Theo Angelopoulos: due volti di Marcello Mastroianni. - Pagina 2

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Theo Angelopoulos: due volti di Marcello Mastroianni.
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L'arte di piangere
Altri riconoscimenti sono andati a Trance della portoghese Teresa Villaverde (Premio Speciale della Giuria e miglior fotografia a Joâo Ribeiro e a Kunsten at graede i kor (L’arte di piangere) del danese Peter Schønau Fog premiato dalla giuria internazionale dei critici. Il film portoghese ha un andamento nettamente diviso in due parti. La prima sembra un’opera realistica sul tema, non nuovo, del traffico di donne da avviare alla prostituzione fra i paesi dell’ex blocco socialista e l’Europa occidentale, la seconda assume un tono totalmente fantastico e, stilisticamente rapsodico. La storia è quella di una giovane russa, poco più che ventenne, che abbandona San Pietroburgo per tentare la fortuna in Germania. Ovviamente finisce nelle mani di un trafficante che la vende ad una banda italiana. Rinchiusa in un bordello percorre l’intero Calvario tipico di questo genere e, purtroppo, anche della realtà. Violenza, botte, droga, tutto le è inflitto per piegarla alla routine della casa di tolleranza. Mezza morta è ceduta ad un ricco borghese che la regala al figlio minorato mentale violento. Uscirà da questo inferno dorato solo per finire nel girone, ancora più violento e degradato, del mercimonio dei poveri e dei maniaci in Portogallo. La prima parte del film funziona molto bene come grido di dolore e denuncia di un fenomeno sociale orribile. La seconda fa cambiare registro al film collocandolo su un universo da film dell’orrore costruito su basi da horror fantastico. In complesso un film sbilanciato, ma di ottimo livello.
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Il ragazzo sul cavallo al galoppo
L’arte di piangere appartiene, invece, al filone dei racconti nordici in cui una situazione familiare apparentemente normale si lacera sino a svelare il verminaio che si nasconde entro mura di casa ermeticamente chiuse. Siamo all’inizio degli anni settanta nello Jutland del sud, qui vive un lattaio con moglie e tre figli: uno da tempo fuori casa vive una sua vita autonoma, la figlia quindicenne e il figlio undicenne, invece, stanno ancora con i genitori. Tutto apparentemente nella norma tranne che per l’antagonismo viscerale fra il padre e un vicino droghiere, suo concorrente. Tuttavia basta scostare di poco le tende per scoprire che l’uomo ha l’abitudine di simulare cocenti crisi esistenziali per costringere la figlia a masturbarlo. La moglie sa tutto, ma non vuole vedere, mentre il figlio più giovane venera il padre e spinge la sorella ad andare a consolarlo anche quando sta cercando disperatamente di sottrarsi a quella pratica incestuosa. Il giovane non sospetta neppure che possa esistere un tale comportamento e, quando è messo sull’avviso dal fratello maggiore, non ci crede. Dovrà essere lui a subire violenza al posto della sorella, nel frattempo finita in una casa di cura, per comprendere la mostruosità di quanto sta accadendo. Il film non è originale nella scelta del tema, ma ha il pregio di essere girato con un freddo rigore che rende particolarmente drammatici i contorni di questo inferno familiare non confinato né in quelle terre né in quegli anni.
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Scimmie in inverno
Ci sono stati altri titoli interessanti, potremmo anzi dire che la qualità media della selezione è stata più che soddisfacente. Chlopiec na galopujacym koniu (Il ragazzo sul cavallo al Galoppo) del polacco Adam Guzinski racconta una bella storia, drammatica e realista, basata su una trama esile. Uno scrittore in crisi narrativa si è ritirato in campagna con moglie fotografa e figlioletto. I rapporti di coppia, già difficili, precipitano, quando si scopre che il bimbo ha bisogno di un’operazione chirurgica urgente. Mentre la donna rimane in campagna, padre e figlio raggiungono l’ospedale di Danzica. Il ragazzino vive la cosa come una vacanza, utile ad andare a vedere, per l’ennesima volta, un modellino di automobile che vorrebbe da tempo. Rimasto solo, il padre ha un incubo: sogna di ricevere una telefonata in cui gli si annuncia che l’operazione è andata male e il figlio è in coma. Quando si sveglia, va a comperare la macchinina e attende di conoscere l’esito dell’operazione, che è positivo. Anche la moglie, rimasta sola, ha modo di riflettere e capire che ha lasciato solo il marito in un momento in cui lui aveva bisogno di lei. Sono tre solitudini egoiste, con l’intellettuale che antepone la propria crisi ad ogni cosa, la moglie che non lo aiuta, entrambi che non capiscono la profondità del desiderio del bimbo, il quale non coglie la crisi economica ed esistenziale in cui si dibattono i genitori. Sordità che diventano consapevolezza davanti ad un dramma che potrebbe sfociare in tragedia. Il film è raffinato nella descrizione delle psicologie e magistralmente costruito in un pregevole bianco e nero che cita continuamente la bellezza delle fotografie scattate dalla donna. E’ un film molto calligrafico, ma profondo nella descrizione degli stati d’animo.
