Festival di Istanbul 2005 - Pagina 2

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Festival di Istanbul 2005
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Rimarrebbe da dire della competizione internazionale, valutata da una giuria presieduta da Jane Campion e a cui ha partecipato anche Valentina Cervi. Tuttavia, della maggior parte dei tredici film in concorso, fra cui i due premi ufficiali (La femme de Gilles – La donna di Gilles – di Frédéric Fonteyne, Kohi Jikou – Café Lumière – di Hou Hsiao-hsien) e quello scelto dai giurati della critica (Innocence – Innocenza – di Lucile Hadzihalilovic), si è già parlato da Venezia e San Sebastian. Gli altri non hanno offerto motivi di grande interesse con le sole, timide, eccezioni di Lila dit ça (Lila ha detto), opera seconda del cameraman di Quentin Tarantino, il franco – libanese Ziad Doueiri, Scandal - Joseon namnyeo sangyeoljisa (Scandalo segreto) del sudcoreano Lee Jae-yong e In My Father's Den (Nella tana di mio padre) del neozelandese Brad McGann.
Il primo deriva da un libro di successo di Chimo e s’inserisce nel filone che il cinema francese dedica ai problemi dell’emigrazione di seconda generazione. L’ambiente è quello della periferia degradata di una grande città, un ghetto arabo in cui vive un ragazzo con ambizioni di scrittore e una giovane spregiudicata a parole, ma che ha tratto da rotocalchi e libri erotici le esperienze che dice di aver vissuto. È un panorama popolato da bande di giovinastri, intriso di una violenza sistematica che considera lo stupro di gruppo una risposta normale ad uno stato d’emarginazione. Il punto focale è la condizione d’estraneità sociale di questi giovani, il loro rinchiudersi in branchi che vivono tutto ciò che li circonda come un pericolo o una preda. Per questo quando il protagonista tenta di uscire dal cerchio, che lui stesso a contribuito a costruire, allacciando una relazione con una ragazza esterna al gruppo è aggredito e considerato un traditore. La donna stessa, del resto, tenta di evadere dalla prigione individuale in cui è rinchiusa, inventandosi un mondo di piacere e miserabile deboscia del tutto omologo alla qualità della comunicazione che la aggredisce e condiziona. Un buon film che non aggiunge molto a quanto già sappiamo, ma lo fa con grazia e lucidità.
Scandalo segreto è un curioso adattamento, in panni orientali, de Le relazioni pericolose (1782) di Pierre Choderlos de Laclos (1741 – 1803). Il Gioco terribile fra Madame de Merteuil e il suo ex-amante Valmont diventa, in questo film, un dramma in costume ambientato nella Corea del 18mo secolo. Al centro c'è la relazione che lega, in modo ambiguo e violento, la signora Cho al potente cugino Cho-won. A lui offre il proprio corpo in cambio della seduzione della giovane cortigiana sedicenne, amante di suo marito. Vi è un cambio sostanziale rispetto al testo di partenza: dal gioco del piacere fine a se stesso, a quello della vendetta che passa attraverso i talami. Il film è molto ben costruito, preciso nella costruzione, raffinato nelle immagini. Un piacevole esercizio di stile il cui fulcro, più che nell’originalità della storia sta nella raffinatezza del linguaggio.
Nella tana di mio padre è tratto da un libro, pubblicato nel 1972, dello scrittore neozelandese Maurice Gee (1931). L’aspetto esteriore è quello di un dramma psicologico – giudiziario che parte dal sospetto di pedofilia nei confronti di un famoso fotografo di guerra che ritorna, disgustato dalla molta violenza a cui ha assistito, al villaggio natale per sistemare l’eredità paterna. Qui incontra la sua vecchia fidanzata, ora madre con figlia. Sarà proprio l’amicizia con la ragazzina che, in realtà, è sua figlia naturale, a scatenare l’accusa di pedofilia e le violente reazioni dei concittadini. Il film lascia crescere un clima di suspense che funziona da liquido di contrasto per far emergere l’ipocrisia, il rancore, la chiusura culturale e morale che allignano nella piccola comunità. Ancora una volta un’opera non originale, ma accurata nella costruzione.