Bari International Film Festival - 2017

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Bari International Film Festival 2017

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Il Festival Internazionale del Film di Bari è fra le maggiori manifestazioni cinematografiche d'Italia, soprattutto da quando è stato preso in mano da Felice Laudadio che è riuscito a equilibrare le esigenze di novità con quelle di una grande iniziativa cittadina rivolta, soprattutto, al pubblico locale. Il punto di forza di questa rassegna continua ad essere la sezione di film in uscita presentata nella straordinaria cornice del Teatro Petruzzelli. E' questo il settore in cui ci siamo addentrati e di cui ora riferiamo, quantomeno in base ai primi film presentati.

La tenerezzaL'esordio è stato molto promettente con l'ultimo film di Gianni Amelio che per La tenerezza ha tratto spunto, molto liberamente, dal libro La tentazione di essere felici (2015) di Lorenzo Marone. Volume e film hanno al centro l’anziano ex – avvocato, Cesare Annunziata, che, dopo la scomparsa della moglie avvenuta cinque anni prima, si è rinchiuso nel grande appartamento napoletano in cui ha vissuto sino ad allora e rifiuta di avere rapporti con il resto del mondo. Scambia qualche frase con una vicina di casa, non meno anziana di lui, e con l’amante – infermiera con cui intrattiene un rapporto fra il burbero e l’utilitaristico. Un giorno scopre che nell’appartamento che confina con il suo è andata a vivere una famiglia, dall’apparenza felice, in realtà travolta dall’instabilità mentale del marito che, dopo pochi mesi, uccide i figli e ferisce a morte la consorte. A questo punto l’anziano avvocato, che aveva quasi troncato i rapporti con figlia e figlio, adotta la moribonda come una seconda figlia, la veglia in ospedale, s’interessa del suo stato di salute, sfida medici e poliziotti per restarle vicino. La donna spira, ma l’intera tragedia è servita a far rivivere un rapporto vero con la figlia carnale che, nell’ultima immagine, prende per mano l’anziano genitore. È un film sulla solitudine più che sulla tenerezza e, soprattutto un testo dolente sulla vecchiaia e sul sentirsi scorrere fra le sita le ultime energie. Renato Carpentieri dà vita a questo personaggio con tutta l’esperienza che nasce da una luna vita artistica e raggiunge qui il punto più alto della sua arte. Intorno a lui una Napoli finalmente non folcloristica, ma degradata al punto giusto, una città densa di problemi e tragedie una delle quali è proprio quella di non prestare attenzione alla solitudine degli anziani e non tenere conto della rabbia che cova nelle loro menti per l’abbandono degli uomini e la marcia implacabile degli anni. In questo il finale risulta sin troppo consolatorio, ma è in piccolo difetto a fronte dell’importanza dei temi affrontati e la lucidità con cui sono descritti.

Tutto quello che vuoiAnche Tutto quello che vuoi, terza regia del pluripremiato sceneggiatore Francesco Bruni, ha al centro la figura di un anziano magistralmente resa dall’attore e regista Giuliano Montaldo. Giorgio è un poeta oltre la soglia degli ottantacinque anni, affetto da un principio di demenza senile per cui necessita di un’assistenza continua. La figlia individua in Alessandro, un ventiduenne di Trastevere ignorante e mascalzoncello, il badante che fa al caso. L’incontro tra i due e gli amici del ragazzo, non meno incolti e opportunisti, ha tutte le premesse per trasformarsi in scontro generazionale e culturale. Le cose esplodono quando i giovani credono di scoprire che durante la seconda guerra mondiale, un evento che loro non sanno neppure collocare negli anni, l’anziano ha nascosto assieme ad alcuni militari alleati un tesoro ai piedi di una croce di montagna. Quasi lo sequestrano e partono con lui alla ricerca del mitico bottino che si rivelerà una cassetta con dentro solo un paio divecchi scarponi militari. È l’ultima botta di vita per l’anziano poeta, quasi una sorta di addio ad un mondo di cui non rimangono più neppure le tracce. In questo il ruolo di Giuliano Montaldo dà consistenza e simbologia a una figura che rasenta sempre il patetico senza cadervi mai dentro. Il film si trasforma così in una sorta di apologo - scontro fra due generazioni e due mondi che non sembrano avere tratti in comune, ma che trovano nella cultura un possibile terreno d’incontro. La figura di questo vecchio poeta, di cui neppure i giovani universitari conoscono il nome, diventa così il simbolo di un mondo annientato dall’ignoranza, nonostante le nuove tecnologie, e dalla mancanza di memoria. Un testo malinconico e inquietante da assaporare con gusto e nostalgia.


