In un’Inghilterra fuori dal tempo e dalla storia una famiglia di agricoltori poveri è costretta ad ospitare un impiegato governativo incaricato di verificare se da quelle parti ci siano della volpi, diventate il simbolo di una misteriosa minaccia che incombe sull’intero Regno Unito.
L’incaricato è giovanissimo, proviene da una sorta di ordine monastico allevato fuori da ogni contatto con il mondo reale ed è pervaso da un sacro fuoco che sconfina in una forma di vero e proprio fanatismo. Le minacce e le farneticazioni dell’ospite inducono il capo famiglia a credere che la morte del figlio infante, avvenuta poco tempo prima, sia dovuta all’azione della fantomatiche volpi che nessuno ha mai visto. Quando la follia del contadino supera il fanatismo del funzionario, facendogli credere quello che ha davanti è una volpe travestita da essere umano che sta insidiando sua moglie (in realtà il giovane ha tentato di sedurre la donna), la tragedia esplode in tutta la sua forza e il villico uccide il funzionario pubblico. La drammaturga inglese Dawn King ha scritto Foxfinder (Il trovavolpi) nel 2011 e il copione le ha fatto vincere un’importante concorso teatrale. Il punto di forza del testo è nell’indeterminatezza di tempi e pericoli, in modo che l’intera rappresentazione si trasforma in un monito, generale ma non generico, nei confronti di tutti gli estremismi e, soprattutto, su quelle forme di faziosità che il potere cavalca per raggiungere i suoi fini. La messa in scena, sorretta dalla versione italiana di Luca Viganò e diretta da Jacopo-Maria Bicocchi, sfrutta abilmente questa positiva ambiguità, consegnando allo spettatore un monito valido per qualsiasi caccia alle streghe. Un testo di grande interesse che riceve ulteriore forza e suggestione dall’interpretazione volutamente sottotono di Andrea Di Casa, Gisella Szanisziò, Noemi Esposito e Bruno Ricci.