A quattro anni da La mossa del pinguino (2013), Claudio Amendola torna alla regia questa volta ritagliandosi una parte anche come interprete. Storia pensata e co-sceneggiata da Giancarlo De Cataldo - magistrato e scrittore - che al cinema ha donato titoli quali Paolo Borsellino (2004), Romanzo criminale e seguiti (2005, 2008, 2010), Suburra (2015) – che è stata letta da Amendola in maniera corretta ma non esaltante, con grande dedizione ma non sempre efficacia, con situazioni drammaticamente interessanti ma spesso troppo moraleggianti.
Vorrebbe essere un film duro – e in molte scene lo è – ma ogni volta cerca di creare un soluzione consolatrice per il pubblico. Così facendo, origina un alternarsi di tensioni che non aumenta la possibilità di coinvolgimento ma la stanchezza emotiva. Dispiace perché questo attore e regista dimostra una bella maturazione, conferma che il suo debutto dietro la macchina da presa – piacevole e ben riuscito – non era solo un episodio isolato. Ama i suoi personaggi, per certi versi li vorrebbe tutti vincenti ma sa che questo sarebbe poco credibile. Come è giusto, e convenzionale, il futuro arride ai più giovani, per gli altri due rimane un’esistenza troppo inficiata dal passato per potere essere cambiata. Vi sono alcuni errori nella realizzazione delle scene (non come l’orologio al polso del gladiatore in uno dei film sull’Antica Roma ma quasi) ma questo non può essere imputato al regista. Sicuramente il prossimo titolo sarà ancora meglio riuscito, ma anche questo merita di essere visto senza troppe recriminazioni. Quattro carcerati ottengono un permesso di 48 ore e ognuno ha le sue idee su come trascorrerle. L’ex pugile di strada vuole incontrare la moglie fatta prostituire da un delinquente senza scrupoli e liberarla dal giogo ma per ottenere questo deve combattere nuovamente. Il carcerato ultracinquantenne, in passato violento con molti morti sulla coscienza, torna a casa con la speranza di convincere il figlio a non divenire un delinquente come lui: il ragazzo ha fatto uno sgarro a un potente e il padre provvederà come sa. Un ragazzo, autista in un colpo non riuscito a un benzinaio, è l’unico ad essere stato arrestato ma non tradisce i complici: esce, gli propongono un altro colpo, lui accetta ma una situazione lo convincerà a desistere. Una ragazza della Roma bene, arrestata per avere trasportato 10 chili di droga, non vuole tornare in carcere; la madre cerca invano di convincerla, ma per lei, redenta, ci potrà essere un futuro. Luca Argentero carica molto il suo boxeur des rues, ma tutto sommato offre una buona prova. Claudio Amendola è incastrato nell’umanità del suo personaggio e non riesce nemmeno a fare immaginare il suo passato da cattivissimo. Giacomo Ferrara è molto convincente quale piccolo malvivente che non chiede altro che avere una vita normale. La bella Valentina Bellè – che la sceneggiatura fa spesso spogliare – è molto in parte nel ruolo di sbandata che ha bisogno di punti di riferimento. Molto ben scelti i cattivissimi Ivan Franek – macellatore e assassino divenuto vegetariano – e Antonino Iuorio – pappone della moglie di Argentero – che danno vita a due personaggi classici ed intensi.