Miss SloaneMiss Sloane (Miss Sloane – Giochi di potere) dell’inglese John Madden, un regista particolarmente prolifico che ha firmato dal 1982 ad oggi bel 25 regie fra film e telefilm, ha al centro la figura di una lobbista americana che, per far trionfare la causa per cui è stata ingaggiata – l’approvazione di una legge che mette qualche freno alla vendita delle armi – arriva sino a costruire un meccanismo che, lei ne è cosciente sin dall’inizio, la porterà in prigione, ma le consentirà anche di svelare le trame oscure e corruttive di cui sono complici senatori e fabbricanti di armi. È uno spaccato inquietante della politica americana che la regia smonta dall’interno riuscendo a disvelarne i meccanismi anche quando non appaiono lineari. Quello dei lobbisti è un mondo e una professione che hanno piena dignità nella politica americana, ove sono regolati da norme precise che, tuttavia, spesso sono ignorate. Il film non mette in discussione la legittimità di queste forze d’influenza i cui obiettivi sono quelli di rispondere alla loro clientela, indipendentemente dalla adesione o meno agli interessi di cui si fanno paladini. È una questione lontana dalle impostazioni tipiche della democrazia mediterranea, anche se non mancano neppure da noi gruppi di pressione che influenzano pesantemente le scelte parlamentari. Il film di questo regista ha il merito di svelare, come in un poliziesco, il marcio che c’è in Danimarca ma senza mettere in discussione la legittimità di queste pratiche e il loro peso sul travisamento, in qualsiasi direzione, della volontà popolare così come è emersa dalle urne. In altre parole un testo interessante perciò che svela, ma lacunoso per ciò che denuncia.

CodiceUnlocked VersioneWEBIl produttore e regista inglese Michael Apted ha alle spalle una lunga carriera sia nel cinema sia nella televisione. La sua ultima fatica, Unlocked – Codice Unlocked è un film d’azione travestito da storia spionistica. Una donna, agente della CIA ed esperta nella conduzione di interrogatori, riesce ad ottenere da un membro di una cellula terroristica informazioni su un prossimo attacco contro un obiettivo americano a Londra. A poco a poco la donna scopre di essere al centro di una complessa rete di giochi doppi e tripli in cui sono coinvolti altri agenti americani e inglesi. Con il suo operato ha fornito involontariamente informazioni che, anziché scoraggiare, agevoleranno l’esecuzione del piano criminoso. Inizia a questo punto una girandola di scontri, sparatorie e accadimenti vari degni più di un film d’azione che non di un racconto di spionaggio. Fra pugni, coltellate e sparatorie interminabili si consuma una vicenda debitamente fracassona che passa dagli Stati Uniti a Londra per concludersi sanguinosamente a Praga. È un testo rumoroso e improbabile che gioca le sue carte più sulle scene di conflitto e sugli inseguimenti d’auto che non sulla ricerca di un minimo di probabilità. Per chi ama questo genere è un’occasione di divertimento e un surplus d’adrenalina, ma non ha nulla a che vedere sia con la probabilità che con la psicologia dei personaggi.


