Con questa recensione Roberta Balduzzi riprende a collaborare con il sito. Lo farà da Bruxelles, una città teatralmente molto vivace, ove risiede. La ringraziamo di cuore.
Jean Anouilh (1910-1987) scrive la sua versione dell’Antigone di Sofocle nel 1942, durante l’occupazione nazista della Francia sotto il governo di Vichy. Proprio in quel periodo, si sta iniziando a organizzare la Resistenza, di cui questa Antigone è un simbolo, rappresentando la ribellione, ma anche il pessimismo che grava sulla popolazione francese di allora. Questa visione disillusa dell’esistenza, caratteristica di tutta la produzione di questo drammaturgo, conduce a considerare vano ogni gesto, dal più estremo (quello di Antigone) al più reazionario (quello di Creonte). Il testo del drammaturgo francese ha dovuto attendere per due anni il visto della censura tedesca, prima di essere messo in scena, nel 1944; il pubblico di quella rappresentazione, diretta da André Barsarcq (1909-1973), era composto di francesi e tedeschi, che hanno riscontrato le relative posizioni nei due personaggi principali: i primi, com’è ovvio, nella giovane ribelle, i secondi in Creonte.
Come in innumerevoli altri casi, quindi, il mito greco si è reso qui protagonista di una rilettura moderna e la figura di Antigone è stata assunta come simbolo di opposizione a leggi giudicate ingiuste. Stéphan Hessel, combattente della Resistenza Francese durante la seconda guerra mondiale, ha pubblicato un libro intitolato Indignez-vous! (Indignatevi!): pare che proprio a lui si siano ispirati gli indignados ed è al movimento spagnolo che il regista di questa messinscena, Fabrice Gardin, ha fatto riferimento per calare nuovamente l’eroina sofoclea nell’attualità. Quest’Antigone di Jean Anouilh, portata in scena al Théâtre Royal des Galeries di Bruxelles dalla compagnia dello stesso teatro, esordisce, così, proprio con un filmato delle manifestazioni degli indignados. Al levarsi del sipario, si presenta agli spettatori un groviglio di tubi: sulla scena (di Ronald Beurms), la città di Tebe è rappresentata come un’enorme fabbrica, probabilmente uno stabilimento petrolchimico, emblema della ricchezza di cui Creonte è custode. Per difendere tale ricchezza, è necessario essere governanti implacabili. Nelle note di regia, Fabrice Gardin sottolinea come l’accozzaglia di tubature simboleggi anche la complessità nei rapporti tra i personaggi. L’Antigone di Jean Anouilh è fedele nella trama al testo sofocleo, da cui però si distanzia profondamente negli intenti. A parte Tiresia, i personaggi di Sofocle, sono, quindi, tutti presenti in questo autore, compreso il coro. Nella messinscena di Fabrice Gardin, il coro (Benoît Verhaert) è un fotoreporter o, meglio, un paparazzo, che descrive i personaggi (nel prologo) e ne riporta le vicende al popolo tebano e al pubblico. La protagonista (interpretata da Wendy Piette), molto lontana spiritualmente dalla sua omologa greca, è quasi sempre presente sulla scena, come vuole la tragedia di Jean Anouilh: nella prima parte dello spettacolo la piccola Antigone si fa coccolare dalla nutrice (Louise Rocco), si confronta con la più ponderata sorella Ismene (Manon Hanseeuw), svela all’innamorato Emone (Nicolas D’Oultremont) che il loro rapporto è destinato a restare senza un futuro. La tragedia si mette in moto quando Antigone viene scoperta dalle guardie nell’atto di seppellire il corpo del fratello Polinice, trasgredendo così all’ordine irrevocabile dello zio Creonte (Bernard Sens). Inizia così la seconda parte dello spettacolo, ambientata in un nascondiglio, dove vengono occultati compromettenti e ignobili avvenimenti; nonostante la sua trasgressione, Creonte cerca infatti di salvare la nipote, promettendole di non rivelare il suo atto ribelle, qualora lei desista. Il re si scontra, però, con un giovane animo acceso dal desiderio di giustizia, prima, e dalla consapevolezza dell’impossibilità di una vita felice, nell’ultima parte del duro confronto. Questa convinzione porta Antigone a scegliere la morte, che preferisce a una vita impoverita da compromessi. L’insicurezza di Antigone si manifesta solo in punto di morte: la giovane diventa fragile e mette per la prima volta in dubbio la propria decisione. Nel finale, la tragedia travolge Creonte, che perde anche il figlio Emone e la moglie Euridice, incapaci di sopportare un dolore smisurato. Il governante è però condannato a portare avanti il proprio lavoro sporco e ad attendere la morte. Quelli di Jean Anouilh sono personaggi ricchi di sfumature, che vengono bene delineate qui dalle scelte registiche e dalla recitazione degli attori: il Creonte di Bernard Sens è implacabile nel suo ruolo di regnante, ma, al contempo, capace di sentimenti di tenerezza nei confronti della nipote e di profonda angoscia di fronte a perdite di cui lui stesso è responsabile; Wendy Piette è un’Antigone combattiva, ma anche estremamente fragile, sia fisicamente, sia spiritualmente.