Muffa (Küf) è l’opera prima del turco Ali Aydin. Basri, un ferroviere cinquantacinquenne, che percorre ogni giorno chilometri e chilometri a piedi per controllare i binari e segnalare intoppi e frane, è un uomo solo ossessionato dall’idea di sapere cosa sia realmente capitato al figlio, studente universitario scomparso diciotto anni prima dopo essere stato arrestato con l’accusa di aver partecipato a manifestazioni antigovernative.
Di lui non si è saputo più nulla e la polizia continua a negare di avere notizie. Nonostante quest’atteggiamento renitente il padre invia, il quindici di ogni mese, un esposto chiedendo si faccia luce. I funzionari s’infastidiscono e lo trattano male, oltre a frapporgli ostacoli di ogni tipo. A dispetto di questo calvario alla fine riuscirà a recuperare le spoglie del ragazzo, questo avviene sia grazie al nuovo clima politico, sia per un fortuito ritrovamento di una fossa comune piena di resti umani. Parallela a questa c’è una storia, per nulla essenziale, che ha per protagonista un operaio ferroviario, ubriacone e puttaniere, solito deridere l’anziano davanti a tutti. Un giorno, mentre gira le spalle a un treno, finisce tagliato in due. Basri ha visto arrivare il convoglio ma è stato zitto rendendosi complice, in qualche modo, dell’incidente. Il film si muove sulle linee del nuovo cinema turco caro a Nuri Bilge Ceylan, usa ritmi lenti di racconto, immagini perfette, attori straordinari. E’ un testo vitale che tocca direttamente temi politici brucianti, forse in maniera sin troppo diretta. E’ un’opera cui prestare molta attenzione e che annuncia un regista di grande forza visiva.