una notte di 1000 oreDie Nacht Der 1000 Stunden (La notte di 1000 ore) del regista, produttore e sceneggiatore austriaco Virgil Widrich è un’opera in cui si mescolano intenti politici e fantastici. In un polveroso appartamento viennese si riuniscono i membri di una grande famiglia per decidere il passaggio dei poteri da una anziana capa a uno dei figli. Al momento di firmare l’atto formale, attorno al quale si sono scatenati gli strali di uno dei nipoti escluso dall’eredità, la donna muore. I presenti cadono subito preda di sentimenti contrastanti che vanno dal dolore alla rabbia per l’atto incompiuto. Le cose si complicano ulteriormente quando la morta risorge e con lei una lunga schiera di antenati la cui esistenza arriva sino all’epoca del Kaiser e di Hitler. Manca all’appello un solo capofamiglia la cui moglie, si dice, si sia uccisa. Dopo una lunga serie di colpi di scena scopriamo che la donna non si è uccisa, ma è stata ammazzata dal marito, un nazista convinto, che aveva voluto sopprimere la moglie ebrea per preservare la famiglia da quell’onta. E’ uno spettacolo molte teatrale, nel senso peggiore del termine con sequenze che si alternano dentro un unico appartamento che, alla fine, appare distrutto e pieno di cadaveri. Dovrebbe essere una metafora dolorosa delle colpe dalla ricca borghesia austriaca e delle sue responsabilità nei confronti del nazismo. Dovrebbe, ma raggiunge l’obiettivo solo parzialmente sia per il tono chiuso della narrazione, sia per un eccesso di simbolismo non sempre facilmente decifrabile.
gli insospettabili sospettiLe cronache del cinema sono piene di film entrati nella memoria grazie alla bravura degli interpreti. Poche volte, tuttavia, è capitato di assistere a storie tanto legate agli attori quanto in Going in Style (Insospettabili sospetti) in cui il quarantaduenne interprete, sceneggiatore e regista americano Zach Braff ha radunato tre mostri sacri del cinema anglosassone: Morgan Freeman, Michael Caine, Alan Arkin. Tre pensionati, ex operai di un’acciaieria che si è trasferita nel terzo mondo per ragioni di opportunità fiscale e di riduzione del costo del lavoro, si vedono precipitare quasi nella miseria quando scoprono che la società per la quale hanno lavorato anni e anni si è appropriata anche del loro fondo di quiescenza e lo ha fatto sulla base di norme che lo consentono. Minacciati di perdere la casa e non poter più aiutare figli e nipoti, decidono di rapinare la banca di cui sono clienti e che ha avuto sia l’incarico di sfrattarli sia quello di organizzare l’appropriazione del fondo pensioni. Aiutati da un vero rapinatore dal cuore d’oro, riescono nell’impresa e portano a casa un lauto bottino. In questo caso, tuttavia non c’è solo da ammirare la maestria della costruzione e gli incastri fra i vari momenti narrativi, quanto il riferimento a fatti socialmente rilevanti quali il progressivo impoverimento dei pensionati e dei lavoratori in seguito alla ricerca da parte di aziende e banche di un profitto sempre più sganciato da qualsiasi regola morale. In questo assume un significato determinante la sequenza in cui la piccola di colore si rifiuta di riconosce uno dei rapinatori. Sembra quasi un preannuncio di una solidarietà di classe che matura nel cuore dei più deboli prima che nella ragione. La stessa cosa si può dire della caricatura dell’agente dell’FBI, marmoreo nell’aspetto quanto ottuso nella mente. Oppure della solidarietà, da novelli Robin Hood, con cui gli attempati rapinatori distribuiscono il bottino agli altri poveri della loro cerchia, dalla cameriera della tavola calda agli ex- compagni di lavoro. In altre parole un film godibilissimo e ricco di significati di seconda lettura del tutto inusuali nel cinema americano di successo.