In Tango libre (Tango libero, 2012) di Frédéric Fonteyne, un belga che lavora come molti altri suoi connazionali nel cinema parigino, è possibile rintraccire un riferimento ad uno dei filoni principi del cinema francese, quello del noir. Il film racconta una storia segnata da un piacevole retrogusto anarchico. Fernand e Dominic stanno scontando lunghe condanne per rapina a mano armata, crimine nel corso del quale è morta una guardia
Entrambi sono legati ad Alice, moglie separata di uno dei due, da cui ha avuto un figlio ora adolescente, e rimaritata con l’altro. Il trio trova un punto d’unione in Jean-Christophe, per tutti J-C, guardia carceraria della prigione e amante del tango che incontra la donna in una scuola di danza. Il ballo argentino diventa una sorta di filo rosso che lega i tre e contagia anche gli altri detenuti. E’ una sorta di sogno libertario che permette ai detenuti di superare idealmente i muri della prigione e al carceriere di vivere una vita che vada oltre l’esistenza solitaria in cui è immerso. Tutto questo approda a conflitti vari e al coinvolgimento dell’agente penitenziario che non può rifiutarsi di far evadere i due. Tuttavia, una volta liberi, lo imbarcheranno sull’automobile con sui stanno scappando verso nuove avventure. E’ un film piacevole, ironico, moralmente irregolare in cui il ballo diventa una sorta di via di fuga dalle costrizioni della vita e dalle regole della società. Potrebbe sembrare qualche cosa di simile ad un invito alla ribellione anarchica e, in parte è tale, ma ciò che più conta è lo sguardo che propone nei confronti di un mondo grigio e oppressivo. Le sequenze più riuscite sono quelle dei numeri di ballo fra le mura della prigione, sono brani degni di un musical pieno di gusto, ritmo e speranza.