Cinema ungherese e calcio - Pagina 3

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Cinema ungherese e calcio
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István Ivicz lavora in una panetteria industriale. Il suo compito è consegnare pagnotte e sfilatini ai dettaglianti, un incarico poco più importante di quello di un fattorino. Nel fine settimana quest'ometto insignificante si trasforma, si rasa, mette una vera al dito, un berretto nuovo, i vestiti migliori e va in provincia ad arbitrare partite di serie C. La sua salute è tutt'altro che buona, ma non si fa visitare, temendo di essere allontanato da quell'incarico in cui riesce a realizzare le sue uniche ambizioni. Come arbitro è corretto, scrupoloso, inflessibile nel pretendere il rispetto delle regole. Un sabato è scelto per dirigere l'ultimo incontro della stagione, una partita particolarmente importante ai fini della promozione alla serie superiore. Come assistenti gli capitano due guardalinee, che sono il suo esatto contrario: Gadásci è un infaticabile dongiovanni che usa il ruolo sportivo per portarsi a letto ogni donna che gli capiti a tiro, Charlie è un disilluso, pronto a scendere a qualsiasi compromesso pur di ricavarne un vantaggio. Lo scontro fra i tre è subito violento: István non ammette che gli altri due gozzovigliano e arraffino tutto ciò che è loro offerto. Nel corso della partita, poi, Charlie parteggia apertamente per la squadra di casa. L'ira dei tifosi esplode quando l'arbitro annulla un gol e espelle un giocatore, la terna arbitrale è costretta a passare qualche tempo chiusa negli spogliatoi. Dopo questo infortunio sono ospiti di una bella pasticciera che offre loro un abbondante banchetto. István si sente finalmente sicuro e tranquillo, tanto da raccontare di come, durante la guerra, é riuscito a salvare dal lager di Auschwitz due piccoli ebrei. Forse è solo una storia inventata, ma per la prima volta egli è al centro del rispetto e della considerazione di tutti. Una volta uscito dall'accogliente casa, sordo alle occhiate invitanti della padrona, ha un ripensamento e torna sui suoi passi. Quando la bella gli viene ad aprire in abiti discinti, egli scorge alle sue spalle Gadásci, mezzo svestito. L'ultima crudele burla gliela gioca Charlie, nel freddo dell'alba gli legge il giornale sportivo, appena uscito, in cui si magnifica l'integrità e il coraggio dell'arbitro. Quando strappa di mano il foglio al collega, scopre che, a proposito della partita, ci sono solo le formazioni, i marcatori e un aggettivo sull'arbitraggio: buono. Sul treno le liti si riaccendono e Charlie scende all'improvviso, inseguito da István, che quasi rischia di morire d'infarto. E' accasciato ai piedi di un albero quando una mano si tende verso di lui, è Charlie. Nonostante tutto bisogna aspettare la primavera e la ripresa del campionato. Il film presenta, sotto i panni di una storia psicologica, un forte discorso morale. Il conflitto fra il "vivere i sogni" e l'adattarsi alla realtà, fa anch'esso parte di quel dibattito cui abbiamo accennato più sopra, uno dei momenti culturali importanti della storia ungherese di quegli anni. La fotografia costantemente sopra i personaggi, i toni prevalentemente notturni la quasi invisibilità delle azioni di gioco, la scenografia che spazia dalla decadenza degli spogliatoi al polveroso decoro della casa della pasticciera, il tono stesso della regia contribuiscono ad esaltare un discorso in cui la collocazione dell'individuo, nello spazio e nel tempo, rimane problema aperto. "Mérkozés" (La partita, 1981) di Ferenc Kósa è, invece, un film direttamente politico. Lo è sin dalla scelta della collocazione temporale e dei personaggi. Siamo nell'estate del 1956, fra il XX congresso del Partito Comunista dell'URSS, ove Chrušcëv ha svelato i crimini di Stalin, e l'ottobre - novembre che vedrà la rivolta di Budapest e i massacri perpetuati dai carri armati sovietici. In una cittadina di provincia la squadra di calcio della polizia gioca una partita decisiva per l'ammissione alla serie B. I padroni di casa perdono l'incontro e gli spettatori invadono il campo. L'arbitro si rifugia negli spogliatoi ove il locale questore lo ammazza di botte, fracassandogli la testa sul bordo di un water. Il delitto ha due testimoni: un giocatore - poliziotto e un giornalista, uscito da poco di prigione ove era stato rinchiuso per motivi politici. Quest'ultimo approfitta della confusione per impossessarsi del "corpo del reato" e nasconderlo in un luogo sicuro. Ritornato a casa scrive un articolo in cui si racconta come sono andati i fatti e lo consegna al giornale. Poche ore dopo è nuovamente arrestato, resiste ai poliziotti e uno di loro precipita dalla scale e muore. Il Questore minaccia di incriminarlo per omicidio se non accetterà di sostenere una versione ammaestrata dei fatti. Il funzionario di polizia, davanti al suo rifiuto, ordina all'agente - complice a fare pressioni sulla la moglie per convincerla a indurre il marito a più miti consigli. Visto inutile ogni tentativo anche in questa direzione, l'alto funzionario propone al prigioniero uno scambio: lui farà l'elogio funebre dell'agente senza fare alcun accenno alle circostanze in cui è morto e il cronista farà altrettanto a quelle dell'arbitro, avallando la tesi dell'uccisione da parte di un gruppo di teppisti rimasti sconosciuti.