Non da oggi il mondo della cultura ha scoperto i giallisti nordici: Henning Mankell (1948 – 2015), Jo Nesbø (1960), Stieg Larsson (1954 – 2004), la cui opera è stata portata avanti dopo la morte da David Lagercrantz (1962), sono i numi più noti, ma non i soli, di un vero e proprio settore della letteratura.
Del romanzo di successo del norvegese Jo Nesbø L’uomo di neve (Snømannen) si progettava da tempo di trarne un film che, inizialmente, avrebbe dovuto essere diretto da Martin Scorsese. Tramontata questa ipotesi sono stati presi in considerazione vari cineasti sino ad approdare allo svedese Tomas Alfredson, noto internazionalmente per aver diretto un film, La talpa (Tinker Tailor Soldier Spy), di spionaggio tratto dall'omonimo romanzo del 1974 di John le Carré. Il passaggio nella mani del cineasta nordico non ha aggiunto quasi nulla al testo, vi ha anzi tolto buona parte della complessità derivante da un racconto denso si false piste. In altre parole qui la ricerca dello sgualcito ispettore Harry Hole sulle piste di un assassino che uccide solo quando nevica ed è solito lasciare pupazzi di neve davanti alla casa delle vittime, ha un andamento lineare, mente sulla pagina segue un percorso assai più tortuoso. Questo toglie fascino al racconto che, malgrado la suggestiva bellezza dei paesaggi innevati, appare patta. La stessa cosa si può dire dei personaggi che, ad iniziare dal protagonista, appaiono strutturati banalmente. La loro dimensione psicologica è decisamente sproporzionata rispetto ai crimini che commettono e le ossessioni di cui sono preda sono del tutto immotivate. In altre parole un film professionalmente pregevole, ma non certo un modello di storia psicologicamente complessa.