), che è lo sviluppo di un corto premiato al Sundance. In un paese della Pennsylvania rurale, Joey, (Lola Kirke), una ragazza che lavora in uno snack bar, si reca al distretto militare per informazioni sull’arruolamento. Senonché incontra Rayna, (Breeda Wool), giovane madre di due bambine, ed è subito colpo di fulmine. Dopo alcuni rapporti sessuali, Joey conosce il marito di Rayna, un rozzo camionista, e si sente esclusa. Il film descrive la difficoltà della relazione tra una madre di famiglia che non vuole rinunciare al suo status e una ragazza che deve ancora decidere cosa farà della sua vita. Il film, di 85 minuti, è stato sceneggiato da Deb Shoval con Karolina Wacliawiak.
Altra sorpresa nella sezione International Short Competition i 21 minuti di A beautiful Day (Una splendida giornata), film di produzione Usa del greco Phedon Papamichael, interpretato da James Brolin. Gene è un anziano signore benestante. Purtroppo sua moglie è morta da dieci anni: lui è malato e ha deciso di mettere fine ai suoi giorni. Lo vediamo affidare la cura delle piante al giardiniere, concedersi un alcolico che gli è stato proibito e accompagnarsi con una signora incontrata in un bar. Poi affida a un assegno tutti i risparmi che ha in banca e lo imbuca nella cassetta di una conoscente brutalizzata. E gli resta ancora un’azione prima di scomparire. Scritto da Casey Cannon, il film è denso e concreto, con pochi dialoghi e con un finale a sorpresa.
In concorso al festival un film tedesco di circa cento minuti, Jonathan, di Piotr J. Lewandowski, nativo di Varsavia ma formatosi e attivo in Germania. Dopo alcuni corti, questo suo esordio nel lungometraggio si svolge nella campagna tedesca, in una fattoria con mucche e galline tenuta da padre e figlio. Sfortunatamente il padre, Burghardt, è in chemioterapia per un cancro alla pelle ed è soggetto a forti depressioni pur lavorando duramente. Il figlio di 23 anni, Jonathan, lo cura e lo incoraggia, mentre sua sorella Martha, che vive e opera nella tenuta, non gli parla da molto tempo. Nella masseria, dove lavorano alcuni adolescenti, l’atmosfera è tesa. Jonathan, infatti, non ha mai saputo come è morta la madre. Né il padre, né la zia ne fanno parola. La visita di una giovane donna, Hanka, che la zia ha chiamato per curare il fratello, porta un momento di distensione ed è l’occasione per un flirt con Jonathan. Le cose precipitano quando uno sconosciuto bussa alla porta della zia e lei lo caccia imbracciando un fucile. L’uomo riappare quando l’anziano viene ricoverato e sarà proprio la zia a portarlo in clinica. Risulterà essere Ron, amico d’infanzia di Burghardt, e quando questi viene dimesso, rimane nella fattoria per prendersi cura dell’amico, ma provocando la reazione di Jonathan che lo considera un estraneo. Dopo alcuni scontri verbali, il giovane viene a sapere che la madre si era suicidata quando il padre se ne era andato da casa. Il padre se ne assume tutte le responsabilità, ma qualcosa sfugge al giovane e lo scopre in un fine settimana nel quale Ron porta Burghardt su una spiaggia del Baltico. La zia Martha era innamorata di Ron, ma tutto è sono rimesso in discussione dalla scoperta che una relazione omosessuale tra Ron e Burghardt portò alla disperazione le due donne. E qui c’è ancora mezz’ora di film per descrivere le reazioni di Jonathan nel ritrovarsi figlio di un gay, ma va detto che tutto il racconto è abbastanza rozzo e spesso ripetitivo, il giovane è istintivo e immaturo, e che il regista si perde a volte in descrizioni che andrebbero sottintese.
