Un uomo misterioso siede ad un tavolino di un ristorante, sempre lo stesso posto notte e giorno. Alcuni clienti si avvicinano a lui nel corso della giornata e gli chiedono siano realizzati i loro desideri. Lui gli promette di soddisfarli a patto che facciano una certa cosa, sempre diversa e spesso al limite della legalità.
Se non ci riusciranno potranno rinunciare ma dovranno dire addio anche al desiderio. È il diavolo, una figura magica o Dio? Non lo sapremo mai e neppure alla fine, quando una cameriera prenderà il suo porto o l’affiancherà, il nodo sarà sciolto. Per The Place (è l'insegna del ristorente) Paolo Genovese ha preso spunto da una serie televisiva di successo, The Booth at The End (La cabina alla fine) di Christopher Kubasik, per confermare ancora una volta la sua attenzione per il cinema che si svolge in un’unità di luogo e con un taglio decisamente teatrale. I nove personaggi che si alternano in brevi sequenze troviamo alcuni echi stilistici in Perfetti sconosciuti (2016), altro suo film dominato dall’unità di luogo e dal taglio teatrale. Sono caratteristiche che solitamente suonano negative nel bilancio di un’opera filmica, ma che, in questo caso, diventano elemento di unità e precisione espressiva. Anzi, sono proprio questi dati a confermare ancora una volta la capacità di quest’autore a realizzare opere che si distaccano nettamente dalla mediocrità del cinema corrente. Merito anche di un cast composito, compatto e professionalmente avanzato quanto poche volte si era incontrato in una produzione di casa nostra. Interpreti che spesso hanno imboccato la strada della commedia, intesa in senso degenere, ma che qui offrono il meglio della loro arte.