64ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid - Pagina 3

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64ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid
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Bulgaria in concorso alla 64a SEMINCI di Valladolid con un film prodotto da Bulgaria, Gran Bretagna e Francia: Cat in the Wall (Gatto nel muro) di Mina Mileva e Vesela Kazakova, già presentato al Festival di Locarno. Girato in un quartiere popolare di Londra, dove gli autori vivono da anni, affronta la situazione degli immigrati al tempo della Brexit. Irina è architetto e madre di un bambino di sei anni. Vive col fratello in un’appartamento di proprietà in una zona centrale e preferisce lavorare come cameriera piuttosto che accettare il sussidio del sistema britannico di protezione sociale. E si batte per i diritti dei proprietari, britannici e stranieri, contro l’amministrazione comunale che crea sempre nuovi vincoli per indurli a vendere e a far posto a nuovi ricchi. Tuttavia i litigi nel condominio sono frequenti, e scontri e incomprensioni all’ordine del giorno. E un gatto metterà fine a qualsiasi possibilità di convivenza civile. Irina lo trova dietro la porta di casa, e per un paio di giorni si rifuta di farlo entrare. Poi per toglierlo dal freddo lo lascia entrare e il figlio gli si affeziona. Alcuni giorni dopo, alcuni inquilini inferociti bussano alla sua porta sostenendo che ha rubato il felino. Dopo un infuocato battibecco, Irina restituisce il gatto, ma i vicini, coalizzati, decidono che deve andar via, e per riuscire nell’intento presentano accuse alla polizia che interviene accusando il fratello di lei e portandolo al commissariato. Primo lungometraggio di finzione dopo alcuni documentari di successo, Cat in the Wall  dura 92 minuti e mostra i mutati comportamenti nei conglomerati urbani britannici dove le incertezze legate alla Brexit e le derivanti insicurezze, spingono i rappresentanti della sottocultura, che in grande maggioranza vivono di sussidi, ad aggredire e colpevolizzare il ceto medio.

Ci porta invece in uno sperduto villaggio dell’Anatolia Kiz Kardeṣler (Racconto di tre sorelle), terzo film del turco Emin Alper. Stando alla tradizione, ragazze povere dei villaggi di montagna sognavano di andare a lavorare in cittá presso famiglie benestanti. In cambio dei servizi resi, riuscivano a emanciparsi. Venivano definite ragazze accolte e chiamavano padre e madre i capifamiglia. Lo stesso regista é figlio di una di queste ragazze, e fin da giovane pensava di fare un film, che ha realizzato basandosi anche su un racconto di Anton Cechov. Il film si apre col ritorno a casa di tre sorelle. Reyhan, 20 anni, ha avuto un bambino che sperava potesse essere adottato dalla famiglia e che invece é stato causa del suo allontanamento. Nurhan, 16 anni, stanca di lavare tutti i giorni le lenzuola di un figlio viziato, ha osato redarguirlo. Havva, 13 anni, ha dovuto lasciare perché il bambino che accudiva é morto di una malattia terminale. A casa col padre, e col marito di Reyhan, un pastore povero e analfabeta che ha dovuto sposare in fretta per legittimare il bambino, ritrovano momenti di gioia ma anche di vivaci discussioni. Tutte vorrebbero partire, e la visita del medico presso il quale era stata accolta Havva riaccende speranze e rivalitá. Dopo aver vinto il Premio della Giuria a Venezia 2015 col suo secondo film, Abluka, con questo terzo film Emin Alper si muove dalla parte delle donne dando vita a un simpatico pamphlet, che é anche dramma, commedia e favola. Dall’accurata descrizione della dura vita nei casolari montagna spesso bloccati dalla neve al rispetto per gli anziani e ai sogni delle ragazze, il film é accattivante, e molto incisive risultano le tre interpretazioni femminili di Cemre Ebuzziya, Ece Yὕksel, Helin Kandemir.