Settimana del cinema magiaro 2005 - Pagina 2

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Settimana del cinema magiaro 2005
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Il terzo titolo di rilievo è stato A miskolci boniésklájd (Chi diavolo sono Bonnie e Clyde?) di Krisztina Deák, una regista che si era già fatta notare per la non trascurabile raffinatezza di tocco testimoniata da film come Vonzások és választások (Affinità elettive, 1985), Eszterkönyv (Il diario di Ester, 1989) e Jadviga párnája (Il cuscino di Jadviga, 2000). Questa volta racconta l’odissea di due giovani rapinatori, subito ribattezzati dai media i Bonnie e Clyde ungheresi. In realtà sono solo due ragazzi pasticcioni e irresponsabili che tentano di dare un significato al grigiore in cui sono immersi compiendo misfatti più grandi di loro. Il pregio maggiore del film è nella costruzione psicologica dei personaggi e in una direzione d’attori davvero encomiabile. Veniamo ora ad alcune opere che offrono una buona qualità professionale, ma ben pochi spunti di novità. Dallas pashamende (Dallas tra noi) del rumeno Robert Adrian Pejo, ma coprodotto con l’ausilio di capitali magiari, è interamente ambientato in una bidonville abitata prevalentemente da zingari e collocata nel bel mezzo di una discarica di rifiuti situata nei pressi della città di Cluj. Un gitano che è riuscito a fuggire da quella condizione miserabile, ritorna a casa per celebrare il funerale del padre. Trattato dagli altri come un traditore, derubato, picchiato finirà per capire che lì sono le sue vere radici e che nessun abito borghese potrà affrancarlo dalle sue vere origini. Il film richiama apertamente lo stile e il mondo poetico di Emir Kusturica, ma senza la genialità, la fantasia, la poesia, la vena surreale del regista bosniaco. Assai più pretenzioso e stilisticamente piatto Ég veled! (Ci vediamo nello spazio) di Józsaf Pacskovszky che mette assieme alcune storie d’amore, una riguarda un astronauta russo a cui la moglie, mentre lui è in orbita, gli comunica che non lo ama più. La seconda ruota attorno ad un anziano, ferito accidentalmente ad un orecchio da una parrucchiera, che trova proprio in quella donna un ultimo soffio di vitalità prima di morire. La terza ha per protagonisti una donna di colore e un microbiologo bianco, che la seduce e l’abbandona. L’ultima mette di fronte uno psichiatra criminale e un assassino. Non è facile realizzare film basati su più storie incastrate l'una nelle altre. In questo caso le varie vicende rimangono a livello di singoli mediometraggi, anziché fondersi in un racconto unitario, armonico e stilisticamente compiuto. Un discorso a parte merita Atemetetlen halott (L‘uomo insepolto), ultima opera di Márta Mészáros, cineasta conosciuta anche in Italia per la serie Napló gyermekeimnek (Diario per i miei figli, 1982), Napló szerelmeimnek (Diario per i miei amori, 1987), Napló apámnak, anyámnak (Diario per mio padre e mia madre, 1990), in cui percorre la sua vita di orfana di uno scultore comunista rifugiatosi in Unione Sovietica per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti ungheresi ed inghiottito dall’orrore dei lager stalinisti. Con questo nuovo film affronta uno dei nodi più drammatici della storia ungherese: la rivolta del 1956. Lo fa focalizzando il racconto sulla figura d’Imre Nagy, il capo del governo rivoluzionario detronizzato dai carri armati del Patto di Varsavia. Ricordiamo sommariamente alcuni momenti di quella tragedia. Subito dopo il 4 novembre 1956, giorno dell’occupazione sovietica di Budapest, il Primo Ministro, i suoi collaboratori più stretti e i familiari ottennero asilo nell’ambasciata iugoslava. Da qui uscirono il 23 novembre fidando in un lasciapassare emesso dal nuovo governo di Janos Kadar. Immediatamente arrestati, furono internati nel villaggio rumeno di Svagov dove rimasero, in condizione di domicilio coatto, sino ai primi mesi del 1958.