Il mercato del cinema 2007

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Nel 2007 il mercato del cinema ha fatto registrare, nel primo circuito di sfruttamento, consistenti segni positivi. Nonostante la diminuzione nel numero dei titoli presentati (72 pellicole in meno, con una flessione vicina al 6 per cento) i biglietti venduti sono cresciuti di quasi il 12 e mezzo per cento (poco meno di 11 milioni e mezzo d’ingressi). Ancor più marcata la crescita degli incassi, che hanno superato i 617 milioni di euro, con un incremento andato oltre il 13 per cento (in valore assoluto l’aumento è stato di 7 milioni e 120 mila euro). Da notare che, per la prima volta in molti anni, questi dati non sono inquinati dalla deprecabile prassi di raccogliere le cifre includendovi un numero maggiore di schermi rispetto al periodo precedente: quest’anno l’aumento di locali considerati è stato di 3 unità in più rispetto al 2006, quindi un valore modesto. La circostanza non esime dal denunciare questa pessima metodologia che, se da un lato trova giustificazione nella necessità di Cinetel (unica fonte d’informazione disponibile dopo l’abdicazione della SIAE) di fornire cifre che coprano una quota sempre più ampia di mercato (al punto in cui siano, con 3.053 schermi in 487 città, si può tranquillamente affermare che quest’ente monitora l’intero mercato), dall’altro si basa sulla comparazione di dati, seppur di poco, disomogenei.

Nel 2007 il mercato del cinema ha fatto registrare, nel primo circuito di sfruttamento, consistenti segni positivi. Nonostante la diminuzione nel numero dei titoli presentati (72 pellicole in meno, con una flessione vicina al 6 per cento) i biglietti venduti sono cresciuti di quasi il 12 e mezzo per cento (poco meno di 11 milioni e mezzo d’ingressi). Ancor più marcata la crescita degli incassi, che hanno superato i 617 milioni di euro, con un incremento andato oltre il 13 per cento (in valore assoluto l’aumento è stato di 7 milioni e 120 mila euro). Da notare che, per la prima volta in molti anni, questi dati non sono inquinati dalla deprecabile prassi di raccogliere le cifre includendovi un numero maggiore di schermi rispetto al periodo precedente: quest’anno l’aumento di locali considerati è stato di 3 unità in più rispetto al 2006, quindi un valore modesto. La circostanza non esime dal denunciare questa pessima metodologia che, se da un lato trova giustificazione nella necessità di Cinetel (unica fonte d’informazione disponibile dopo l’abdicazione della SIAE) di fornire cifre che coprano una quota sempre più ampia di mercato (al punto in cui siano, con 3.053 schermi in 487 città, si può tranquillamente affermare che quest’ente monitora l’intero mercato), dall’altro si basa sulla comparazione di dati, seppur di poco, disomogenei.

Tutto bene, dunque?

Meglio valutare con una certa prudenza, una cautela che nasce da quella che è ormai diventata la caratteristica distintiva di un mercato iperconcentrato per titoli, locali e zone geografiche. Un addensamento che segna in modo consistente alcune zone (Roma, Milano, Firenze, Bologna e, con toni più sfumati, Torino e Napoli) e consegna alla desertificazione filmica il resto del paese. Una landa in cui emergono alcuni punti molto illuminati in cui operano, spesso nell’hinterland di grandi città, i multiplex collegati a grandi centri commerciali.

A questo proposito vale la pena ricordare una situazione, al limite dello scandalo, che coinvolge gli enti cinematografici pubblici. Da tempo a Genova la mano pubblica controlla un multiplex, il Porto Antico, che sforna, caso quasi unico nel settore, perdite colossali. Né potrebbe essere altrimenti visto che a pochi minuti di auto da questa cattedrale nel deserto c'è e fa buoni affari, un multiplex dell’UCI che offre gli stessi titoli, parcheggio gratuito e contorno di negozi, bar e ristoranti inesistenti nell’altro caso. All’inizio la presenza pubblica in questo esercizio era minoritaria, ma con il passare del tempo gli azionisti privati hanno ceduto le loro quote che la mano pubblica ha acquistato, anche se era chiaro, sin dall’ora, che ci si imbarcava in un’avventura rovinosa. Tanto rovinosa che, stando all’ultimo bilancio dell’Ente Cinema, buona parte del passivo di cui soffre quest’organismo nasce dal deficit del Multiplex Porto Antico. Ovvio che, a questo punto, risulti quanto mai difficile sbarazzarsi di un’attività cronicamente in perdita.

E’ una storia che ricorderà, a quanti hanno i capelli bianchi la cessione dell’ECI negli anni cinquanta. Anche allora lo stato cinematografaro, per dirla con Ernesto Rossi, perdeva sistematicamente, mentre i privati guadagnavano. Tuttavia, quelle stesse sale che producevano debiti, quando le gestiva la mano pubblica, ritornarono miracolosamente in utile non appena vendute ai privati.

