Good Kill (Bel colpo, frase con cui gli avieri americani commentano un bersaglio centrato) del neozelandese Andrew Niccol mette al centro del discorso i turbamenti e i sensi di colpa che affliggono i militari che manovrano i droni (aerei senza pilota) con cui l’aviazione uccide a distanza di migliaia di chilometri nemici veri o presunti degli Stati Uniti.
Operazioni che si vorrebbero essere segnate da una precisione chirurgica, ma che spesso lasciano sul terreno decine di civili. Al centro del film c’è Tommy Egan, un pilota militare che, dopo aver combattuto in Iraq e in Afghanistan è destinato ad una base nel Nevada, da dove, seduto su una poltrona e chiuso in un container con aria condizionata, uccide a distanza talebani e presunti terroristi. Il tema dei sensi di colpa in chi ammazza semplicemente guardando uno schermo televisivo e premendo un bottone è argomento di grande rilievo, peccato che in questo caso la regia lo releghi nel conflitto fra la correttezza di uccidere il nemico da un aereo in volo, quindi con qualche seppur minimo rischio, e la freddezza della manovra di un joystick. Un’alternativa decisamente artificiale per un film girato come una qualsiasi storia avventurosa, modestamente interpretato e sostanzialmente ipocrita. Rimane ed è positivo, lo sguardo su queste guerre a distanza capaci di uccidere centinaia di esseri umani senza fare distinzione fra buoni e cattivi, combattenti e civili. E’ uno dei temi di fondo dei conflitti moderni la cui mostruosità supera quella dei combattimenti tradizionali e fa impallidire persino azioni terribili come i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki.