Festival Internazionale del Film di Istanbul 2006

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Festival Internazionale del Film di Istanbul 2006
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Le strade del cinema turco

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ImageIl Festival Internazionale del Film di Istanbul ha raggiunto le venticinque edizioni e, oltre alle celebrazioni di rito, ha annunciato una vera e propria rivoluzione delle strutture. Esce dalla scena, dopo ventiquattro anni, Hülya Uçansu, la gran signora che lo ha guidato, con intelligenza e mano ferma, facendolo crescere da piccola rassegna locale a grande manifestazione di prestigio internazionale. Al suo posto andrà Azize Tan, per anni sua assistente, e la cosa potrebbe far pensare ad un armonico cambio generazionale, sennonché una certa tensione e le note propensioni ai clamori divistici di Şakir Eczacibaşi, gran patron della manifestazione e presidente della Fondazione nel cui ambito la rassegna opera, fanno supporre un cambio di rotta in favore della ricerca di grandi star e una parallela riduzione di risorse e attenzione al versante culturale.

Già quest’anno la presenza di Catherine Deneuve, Isabelle Hupert, Gérard Depardieu e Alain Delon ha inciso pesantemente sulle disponibilità culturali della manifestazione. La scelta sembra, anche in questo caso, quella di favorire il clamore anche a scapito della promozione d’opere di grande valore culturale o di film importanti anche se non baciati dallo star-system. La parte più interessante della rassegna è stata, come gli anni precedenti, quella riservata al cinema turco ove è stato possibile cogliere le principali linee d’indirizzo di questa cinematografia. Una prima tendenza riguarda i film di genere che continuano ad essere uno dei cavalli di battaglia cui s’ispira la produzione di questo paese. Facciamo qualche esempio.

Beyza’nin Kadinlari (Anima in frantumi) di Mustafa Altioklar naviga dalle parti del thriller con variazioni orrorifiche e spiegazioni parapsicologiche. Il regista ricorre all’abusata categoria del possibile assassino dalla personalità multipla, in questo caso una donna che ha subito violenza in giovane età. Personaggi e situazioni non nuove, così com’è ampiamente prevedibile la sorpresa finale con il marito della supposta colpevole che si rivela essere il vero autore dei molti omicidi che costellano il percorso del film. E' un’opera banale, zeppa d’atmosfere notturne, zampilli di sangue, macelleria varia che non aggiunge nulla al cinema che già conosciamo, limitandosi a ripeterne alcuni clichè.

Con Dondurmam Gaymak (Io grido: gelati!), opera d’esordio del documentarista e regista televisivo Yüksel Akusu, e con Sinema Bīr Mucīzedir (Il cinema è come un miracolo) del veterano (classe 1920!) Memduh Ün e Tunç Başaran, ci spostiamo sul versante della commedia sentimentale. Il primo film racconta la tragicomica odissea di un venditore ambulante di gelati artigianali cui una banda di ragazzini ruba il carretto e saccheggia il gustoso carico. Disperazione del proprietario, che ha comprato il mezzo a rate, sospetti di una trama ordita dalla multinazionale del dolce prodotto e lieto fine grazie al terribile mal di pancia di cui cadono preda i monelli che si sono ingozzati di crema e cioccolato. Siamo dalle parti delle commedie popolari d’impianto semplice e spirito conciliatorio che segnano molte cinematografie mediterranee, ma è inutile cercarvi qualche guizzo di novità o, più semplicemente, elementi d’aggancio alla realtà del paese, come accadeva con la commedia italiana. In poche parole una farsetta paesana senza capo né coda.

Diverso il caso de Il cinema è come un miracolo avviato dall’anziano maestro del cinema turco, ma portato a termine da Tunç Başaran dopo la grave malattia che ha colpito l’anziano regista, rende omaggio, ad un tempo, alla magia del film e a Nuovo Cinema Paradiso (1989) di Giuseppe Tornatore. In una cittadina di provincia un ragazzino undicenne, cinofilo accanito, stringe amicizia con il proprietario del grande teatro della città, che sta attraversando una grave crisi. L’arrivo di una troupe, comprendente un famoso divo, che tenterà il rilancio del teatro, porta al settimo cielo il ragazzo e l’anziano esercente. La storia s’intreccia con le prime pulsioni amorose del giovane e con i mutamenti politici che segnano la città dopo le elezioni vinte da un non meglio precisato Partito Democratico. Nel film c’è molta cinefilia e molto amore per la settima arte, ma nulla di veramente originale, né sul piano tematico, né su quello stilistico.