Verrebbe da dire che gli anni passano, ma certe pessimi comportamenti rimangono uguali.

Ritorniamo al discorso sul mercato 2007 e riprendiamo il filo del discorso sulla concentrazione. E’ sin troppo evidente che qualsiasi attività che si basi su un numero limitato di prodotti e un ristretto campo di vendita rischia di ondeggiare fra risultati positivi ed esiti rovinosi. Basta che un pugno di titoli ottenga un buon successo perché il segno del mercato diventi positivo, anche in modo significativo, ma è sufficiente che, l’anno successivo, non vi siano prodotti di eguale richiamo per rovesciare il segno del bilancio. Del resto all’euforia della stagione scorsa è già subentrata una maggiore cautela con l’arrivo dei primi dati del nuovo anno: ai primi di febbraio i film programmati per la prima volta avevano fatto registrare una caduta degli incassi, rispetto l’anno precedente, di 682.960,39 euro, pari al 1,10 per cento, mentre i biglietti venduti erano diminuiti di 160.216,00 unità, con una flessione del 1,57 per cento. Una calo motivabile con la mancanza, in quest’inizio anno, di titoli capaci di attrarre ampie fasce di pubblico. Alcuni sperano nell’alone scandalistico che ha accompagnato l’uscita di Caos calmo di Antonello Grimaldi, ma sembrano auspici che poggiano su fragili basi.

In ogni caso, ciò che appare incontrovertibile è la fragilità di un consumo perennemente in balia degli umori di una fascia ristretta di pubblico, formato soprattutto da giovani e giovanissimi. Intendiamoci, l’intero settore dello spettacolo funziona in questa maniera, basti pensare alla frenesia dell’audience che percorre il mondo della televisione, ma questo non giustifica una caduta sociale e culturale che è sotto gli occhi di tutti. Trattare i film – i libri, gli spettacoli teatrali, le mostre – come un prodotto valutabile solo sulla base delle vendite, significa gettare via la parte più duratura e produttiva offerta da questo straordinario mezzo di creazione e comunicazione. Vuol dire, anche, trascurare incredibili possibilità economiche in grado di dare frutto nel tempo. Oggi i grandi titoli neorealisti continuano ad essere venduti in forme non cinematografiche (DVD) dimostrando le loro potenzialità anche economiche. C’è qualcuno disposto a scommettere sulla circolazione, fra vent’anni, di Natale in crociera o L’allenatore del pallone 2?

In un mercato di questo tipo i titoli di maggior successo assumono un ruolo economico particolarmente importante. Diciannove, fra i trenta film più visti, battevano, in qualche modo, bandiera a stelle e strisce, mentre solo undici appartenevano al campo nazionale. La prima cosa da notare è che questa trentina d’oro rappresenta solo il 3,4 per cento dei titoli in circolazione in questa parte del mercato, ma controlla quasi il 43,5 per cento degli spettatori e più della metà degli incassi complessivi del circuito. E’ un’altra prova dell’altissimo livello di concentrazione che caratterizza questo mercato.

Per quanto riguarda la distribuzione i dati sono ancor più sfavorevoli alla parte nazionale, con 19 prodotti di successo commerciati dagli americani e solo 11 da ditte italiane: sei dalla berlusconiana Medusa, tre dalla Filauro dei cinepanettoni e due dalla consociata RAI 01. Anche in questo caso risultano evidenti sia la concentrazione sia la debolezza strutturale del nostra cinema. Una fragilità messa in luce oltre ogni dubbio dalla ripartizione complessiva delle quote di mercato. In una stagione pur segnata da dati molto favorevoli, con un aumento di poco meno del 44 per cento nel numero dei biglietti venduti (oltre 10 milioni di tagliandi in più, in cifre assolute) e di quasi il 45 per cento sul versante degli incassi (quasi 60 milioni e mezzo di euro in più), la componente nazionale di mercato continua a restare inferiore ad un terzo, pur crescendo di quasi sette punti in termini d’incassi.

A dominare sono sempre i film hollywoodiani che crescono sia in termini d’ingressi che d’incassi, rimanendo costantemente attorno al 63 per cento dei valori complessivi di circuito.

Come dire che i miglioramenti, per quanto sensibili, non hanno intaccato i rapporti di forza sul terreno

Del resto sarebbe stato ben difficile che ciò accadesse, visto che questa è la situazione comune alla stragrande maggioranza dei paesi europei. La nostra situazione, anzi, appare, da questo punto di vista, fra le migliori.

Conviene trarre qualche conclusione, sottolineando, ancora una volta, la necessità di un intervento pubblico che riequilibri il mercato, difenda le produzioni europee, prima fra tutte quella nazionale, e vari misure vigorose a difesa del cinema di qualità, il solo in grado di competere realmente con lo strapotere di Hollywood e dei suoi satelliti.

Fare come l’Europa, non certo, come sognano alcuni politici miopi, come l’America.

 

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