Bari International Film Festival - 2014

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Bari Intrenational Film Festival 2014

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1901401 631410866936111 1817730692 nIl festival di Bari è, cinematograficamente parlando, una manifestazione importante non solo per l’Italia meridionale, ma per l’intero pase. E’ un ottimo esempio di rassegna di film, molti dei quali in uscita, che alterna opere nuove a retrospettive seriamente costruite. E’ un tipo d’impostazione che, con qualche elemento in meno ad esempio a livello di pubblicazioni, si ricollega a quella che è stata una delle esperienze cardine del rapporto fra ricerca culturale e festival: la mostra nel Nuovo Cinema di Pesaro. Là come qui la presentazione delle opere si accompagna a discussioni e momenti di ricerca che mirano ad andare oltre la semplice passerella per cogliere i legami che collegano il cinema e il farlo alle realtà del momento e del paese. L’esempio migliore di questo atteggiamento lo si è avuto con la retrospettiva dedicata all’attore e sceneggiatore Gian Maria Volonté (1933 – 1994) di cui è stata presentata una rassegna molto ampia delle opere, comprese quelle presenze televisive. Un personaggio non facile e un militante intransigente morto sul lavoro (fu stroncato da un infarto mentre girava Lo sguardo di Ulisse per la regia di Theo Angelopoulos) che ha alternato buona parte della vita fra professione e l’impegno politico.

Di lui si ricorda, ad esempio, l’aiuto che diede, nel 1981, al regista turco Yilmaz Güney in fuga dal carcere del suo paese. La figura di questo straordinario cineasta engagé è stata ricordata e analizzata in incontri, tavole rotonde, testimonianze. Sul piano dei film ci si è mossi su due livelli: una ricca rassegna di film italiani, gran parte dei quali già distribuiti sull’intero mercato, e una serie di anteprime di opere di prossima programmazione. Fra queste ultime era particolarmente atteso Noah (Noè) dell’americano Darren Aronofsky (1969). Diciamo subito che l’aspettativa ha prodotto (quasi) un topolino, visto che il film raramente va oltre la superproduzione ricca di effetti speciali e di comparse. Quando esce da questi binari lo fa in modo decisamente maldestro, creando un personaggio (nella Bibbia non è molto ampio lo spazio dedicato alla storia dell’Arca e del Diluvio Universale, l'intera vicenda è contenuta nei capitoli dal 5 al 9 della Genesi) che combatte con il mondo e con la malvagità degli uomini valendosi di una serie di ingredienti e personaggi nati dalla fantasia del regista. locandinaTali sono i mostri in pietra e fuoco (gli angeli decaduti) che permettono al prescelto di costruire la grande Arca e popolarla con un coppia di ogni specie animale. Sullo stesso piano si collocano gli uomini malvagi e il loro capo che voglio profittare del manufatto per salvarsi dalla collera di Dio. Anche all’interno della famiglia dell’eletto non sono poche le figure inventate di sana pianta, ad iniziare dalla moglie del protagonista. Analogo discorso sia per le situazioni come il tentativo di uccisione dei gemelli del figlio, la cui esistenza contrasterebbe con la volontà del Creatore, o l’invenzione del vino che segna la decadenza di Noè sino a renderlo ebbro e allontanarlo dalla famiglia e dai giusti valori. Malignamente si potrebbe vedere in quest’ultima scelta un tentativo (maldestro, vista la condatta emessa da alcuni integralisti di quella parte scandalizzati alla sola idea che si possano rappresentare profeti e patriarchi) di consentire la circolazione del film anche in quei paesi mussulmani che condannano il consumo dell’alcol. In poche parole un prodotto fracassone, pieno di pseudo sentenze morali, pasticciato e quasi indigeribile.


