Bernard Rose è un regista inglese non troppo originale, con preferenze verso il cinema horror e quello di pesante derivazione letteraria. Avvicinandosi alla figura del grande musicista Niccolò Paganini (1782 – 1840) ha sposato per intero l’ottica romantica che assegna all’artista il ruolo di creatore maledetto destinato a sorreggere le esibizioni della sua genialità con accompagnamento di orge, droghe, capricci vari. Tale è anche il comportamento del protagonista di questo Il violinista del Diavolo che sposa un’antica diceria secondo cui il genovese avrebbe pagato la sua genialità con la sottomissione al Maligno.
Anzi, avrebbe stipulato, novello Faust, un vero e proprio patto con il demonio che, in cambio dell’anima, gli avrebbe aperto le porte del successo. Un accordo che rischia di naufragare quando il musicista s’innamora – riamato – di una giovanissima aspirante cantante lirica. A questo punto sarà proprio il demone, in veste di impresario – assistente del musicista, a ordire una trappola in grado di far naufragare i candidi sentimenti dei due. Molti recensori hanno indicato le numerose incongruenze storiche e tecniche che punteggiano la storia, dalle lampadine elettrice (all’inizio dell’ottocento!) che fanno capolino in almeno un paio di sequenze sino alla pretesa di mettere in scena un concerto con tanto d’orchestra senza neppure uno straccio di prova. Tuttavia queste potrebbero anche essere lette come licenze poetiche. Il vero punto debole del film è l’approccio complessivo alla figura del musicista, visto come una sorta di star del rock di oggi. Certo di musica ce n’è tanta e di grande qualità, resa ancor più preziosa dall’esecuzione del virtuoso David Garrett, qui impegnato anche se con risultati decisamente modesti, come attore nel ruolo principale. Ottima musica, grande esecuzione, ottimi ingredienti per un concerto, ma materia insufficiente per un buon film.