Festival di Setubal 2005

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Festival di Setubal 2005
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I nordici in evidenza a Setubal

sito ufficiale: http://www.festroia.pt/
ImageIl Festival Internazionale del Cinema di Setubal ha compiuto ventuno anni, confermando la vocazione a punto d’incontro delle cinematografie di piccola produzione, meno di trenta titoli l’anno. E’ un’occasione di confronto che coinvolge, in modo particolare, i film dei paesi nordici, dell’Europa centrale e dell’America Latina.
Molte opere, ad iniziare da Lakposhtha hâm parvaz mikonand (Anche le tartarughe possono volare) dell’iraniano Bahman Ghobadi, vincitore del Delfino d’Oro, avevano già ottenuto riconoscimenti ad altre manifestazioni, in questo caso il Festival di San Sebastian del 2004. Fra gli altri titoli premiati vanno ricordati Wesele (Il matrimonio) del polacco Wojciech Smarzowski (menzione speciale della giuria Giovane al Festival di Locarno) e Khakestar-o-khak (Terra e ceneri) dell’afgano Atiq Rahimi, premiato al festival di Cannes del 2004.
Wesele racconta la ventina d’ore in cui si svolge la festa per le nozze della figlia di un ricco agricoltore con un prestante giovanotto, appassionato d’auto di lusso. Il prezzo che il bellimbusto reclama per accasarsi con la figlia del contadino sarà proprio una fiammante vettura sportiva. Per comprarla il padre della sposa si rivolge ad una banda di ladri di macchine, contraendo un debito il cui pagamento si trasformerà in un vero incubo. L’opera radiografa in modo, ironico e tragico, il volto amaro della nuova Polonia, un paese in cui la corsa alla ricchezza, di solito carpita con metodi illegali, distrugge sentimenti e relazioni interpersonali, anche quelle più forti e umanamente importanti.
Vari titoli interessanti sono venuti dai paesi nordici con una particolare evidenza per Hawaii, Oslo del norvegese Erik Poppe, un mosaico di quattro storie che s’incrociano in un finale venato di misticismo. Vi partecipano due fratelli d’origine polacca - un cleptomane e un rapinatore - un assistente sociale che tenta di recuperare il primo dei due, una coppia che festeggia con la nascita del primo figlio, salvo piombare nella disperazione quando i dottori annunciano che il bimbo è affetto da una malformazione cardiaca che lo ucciderà entro pochi giorni, una cantante che tenta il suicidio e una madre che ha abbandonato i figli ed ora tenta di recuperarne l’affetto. Tutte queste storie si uniscono e trovano una possibile soluzione con la morte dell’assistente sociale, una figura quasi messianica e che sembra addossarsi tutte le colpe del mondo. Il film è girato con grande abilità, mentre l’intreccio delle storie procede con il ritmo e il mistero indispensabili a mantenere un clima di suspense e a sorreggere il valore simbolico delle varie vicende. Strutture di questo tipo sono già state utilizzate con successo, si pensi a film come Traffic (2000) di Steven Soderbergh o Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson, ma in questo caso la leggerezza del tratto e la fluidità dello stile aggiungono un valore in più ad un’opera forte e intelligente.
Koirankynnen leikkaaja (Tagliaunghie per cani) del finlandese Markku Pölönen racconta una storia bella e drammatica. Il film completa idealmente l’affresco sulle condizioni della Finlandia, fra gli anni 40 e 50, avviato dal regista con Kuningasjätkä (Un’estate sul fiume, 1998). Questa volta la base narrativa è offerta da un racconto dello scrittore Veikko Huovinen in cui si narra l’odissea di un reduce della guerra con i sovietici reso semideficiente da una grave ferita alla testa. Il poveretto sopravvive facendo pesanti lavori manuali sino a che un suo capo gli commissiona, quasi per scherzo, il compito di andare in un lontano villaggio del nord per tagliare le unghie al suo cane. Il mutilato, orgoglioso del compito, inizia un lungo viaggio che lo porterà ad attraversare il paese. Detta così sembra una storia di buoni sentimenti, invece è un quadro impietoso delle condizioni dei lavoratori e dell’intero paese in un ventennio cruciale. Un altro dato di rilievo è l’uso straordinario del paesaggio, vero protagonista del film al pari dei bravissimi Peter Franzén e Ahti Kuoppala.
Dag och natt (Giorno e notte) del danese Simon Staho è ambientato in Svezia e racconta la decina d’ore che precedono il suicidio di un dirigente aziendale in crisi personale e professionale. Il film è girato alla maniera di Dieci (2002), d’Abbas Kiarostami, con il protagonista al volante di un’auto che trasporta, per brevi tratti, vari personaggi. Il giovane figlio, la moglie da cui sta divorziando, l’amante che disprezza, una vecchia fiamma, il collega di lavoro che scopre essere l’amante di sua moglie, una giovane prostituta, l’allenatore della squadra di calcio in cui gioca il figlio. E’ il quadro, rapido ed efficace, del dramma di un’esistenza punteggiata di tradimenti, perpetrati e subiti, vuota d’affetti, sostanzialmente disperata.