grand hotel budapestFra i film visti nelle prime giornate della manifestazione il più interessante è stato Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel) dell’americano Wes Anderson. Un’opera fantasiosa e coloratissima che segue, in modo volutamente non lineare, la vita di Monsieur Gustave, un concierge che di fatto dirige l’albergo del titolo, collocato nell’immaginaria Zubrowka. Piacente e disponibile, in tutti i sensi, con le ricche clienti ad un certo momento prende sotto la sua protezione il giovanissimo Zero Moustafa, sfuggito a non meglio precisate guerre africane. Una delle clienti – amanti muore lasciandogli un quadro molto prezioso, donazione che gli eredi della defunta contestano in ogni modo, sino ad assoldare un sicario che tenta in più occasioni di recuperare il dipinto ed uccidere il legittimo proprietario. Questo causa un carosello di eventi, fughe, scontri armati, inseguimenti in cui Monsieur Gustave e il suo protetto patiscono prigione, corrono grandi rischi, subiscono aggressioni fisiche. Il panorama in cui tutto questo s’inscrive è quello di un mondo che alterna guerre e rivoluzioni, trionfi aristocratici e decadenza borghese. Una lunga storia raccontata da un mauro Moustafa, diventato padrone dell’albergo ormai in grande decadenza, ad uno scrittore incuriosito dalle vicende che hanno popolato le cronache dell’edificio e dei personaggi che vi hanno abitato. Il cineasta dedica il film a Stefan Zweig (1881 – 1942), noto scrittore austriaco le cui produzione letteraria rifulse, in modo particolare, tra gli anni Venti e Trenta. Il regista recupera vari elementi riferibili a quel periodo, ad esempio il quadro Egon Schiele (1890 – 1918) che il protagonista lascia al posto di quello ereditato e che il figlio della defunta distrugge in un impeto di rabbia. Ciò che conta in un’opera come questa non è la storia o i personaggi, quanto la fantasia distillata in immagini e formati cinematografici di diverse dimensioni. In poche parole un film da godere sino in fondo con gli occhi.
didi-papa-la-locandina-del-film-302914Decisamente più deludenti gli altri titoli visti nei primi giorni. Didi Papa del regista e produttore georgiano Irakli Kochlamazashvili disegna uno scenario popolato da personaggi devastati dai conflitti che hanno segnato il suo paese, minandone nel profondo paesaggio e caratteri. Un padre costretto in carrozzella vive solo in una casa piena di memorie del passato, appuntando, spesso al lune di candela, i ricordi della storia del paese di cui conserva anche alcuni cimeli. Tra questi una vecchia spada che suscita le brame di un trafficante, perfettamente inserito nella nuova situazione da cui trae profitti commerciando qualsiasi cosa sia vendibile. Il film, girato molto poveramente appartiene e a un genere percorso dal rimpianto, se non dell’era sovietica, almeno di un mondo ancestrale dominato dall’economia contadina, qui rappresentata dal vecchio che coltiva buon vino e la cui moglie alleva galline. E’ una posizione ideologicamente e politicamente dubbia, che potrebbe essere definita antimodernista di principio e che non tiene conto in alcun modo della realtà storica del passato e delle difficili condizioni imposte in quei tempi a migliaia di esseri umani. Fatta la tara di questi elementi dubbi, il film si lascia apprezzare per l’ingenuità con cui affronta caratteri e situazioni.
oniricaAssai diversa la posizione del polacco Lech Majewski che, in Onirica: Field of Dogs (Onirica: il campo dei cani) di produzione russo – georgiano – italiana, racconta, forse il verbo è eccessivo, la storia di Adam, impiegato di malavoglia in un supermercato, un tempo professore universitario e amante della letteratura, in particolare della Divina Commedia di Dante Alighieri (1265 – 1321), varie terzine della quale risuonano nel film. Il protagonista è sopravvissuto a un incidente, in cui hanno perso la vita la sua compagna e il migliore amico, e riesce a trovare conforto solo in un di sogno dove si abbandona alle visioni generate dalla sua ossessione per il testo dantesco. In realtà anche lui intraprende una certa ricerca della sua Beatrice, ma lo fa usando immagini oniriche, spesso di difficile comprensione. La forza del film, più che nel racconto, è nella precisone delle immagini che citano la pittura classica e quella romantica. In altre parole anche questa è un’opera da apprezzare con gli occhi più che (tentare) di decifrare con il cervello.
Su un binario completamente diverso si colloca Tutte contro lui (The Other Woman) una commedia hollywoodiana firmata da Nick Cassavetes. Moglie, amante e altra amante scoprono di aver in comune un belloccio traditore e imbroglione che le inganna e utilizza la compagna legale come copertura per loschi traffici. Le tre donne decidono di mettersi assieme per castigare il mariuolo che le sta imbrogliando. Ci riusciranno portandogli via il patrimonio mal ottenuto e altrettanto mal nascosto in una banca della Bahamas. E’ una commediola prevedibile dalla prima all’ultima sequenza, patinata quanto insulsa, spruzzata di battute pruriginose e di umorismo scatologico, come la sequenza in cui il malcapitato – avvelenato con un potente lassativo – si rifugia precipitosamente in bagno, ma non riesce ad evitare di insozzarsi pantaloni e mutande. In poche parole un film prevedibile e laccato su cui non vale la pena soffermarsi a lungo.