Da segnalare, nella International Short Competition, i 22 minuti del film spagnolo Baraka di Néstor Ruiz Medina. Si apre con due bambini che giocano tra le rovine durante la guerra in Iraq: il più grande ha una pistola. In un edificio semidistrutto scoprono una giovane legata e imbavagliata, ma devono nascondersi perché stanno arrivando guerriglieri islamisti armati di kalashnikov. Quando vedono che stanno per eliminare la soldatessa spagnola, il più piccolo ferisce il carnefice con un colpo di pistola. Depistati i guerriglieri, i bambini liberano la giovane e fuggono su un auto, ma la donna è raggiunta da una raffica di mitra, il più grande scappa e il più piccolo è catturato da un guerrigliero. L’a l’incontro sembra affettuoso visto che il militare è suo fratello che combatte con i gruppi islamisti. La vita è salva, ma ora il piccolo si domanda se prova più affetto per la soldatessa uccisa o per il fratello armato.
Nella National Documentary Competition una segnalazione meritano anche i 52 minuti di 2 Girls (Due ragazze) di Marco Speroni, sessantenne parmense, autore di una diecina di corti negli ultimi trent’anni. Intervistando due giovani donne: Lota a Dacca e Tigist ad Addis Ababa, descrive due percorsi di miseria mettendo in evidenza sfruttamento e umiliazioni in due tra i paesi più poveri del mondo, il Bangladesh e l’Etiopia. Lota lascia il villaggio dove veniva sfruttata in cambio di vitto e alloggio, si fa per dire, e finisce a Dacca dove lavora tredici ore al giorno confezionando pantaloni per pochi dollari. Tigist, scappa da una zia che la seviziava, incontra un giovanotto che la deflora e poi l’abbandona, e dopo essersi nutrita di rifiuti si prostituisce, tuttavia va in chiesa ed è alla ricerca di un lavoro dignitoso. Niente di nuovo nel profilo delle due giovani disgraziate, ma le riprese degli ambienti nelle quali si muovono e il coraggio e l’onestà di rivelare le proprie identità e sofferenze forniscono allo spettatore motivi per una presa di coscienza.
Sicuramente da tenere d’occhio il giovane regista canadese Yan England che dopo tre corti di successo presso alcuni Festival ha presentato al RIFF (Rome Independent Film Festival), 15ªedizione, il lungometraggio d’esordio 1:54. Niente di nuovo sotto il sole, ma la confezione è impeccabile, il ritmo narrativo sostenuto, il tema, caro al cinema Usa, è adolescenziale tra bullismo e competizione sportiva. Narra di due sedicenni presi di mira dai compagni di liceo. Il più debole, sotto attacco, si dichiara apertamente gay: poi va in depressione e si suicida. L’altro tiene il colpo, ma quando a educazione fisica dimostra di essere il più veloce e potrebbe soffiare a uno dei bullisti l’unica candidatura per le competizioni nazionali diventa un bersaglio per il branco. E l’occasione si presenta a una festa studentesca dove Tim, dopo aver partecipato a una gara di bevute, esce ubriaco in giardino, è vittima di un gay senza scrupoli, ma soprattutto viene ripreso col telefonino dal suo rivale sportivo. E al risveglio del giorno dopo, il ricatto è servito: o smette di correre o le immagini dell’approccio gay andranno su Youtube. Non sapendo cosa fare, il ragazzo diserta gli allenamenti. Poi, incoraggiato da un’amica e dall’insegnante, decide di allenarsi di notte. E’ il più veloce, e alle qualificazioni è in testa alla corsa. Sulla linea del traguardo, però, uno dei bulli gli mostra il telefonino. Cosa fare? Vincere e fregarsene, o lasciar vincere il ricattatore? Lasciamo il finale allo spettatore, perché è più utile cogliere la denuncia del film che mostra la fragilità e la timidezza di adolescenti isolati e aggrediti dal branco, la cui protervia e il cui disprezzo verso i deboli e le minoranze, in questo caso i gay, provocano disorientamento, umiliazione e morte. Forse eccessiva la separazione tra buoni e cattivi, tuttavia il racconto tiene i 105 minuti e potrebbe entrare nel circuito commerciale.