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Riparo
Maimuni prez zimata (Scimmie in inverno) della bulgara Milena Andonova racconta di tre donne, di epoche diverse, legate, qualche volta senza saperlo, da rapporti di parentela. La prima è una zingara costretta a scegliere fra prostituirsi o fare la spia per mantenere i tre figli avuti da un piccolo funzionario di partito che la costringerà anche a sposare un vecchio sciancato, con la tendenza a molestare le bambine. Quando l'anziano cerca di mettere le mani addosso alla figlia della gitana questa lo uccide e finisce in prigione. La maggiore delle ragazze riesce a laurearsi e, anche lei, deve scegliere fra compiacere il potere o andare a lavorare in provincia. Quando le si spalanca la possibilità di sposare un francese ed emigrare a Parigi, scopre di essere in cinta, frutto di un amorazzo occasionale. Partorisce e tenta di uccidere la figlia, abbandonandola al freddo vicino ad un cassonetto dell’immondizia. La bambina sopravvive senza sapere nulla della madre e sposa un nuovo ricco nella Bulgaria post comunista. La coppia desidera ardentemente un figlio, ma scopre che il marito ha problemi di debolezza di sperma. Quando, superata la crisi iniziale, i due si rimettono assieme e fanno appassionatamente l’amore, lei rimane incinta, ma il marito la riempie di botte credendo che lo abbia tradito con un altro. Nel pieno dello scontro fisico l’uomo è vittima di un infarto. Ora l’ultima delle donne – nipote della prima e figlia della seconda – è finalmente libera con il bimbo che ha sognato tutta la vita. Il film funziona assai bene sia come ritratto della storia del paese, dagli anni sessanta ai nostri giorni, sia come doloroso ritratto della condizione d’umiliazione e asservimento cui sono sottoposte le donne. Non vi è una grande invenzione stilistica, ma la piana esposizione di una storia il cui sviluppo patisce qualche intoppo nella ricerca, un po’ intellettualistica, di un andamento temporale rapsodico. In complesso un buon film, ma non un’opera eccezionale.
Riparo del regista italiano Marco Simon Piccioni affronta troppe cose senza riuscire a dominarle in modo sicuro. Due donne, legate da un rapporto omosessuale (una è la figlia della padrona del calzaturificio in cui la compagna lavora come operaia) al ritorno da una vacanza in Tunisia trovano, nel portabagagli dell’auto, un giovane che vuole emigrare in Italia. La padroncina decide - un po’ per buonismo, un po’ per compassione - di ospitarlo nella villetta in cui la coppia abita e procurargli un lavoro. La presenza dell’uomo, per giunta di ferree convinzioni maschiliste, mette in crisi il rapporto fra le due, suscita gelosie, apre conflitti di mentalità e scardina un rapporto che sembrava costruito su basi solide. Il film affronta molti temi: l’omosessualità femminile, il razzismo, la differenza di culture, il conformismo che si cela sotto la ricchezza del nord – ovest d’Italia, ma lo fa a scatti, senza una linea armonica nella narrazione e nello stile. Il bilancio non è migliorato da un gruppo d’attori che navigano fra il dilettantesco e l’incontrollato. Maria De Medeiros, in particolare, lasciata libera alle proprie caccole, bamboleggia in modo quasi insopportabile. Quasi incredibile il premio all’interpretazione assegnato alle due attrici dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici. Un film complessivamente non riuscito, nonostante la generosità dei temi affrontati.
Suzanne (Susanna) della francese Viviane Candas parla di età matura e d’amore. Il settantenne Franck, grecista di vaglia, perde la moglie e si vede crollare il mondo attorno. L’incontro con una sorta di vedova – bianca, aiuto panettiera proveniente da una famiglia d’origine greca, gli farà elaborare il lutto, riacquistare speranza e gustare nuovamente le gioie dell’amore. E’ un personaggio doloroso e maturo che ha come contraltare il quasi coetaneo Max, un ex avvocato donnaiolo impenitente e gaudente sfrenato. Il tema del film è nobile e la costruzione degna del miglior cinema francese di qualità. Un tipo di materiale che non brilla per eccessiva originalità, ma s’impone per sincerità degli intenti e per l'accuratezza della confezione.