L’inglese Ken Loach è un altro dei grandi vecchi che onorano il cinema contemporaneo. La sua ultima fatica Io, Daniel Blake è, se non la migliore, una delle sue opere più riuscite. Come di consueto il cineasta parte dalla realtà, quella di un falegname che ha subito un serio attacco di cuore e vorrebbe che gli fosse riconosciuta l’invalidità e la pensione a cui ha diritto.
Il panorama in cui s’inscrive questo piccolo, grande dramma è quello di Newcastle, una città del nord dell’Inghilterra in cui la crisi economica ha colpito duramente. Il confronto fra il cinquantanovenne ex – operaio e la burocrazia britannica ha del surreale, ma ricorda non poche situazioni italiane. L’incontro con una ragazza, madre nubile di due bimbi, disoccupata e al limite dell’indigenza, fa sì che queste due vite, travolte dalla crisi e da un erronea idea della povertà, si riflettano su una concezione del mondo che sprezza ogni solidarietà umana. Il protagonista esalerà l’ultimo respiro nel bagno di un ente statale poco prima che una commissione, burocratica e assurda, si pronunci definitivamente su suo caso. E’ un film molto bello, privo di qualsiasi sfruttamento dell’eccezionalità. Un’immersione lucida e dolorosa nel reale, quello che sta dietro gli orpelli e le bugie della pubblicità. In un momento in cui il vero fatica oltre ogni modo a farsi riconoscere, il realismo lineare e quasi sussurrato di questo cineasta ci riporta con i piedi per terra e ricorda come il capitalismo, nelle sue varie forme, grondi di non poco sangue. Veramente un lampo di verità in un’epoca in cui sembra abbiano cittadinanza solo i lustrini e le fumisterie legate all’accumulo continuo della ricchezza.