All’opposto il delicato film di Valeria Bruni Tedeschi e Yann Coridian, Une jeune fille de 90 ans, (Una ragazzina di 90 anni) nella sezione International Documentary Competition, e già in concorso al Festival di Locarno. Girato presso il reparto geriatrico dell’ospedale Charles Foix d’Ivry mostra le esibizioni e la dedizione del coreografo di fama internazionale, Thierry Thieû Niang, nel condurre un laboratorio di danza con pazienti affetti da Alzheimer. Sebbene si tratti di 85 minuti girati in un interno, nel soggiorno dell’ospedale, il film si fa sempre più avvincente man mano che il coinvolgimento nella danza di persone che hanno anche problemi di mobilità riesce a risvegliare ricordi e a offrire nuove prospettive sul presente. In particolare si delinea il profilo di una novantaduenne, Blanche Moreau, che ha difficoltà a ricordare il proprio nome e la propria età, e che se ne sta in disparte tra pazienti che cantano vecchie canzoni o che danno sfogo a piccoli tic. Sappiamo da una infermiera che Blanche ha trascorso la vita tra artisti di Montparnasse, che non si è mai sposata e non ha avuto bambini. Il suo comportamento schivo, a suo modo elegante e discreto, delineano un’autonomia che pur nell’incalzare dell’Alzheimer, non ne cancella lo spirito critico che si manifesta quando osserva con distacco gli altri che cantano in coro, ed esclama: ma sempre con questa vecchia canzone! E poi, i balli col coreografo e la sua attenzione, risvegliano il sentimento d’amore, e pur nella difficoltà di esprimersi riesce a dirgli Je t’aime. Valeria Bruni Tedeschi, tre David di Donatello quale attrice protagonista, ha diretto quattro film, e questo è il suo quinto. Il coregista, Yann Coridian, autore di una decina di romanzi, è alla sua seconda regia.
I premi
Si è concluso il 15° RIFF (Roma Independent Film Festival) che ha presentato 110 film provenienti da 24 paesi: tutti inediti in Italia e con 15 anteprime mondiali. Una folta giuria internazionale ha assegnato 12 premi e cinque menzioni speciali. Nel cinema Savoy, in presenza del Premio Nobel per la Pace, Adolfo Perez Esquivel, e dopo la presentazione di Adolfo Perez Esquivel: Rivers of hope, (A. P. E: Fiumi di speranza), della statunitense Dawn Gifford Engle, è stato proclamato vincitore il lungometraggio cileno a tematica Queer, Nunca vas a estar solo (Non rimarrai mai solo) di Alex Anwandter.
La menzione speciale è andata a 1:54 del canadese Yan England.
Miglior film italiano, Sex Cowboys di Adriano Giotti, definito una fotografia di una generazione perduta.
Miglior documentario internazionale, Une jeune fille de 90 ans (Una ragazzina di 90 anni), Francia, di Valeria Bruni Tedeschi e Yann Coridian.
Miglior documentario italiano, 2 Girls (2 ragazze) di Marco Speroni.
Menzione speciale per Gente di amore e rabbia, Italia/Germania, di Stefano Casertano.
Miglior corto internazionale, Ja passou (E’ già passato), Portogallo, di Sebastião Salgado.
Menzione speciale per Minh Tâm, Francia, di Vincent Maury.
Miglior corto italiano, E così sia di Cristina Spina.
Menzione speciale per Parla che ti sento di Idria Nossi.
Miglior corto studenti, Anna, Israele, di Or Sinai.
Menzione speciale, America, Polonia, di Aleksandra Terpinska
e a
Gionatan con la G, Italia, di Gianluca Santoni.
Miglior corto d’animazione, Playground, (Terreno di gioco), Francia, di Francis Gavelle e Claire Inguimberty.
Migliore sceneggiatura per un lungometraggio, Veleno nelle gole, Italia, di Gisella Orsini e Simona Barba.
Migliore sceneggiatura per un corto, L’ultima partita, Italia, di Flavia Costa.
Miglior soggetto, Deserto di ghiaccio, Italia, di Ermanno Pelli e Marco Gallo.
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