Hungry Hearts di Saverio Costanzo ha lo stesso titolo di una canzone di Bruce Springsteen, ma fa riferimento al romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. E’ interamente ambientato a New York e dialogato, per la stragrande parte, in inglese. E’ la storia di una coppia italo (lei) americana (lui) che vive una situazione drammaticamente tesa quando la donna ha un figlio e vuole allevarlo secondo rigide regole vegane, anche a costo di comprometterne la salute.
Lei rifiuta ogni contatto con medici e nutrizionisti, convinta che il figlio sia una sorta di predestinato da mantenere puro ad ogni costo e che vi sia un futuro solo nella naturalità della vita. Coltiva verdure biologiche sul terrazzino, non dà al piccolo né carne né prosciutto, non vuole veder circolare in casa telefonini o altre diavolerie moderne, obbliga tutti a levarsi le scarpe e lavarsi le mani prima di toccare le cose di casa e, in particolare, il piccolo. E’ preda di una vera propria nevrosi che compromette il rapporto con il marito e induce la suocera a spararle onde sottrarre l’infante alla sua follia. E’ un film molto ben costruito su quello che si può definire un caso limite di scelta vegetariana, ma non innova molto nel repertorio cinematografico che già conosciamo né aggiunge forza alla filmografia di questo regista. Limiti che non hanno pesato sul giudizio della giuria dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia che ha assegnato ai due interpreti di quest’opera i premi per le migliori interpretazioni maschile e femminile. Quello andato a Alba Rohrwacher appare più che meritato, mentre il lauro per la prestazione di Adam Driver appare assegnato con un po’ troppa generosità.
