Israel Horovitz debutta alla regia a settantacinque anni con la trasposizione cinematografica di una sua commedia di successo messa in scena nel 2002. Talento precoce, all'età di tredici anni ha scritto il suo primo romanzo che è stato respinto da Simon & Schuste, che poi divennero i suoi primi editori, ma con i complimenti per le sue meravigliose qualità di scrittore ancora acerbo. A diciassette anni ha scritto la sua prima commedia dal titolo The Comeback (1956) messa in scena dalla compagnia teatrale della Suffolk University, iniziando così la sua carriera come drammaturgo.
Da quel momento molteplici successi che lo hanno portato ad essere considerato uno dei più interessanti e prolifici autori d’oltreoceano con oltre settanta testi scritti molti dei quali tradotti e rappresentati in più di trenta lingue in tutto il mondo. Con The Indian Wants the Bronx (L'indiano vuole il Bronx, 1968), messo in scena nella off-Broadway all'Astor Place Theatre, ha aiutato la scoperta di due future stelle del cinema quali John Cazale e Al Pacino. La sua prima sceneggiatura per il grande schermo è stata Fragole e sangue (The Strawberry Statement, 1970) che era stata preceduta, nel 1969, dai dialoghi scritti per Gli intoccabili, diretto da Giuliano Montaldo con l’interpretazione di John Cassavetes, Peter Falk e Britt Ekland. La Francia è nel suo DNA tanto che divide il suo tempo tra gli Stati Uniti e Parigi, dove dirige spesso le produzioni in lingua francese delle sue opere. Da qui il suo interesse per l’incontro – scontro tra culture diverse, tra modi di vivere apparentemente antitetici ben rappresentato in My Old Lady (La mia vecchia signora), dove si contrappongono le atmosfere latine dell’ambientazione, come personaggio identificato nella figlia della Lady, con lo stress da newyorkese dello scrittore fallito a cui si aggiunge, con sensibilità, la figura dell’anziana signora inglese. Racconta di uno scrittore newyorkese, quasi sessantenne e squattrinato, che eredita dal padre prestigioso appartamento di ampia metratura a Parigi con una vista impagabile sul Jardin du Luxembourg. Arriva pieno di speranze e vorrebbe immediatamente vendere la proprietà per uscire dalla sua cronica indigenza, ma scopre che l’appartamento è occupato da Mathilde, una raffinata novantenne inglese, e da Chloé, l'iperprotettiva figlia sessantenne di lei, che hanno firmato un contratto di nuda proprietà che permette all’anziana di viverci lì fino alla morte e di ricevere duemilaquattrocento euro al mese dai nuovi proprietari della casa. Parigi, in questo caso, è la peggiore nemica del regista che non l’ha saputa descrivere utilizzandola unicamente come sfondo da cartolina, non cercando di trovare situazioni che la potessero fare diventare coprotagonista. Anche l’agente immobiliare, che vive in una house boat sulla Senna, sembra lì per caso e non riesce ad essere credibile. La sensazione è che, per rendere meno amaro il contenuto della vicenda, il regista abbia esagerato nel voler presentare ogni altra cosa in modo troppo tranquillizzante ed ovvio. La trama parrebbe offrire la struttura per una classica commedia hollywoodiana, ed in vari momenti lo è, soprattutto nell’inizio apparentemente leggero e scacciapensieri dotato di un buon ritmo. Tuttavia il tentativo del drammaturgo e cineasta di far convivere quest’anima per ottenere un po’ di successo al box office con una struttura più drammatica non funziona. Tre personaggi per una commedia teatrale che è rimasta tale, ed è difficile giudicare come lavoro cinematografico. Maggie Smith è bravissima, Kevin Kline è privo di freni ma tutto sommato positivo, Kristin Scott Thomas riesce a non farsi annientare dai suoi illustri colleghi.
