23mo Festival di Trieste 2012 - Pagina 3

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23mo Festival di Trieste 2012
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Dom (La casa) della slovacca Zuzana Liova, all’esordio sul grande schermo, ha al centro il conflitto fra generazioni e, in modo particolare, le difficili relazioni fra un genitore all’antica e le donne della sua famiglia. Imrich, caporeparto in una fabbrica di acque minerali con alle spalle un padre maltrattato dal regime realsocialista, vuole cocciutamente portare a termine la casetta che si sta costruendo da oltre vent’anni fra lavori che assorbono tutti il suo tempo libero e continui ripensamenti architettonici. Vorrebbe che Eva, la figlia più giovane che frequenta ancora il liceo, facesse come lui. L ragazza, che è innamorata del professore d’inglese, la pensa diversamente. Per quanto riguarda Jana, la figlia maggiore, è rimasta incinta a diciotto anni, si è sposata con un giovane che suo padre considera un poco di buono e, da allora, i rapporti con la famiglia si sono interrotti. Il lavorio della moglie e una minaccia d’infarto, riallacceranno le relazioni del padre con le figlie e consentiranno a Eva di partire per l’amata Londra. Il film tratteggia con misura un quadro familiare in un interno senza troppo preoccuparsi di sondare l’orizzonte in cui queste vite s’inseriscono. Qualche rapido accenno fa capolino qua e là – gli operai sfaticati, il sogno d’arricchirsi aprendo un negozio, la situazione piccolo borghese dell’insegnate – ma sono solo tracce prive di sviluppo. Più note di colore che indizi sulla volontà di collocare la storia in una precisa cornice storica. Come dire un film piacevole e ben costruito per quanto riguarda le relazioni interpersonali, ma incerto nella sistemazione sociale.
altQualche dubbio ha lasciato The Loneliest Planet (Il pianeta solitario) dell’americana di origine russa Julia Loktev (1969). E’ un film con pochissimi dialoghi, lunghe scene di marcia nella natura in cui non capita quasi nulla di straordinario. Nica e Alex, due fidanzati in procinto si sposarsi, partono, assieme a una guida locale, per un’escursione fra le montagne del Caucaso. Tutto sembra procedere nella più classica normalità, sino a un incontro con alcuni montanari armati che minacciano i due gitanti. In un primissimo momento Alex si nasconde alle spalle della ragazza, ma subito dopo la copre con il suo corpo, sfidando la canna del mitra che li minaccia. E’ stato solo un attimo, ma è bastato per rompere l’armonia fra i due, un rapporto che sarà ricostruito solo qualche ora dopo, ma senza cancellare il passato. Quello di questa regista è un cinema molto moderno, lento ma capace di distillare forti emozioni. Il film gioca assai bene il rapporto fra gli imponenti scenari montani e le pulsioni dei personaggi che attraversano queste meraviglie della natura. E’ anche un’opera che verrebbe voglia definire da camera, nonostante gli ariosi scenari in cui è ambientata, questo giacché ciò che interessa alla regista sono le relazioni e i sentimenti che scorrono nel piccolo gruppo. Tensioni orchestrate anche su un elemento erotica non banale, ben sintetizzata dall’immagine d’apertura, quella di Nica che si lava nuda aiutata dal fidanzato che le versa addosso l’acqua prendendola da una brocca.altDubbi ancor maggiori ha suscitato Kret (La talpa), opera prima del polacco Rafael Lewandowski. Il tema al centro del film è uno dei più controversi e coinvolge il collaborazionismo con il potere realsocialista e le spie infiltrate dai servizi speciali nelle file del sindacato cattolico Solidarność: Un ex agente governativo afferma, testimoniando in uno dei tanti processi legati all’uccisione di sette minatori in lotta in una miniera della Slesia. Che uno degli eroi di quelle lotte in realtà era un infiltrato dei servizi di sicurezza. Oggi Zygmut, questo il suo nome, campicchia acquistando vestiti usati in Francia per rivenderli in patria. La notizia sconvolge Pawel, il figlio dello straccivendolo, sino al momento in cui, nello stesso processo, un alto funzionario dell’epoca scagiona completamente l’indiziato. Tutto sembra in ordine, ma il funzionario in pensione confessa al figlio di aver mentito in tribunale perché pagato dal padre. Ora vuole altri soldi, altrimenti renderà pubblico il fascicolo che inchioda l’ex – collaborazionista. Il giovane finge di accettare il baratto, ma, avuti in mano i documenti, uccide l’ex poliziotto. Il film affronta un tema attuale e complesso, ma lo fa lasciando almeno un paio di dubbi. Il primo riguarda il clima dell’epoca in cui, a dire del regista non appare facile separare repressori da repressi. Il secondo dubbio concerne la legittimazione della giustizia privata, laddove quella pubblica non arrivi a colpire chi si è macchiato di colpe orribili. Sono osservazioni morali e poco cinematografiche, per quanto riguarda queste ultime, invece, il film ha un andamento da opera di denuncia civile, ma pochi meriti sia dal punto di vista stilistico sia narrativo. E’ una produzione alla cui realizzazione hanno partecipato la televisione francese e quella polacca e la cosa si vede.
altIl ricco panorama delle sezioni collaterali conteneva anche Majki (Madri) del macedone Milčo Mančevski (1959) vincitore, nel 1994, del Leone D’Oro alla mostra di Venezia con Pred doždot (Prima della pioggia). Questo è il suo quarto film e, come buona parte degli altri, è costruito a episodi. Sono tre momenti ciascuno dei quali prende il nome dalla città in cui si svolge. Le prime due parti sono prevalentemente narrative, l’ultima ha toni semi - documentari. S’inizia con due bimbe che vanno alla polizia per denunciare un immaginario esibizionista, causano l’arresto e il maltrattamento di un giovane del tutto innocente e sono riportate a casa dalla madre di una di loro. Nel secondo capitolo una minuscola troupe televisiva va in campagna per realizzare un documentario sul vecchio mondo ma la spregiudicata intrusione del gruppetto in un villaggio semiabbandonato, in cui sono rimasti solo un vecchio e sua sorella che non si parlano da sedici anni, finisce col mettere in crisi proprio i nuovi venuti e sconvolgerne i rapporti interpersonali. L’ultima parte ha il taglio di un documentario e racconta le indagini e la scoperta di un supposto serial killer accusato di aver ucciso tre donne mature dopo averle violentate. A finire in prigione è il corrispondente di un giornale nazionale e la notizia fa il giro del mondo. Solo che, poche ore dopo l’arresto, l’indiziato si uccide in modo incoerente e misterioso nella cella in cui era rinchiuso. Il suo corpo, pieno di ecchimosi, è sottoposto ad autopsia e il responsabile della polizia è arrestato a sua volta, ma tutto questo non scalfisce la versione ufficiale. Le tre parti sono incatenate dall’idea che la realtà è ben diversa da ciò che c’è mostrato e che la linea che separa i buoni dai cattivi è assai più flebile di quanto si pensi. E’ un film complesso e molto ben costruito, che si guarda con attenzione, anche se non dice cose originalissime.