Festival di Setubal 2005 - Pagina 2

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Festival di Setubal 2005
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Ci sono stati anche latri titoli degni d’interesse. Duse jako kaviár (Anime sporche) del ceco Milan Cieslar si basa su tre storie di cui sono protagoniste due sorelle e un fratellastro che, in occasione del funerale del padre, misurano la miseria delle loro esistenze. Anche in questo caso tradimenti coniugali e solitudine segnano vite travolte da un paesaggio umano e sociale crudele e falso. Il film non ha grandi meriti di novità, ma affronta con onestà e professionalità un tema tutt’altro che banale.
Metallic Blues dell’israeliano Dan Verete - una coproduzione fra Canada, Germania e Israele - ha offerto una bella e piacevole sorpresa. Due commercianti d’auto usate entrano casualmente in possesso di una prestigiosa Limousine Lincoln Continental del 1985, una macchina valutata ben 50.000 euro sul mercato tedesco dell’antiquariato. Fiutando l’affare della vita la imbarcano per Amburgo e prendono l’aereo, sicuri che, pochi giorni dopo, ritorneranno a casa con le tasche piene di soldi. Le cose non vanno in questo modo: una serie di contrattempi, le leggi di un mercato che non conoscono e incidenti vari li costringeranno a ritornare a casa senza un euro e con un bel po’ di debiti da saldare. Sembrerebbe una commedia su due sempliciotti che sperano nella ricchezza facile e improvvisa, ma non è così. L’asse del film, infatti, si sposta sin dalla prime sequenze sulla memoria dell’olocausto, ben viva nei due israeliani, e rimossa o negata dai ricchi tedeschi. Il film è costruito solidamente e i due interpreti, Moshe Ivgy e Avi Kushnir, danno vita ad una coppia strepitosa che sa usare, con giusta misura, senso comico, sentimentale e politico.
Il festival ha da sempre un occhio di riguardo anche per il cinema indipendente americano. Quest’anno due titoli hanno raccolto le maggiori attenzioni. Swimmers (Nuotatori) di Doug Sadler racconta una bella storia che ha per protagonisti lavoratori comuni, poveri cristi che tentano di sopravvivere in condizioni molto difficili. Gli abitanti di un paesino del Maryland, che si affaccia sulla Baia di Chesapeake, vivono pescando ostriche e molluschi, alternando bevute alla difficile lotta per fa quadrare i bilanci familiari. Quando la figlia di uno di loro deve subire una costosa operazione per poter continuare a nuotare, esplode una tragedia, che si complica quando il padre, ubriaco più per disperazione che per scelta, finisce con la barca su una secca. E’ uno straordinario e realistico ritratto di vita di quell’America profonda che non ha nulla a che spartire con le luci delle grandi città o le meravigliose sorti del capitalismo trionfante. Gli interpreti riscono a far filtrare uno spirito di verità che, anche se rallentato da qualche compiacimento paesaggistico, illumina una vicenda dai tratti umanissimi.
Anche How the Garcia Girls Spent Their Summer (Come le ragazze Garcia hanno passato l’estate) dell’esordiente Georgina Riedel si rivolge ad una piccola comunità: quella messicano - americana che abita le zone di confine dell’Arizona, a poche miglia dal Messico. Qui si confrontano tre generazioni di donne della famiglia Garcia. Quando l’ottuagenaria Doña Genoveva – interpretata da uno dei miti del cinema latinoamericano: Lucy Gallardo, nella cui lunga carriera compare anche El angel exterminador (L’angelo sterminatore, 1962) di Luis Buñuel – decide di comprarsi una macchina e di farsi dare lezioni di guida da un coetaneo, famoso per la sensibilità verso il sesso debole, ad andare in crisi è la figlia Nora (Eliana H. Alexander), una divorziata di mezza età solita calmare le voglie sessuali ricorrendo ad un vibratore. Molto meno turbata appare la nipote Blanca (America Ferrera, la giovane lavoratrice inquieta di Real Women Have Curves, - Le donne vere hanno le curve, 2002 - di Patricia Cardoso), una prosperosa diciassettenne che sta iniziando a gustare i piaceri del sesso. Il film sviluppa questa commedia su un mondo che sembra andare all’inverso, in cui gli anziani si mostrano più anticonformisti delle persone di mezza età, perbeniste più per forza che per convinzione. Un panorama umano che svela uno dei tanti volti di un paese complesso al punto da risultare quasi inafferrabile.
Nel 2005 si celebrano i duecento anni dalla nascita di Hans Christian Andersen, autore, fra l’altro, di ben 150 racconti per l’infanzia. Il cinema danese gli ha reso, purtroppo, un brutto omaggio con Unge Andersen (Il giovane Andersen) di Rumle Hammerich, che ha firmato una miniserie televisiva in due parti che, lievemente ridotta, è diventata anche film per le sale. Come spesso capita in operazioni di questo tipo, la matrice originale sprizza da ogni fotogramma, inquinando e soffocando un discorso cinematograficamente ridotto a primi piani nevrotici e interni degradati.