Bari International Film Festival - 2014 - Pagina 2

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Bari International Film Festival - 2014
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grand hotel budapestFra i film visti nelle prime giornate della manifestazione il più interessante è stato Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel) dell’americano Wes Anderson. Un’opera fantasiosa e coloratissima che segue, in modo volutamente non lineare, la vita di Monsieur Gustave, un concierge che di fatto dirige l’albergo del titolo, collocato nell’immaginaria Zubrowka. Piacente e disponibile, in tutti i sensi, con le ricche clienti ad un certo momento prende sotto la sua protezione il giovanissimo Zero Moustafa, sfuggito a non meglio precisate guerre africane. Una delle clienti – amanti muore lasciandogli un quadro molto prezioso, donazione che gli eredi della defunta contestano in ogni modo, sino ad assoldare un sicario che tenta in più occasioni di recuperare il dipinto ed uccidere il legittimo proprietario. Questo causa un carosello di eventi, fughe, scontri armati, inseguimenti in cui Monsieur Gustave e il suo protetto patiscono prigione, corrono grandi rischi, subiscono aggressioni fisiche. Il panorama in cui tutto questo s’inscrive è quello di un mondo che alterna guerre e rivoluzioni, trionfi aristocratici e decadenza borghese. Una lunga storia raccontata da un mauro Moustafa, diventato padrone dell’albergo ormai in grande decadenza, ad uno scrittore incuriosito dalle vicende che hanno popolato le cronache dell’edificio e dei personaggi che vi hanno abitato. Il cineasta dedica il film a Stefan Zweig (1881 – 1942), noto scrittore austriaco le cui produzione letteraria rifulse, in modo particolare, tra gli anni Venti e Trenta. Il regista recupera vari elementi riferibili a quel periodo, ad esempio il quadro Egon Schiele (1890 – 1918) che il protagonista lascia al posto di quello ereditato e che il figlio della defunta distrugge in un impeto di rabbia. Ciò che conta in un’opera come questa non è la storia o i personaggi, quanto la fantasia distillata in immagini e formati cinematografici di diverse dimensioni. In poche parole un film da godere sino in fondo con gli occhi.
didi-papa-la-locandina-del-film-302914Decisamente più deludenti gli altri titoli visti nei primi giorni. Didi Papa del regista e produttore georgiano Irakli Kochlamazashvili disegna uno scenario popolato da personaggi devastati dai conflitti che hanno segnato il suo paese, minandone nel profondo paesaggio e caratteri. Un padre costretto in carrozzella vive solo in una casa piena di memorie del passato, appuntando, spesso al lune di candela, i ricordi della storia del paese di cui conserva anche alcuni cimeli. Tra questi una vecchia spada che suscita le brame di un trafficante, perfettamente inserito nella nuova situazione da cui trae profitti commerciando qualsiasi cosa sia vendibile. Il film, girato molto poveramente appartiene e a un genere percorso dal rimpianto, se non dell’era sovietica, almeno di un mondo ancestrale dominato dall’economia contadina, qui rappresentata dal vecchio che coltiva buon vino e la cui moglie alleva galline. E’ una posizione ideologicamente e politicamente dubbia, che potrebbe essere definita antimodernista di principio e che non tiene conto in alcun modo della realtà storica del passato e delle difficili condizioni imposte in quei tempi a migliaia di esseri umani. Fatta la tara di questi elementi dubbi, il film si lascia apprezzare per l’ingenuità con cui affronta caratteri e situazioni.
oniricaAssai diversa la posizione del polacco Lech Majewski che, in Onirica: Field of Dogs (Onirica: il campo dei cani) di produzione russo – georgiano – italiana, racconta, forse il verbo è eccessivo, la storia di Adam, impiegato di malavoglia in un supermercato, un tempo professore universitario e amante della letteratura, in particolare della Divina Commedia di Dante Alighieri (1265 – 1321), varie terzine della quale risuonano nel film. Il protagonista è sopravvissuto a un incidente, in cui hanno perso la vita la sua compagna e il migliore amico, e riesce a trovare conforto solo in un di sogno dove si abbandona alle visioni generate dalla sua ossessione per il testo dantesco. In realtà anche lui intraprende una certa ricerca della sua Beatrice, ma lo fa usando immagini oniriche, spesso di difficile comprensione. La forza del film, più che nel racconto, è nella precisone delle immagini che citano la pittura classica e quella romantica. In altre parole anche questa è un’opera da apprezzare con gli occhi più che (tentare) di decifrare con il cervello.
Su un binario completamente diverso si colloca Tutte contro lui (The Other Woman) una commedia hollywoodiana firmata da Nick Cassavetes. Moglie, amante e altra amante scoprono di aver in comune un belloccio traditore e imbroglione che le inganna e utilizza la compagna legale come copertura per loschi traffici. Le tre donne decidono di mettersi assieme per castigare il mariuolo che le sta imbrogliando. Ci riusciranno portandogli via il patrimonio mal ottenuto e altrettanto mal nascosto in una banca della Bahamas. E’ una commediola prevedibile dalla prima all’ultima sequenza, patinata quanto insulsa, spruzzata di battute pruriginose e di umorismo scatologico, come la sequenza in cui il malcapitato – avvelenato con un potente lassativo – si rifugia precipitosamente in bagno, ma non riesce ad evitare di insozzarsi pantaloni e mutande. In poche parole un film prevedibile e laccato su cui non vale la pena soffermarsi a lungo.