Tom Cruise, da anni eterno ragazzino, con questo film sembra volere accettare di essere invecchiato e di vedere il suo futuro come uomo più maturo e non adolescente troppo cresciuto. Lo si capisce nel taglio narrativo della storia ambientata in vari anni, sempre raccontati attraverso filmati VHS in cui lui parla all’obbiettivo, con tanto di date che scorrono impresse sul videotape.
Questo diario che si sviluppa in un film con azioni, scontri tra buoni e cattivi – senza capire bene chi sia veramente tale – è basato su di un montaggio nervoso con stunt che ricostruiscono quella che è stata la vita di questo pilota anomalo che mentre lavorava per la TWA contrabbandava sigari cubani ed altro e che, senza fare troppe domande, accetta di lavorare in maniera clandestina per il Governo che ha un fascicolo su di lui che lo porterebbe dritto in prigione. Non solo, camaleonticamente lavora per il Governo ma anche coi trafficanti di droga e aiuta i guerriglieri nel rifornimento di armi, è testimone o protagonista di situazioni politicamente scorrette, è un uomo che vive sul filo del rasoio ma che, avendo acquistato grande conoscenza dei giochi sporchi statunitensi, ha una specie di salvacondotto che gli permette non solo di essere sempre libero, ma di arricchirsi. Questa favola per adulti in cui il male vince sul bene, dove avere le giuste amicizie consente l’immunità e in cui un malvivente può essere utile per eliminare trafficanti di droga, termina nella realtà il 19 febbraio 1986 a Baton Rouge (dove era anche nato) in Louisiana, assassinato per ordine dei fratelli Ochoa quando ha quasi 47 anni. La scelta registica fatta da Doug Liman – onesto artigiano che molto lavora per la televisione – è quella di far prevalere l’azione sui dialoghi, come in una Mission: Impossible dove sono cambiati i personaggi ma non il protagonista. Cruise offre generosamente le sue terga, fa lo scanzonato con attorno uomini come lui per cui ogni cosa è lecita purché la si faccia per le persone giuste. Non ancora completamente convincente, ottiene comunque ottimo riscontro da parte del pubblico che – a parte il terrificante flop de La mummia (The Mummy, 2017) di Alex Kurtzman – sembra perdonargli proprio tutto, grazie a quel volto da bravo ragazzo che tale rimane in qualsiasi situazione sia coinvolto. Barry Seal è buon pilota TWA che non disdegna di arrotondare lo stipendio facendo piccolo contrabbando. E’ un uomo brillante che vive con a fianco una moglie che non gli fa domande perché teme di conoscerne le risposte. La CIA gli fa intendere di avere un corposo dossier su di lui e per questo lui accetta di collaborare con il Governo in affari sempre più loschi per innescare rivoluzioni, aiutare amici, proteggere un certo mondo che è legato al traffico di cocaina. Corriere della droga ma anche informatore delle autorità, traditore e patriota, amante della famiglia ma non privo di un grande cinismo. Diventa uno dei più ricchi statunitensi negli anni Ottanta, mentre la moglie accetta ogni cosa continuando a non chiedere e coinvolgendo il fratello negli affari del marito che appare come abile manager a capo di una società aerea e imbattibile mago del import - export. La sua frase preferita è: ogni cosa e legale se lo fai per i buoni, ma non tutto andrà come sognava.