Aldo (Baglio), Giovanni (Storti), Giacomo (Poretti) hanno dato vita ad un trio cabarettistico che si è imposto, sin dalla metà degli anni ottanta del secolo scorso, come una delle formazioni comiche più interessati della scena leggera italiana. Il loro costruire figure stralunate e situazioni surreali ha dato vita a un tipo di spettacolo prima scarsamente frequentato nel nostro paese.
Hanno riscosso una fortuna quasi analoga in televisione, ove hanno proposto personaggi, si vedano quelli comparsi in Su la testa! di Paolo Rossi andato in onda per dieci puntate nel 1992 in seconda serata su Rai 3, del tutto nuovi per il polveroso palinsesto video. Al cinema la loro comicità ha perso quasi subito quel mordente stralunato che aveva fatto la fortuna delle esibizioni dal vivo e di quelle sul piccolo schermo. Una decadenza progressiva dovuta ad almeno un paio di fattori: il peso dell’aumentata lunghezza della narrazione, con la necessità di reggere storie più complesse, e il passare degli anni che ha gravemente intaccato la vis comica dei personaggi. Il ricco, il povero e il maggiordomo è l’ultima e più triste testimonianza di questa verve tramontata. Una storia banale, sfruttata dal cinema decine di volte (un ricco arrogante è costretto dall’avversa fortuna a vivere come un poveraccio), dovrebbe offrire lo spunto per situazioni originali e riflessioni non banali, invece le une e le altre s’inseriscono nel solco della commedia più prevedibile e ripetitiva. Neppure i personaggi collaterali, dall’infoiata Francesca Neri al prete nevrotico di Massimo Popolizio, vanno oltre le figurine male abbozzate laddove avrebbero potuto offrire materia per personaggi più corposi e significativi. Va meglio Giuliana Lojodice, nei panni ella madre di Aldo che ospita il ricco impoverito e i suoi amici occasionali, ma anche il suo personaggio supera appena di qualche millimetro la figura frettolosamente abbozzata.