La prima neve di Andrea Segre è il secondo lungometraggio firmato da questo regista, fedele a uno stile a mezzo fra il documentario e il film narrativo. Un cineasta sensibile al modo di fare cinema di Ermanno Olmi, poeticamente attratto dalle atmosfere dei luoghi alpini, affascinato dalla costruzione di psicologie complesse e straziate. Qui racconta una storia lieve e sofferta, imperniata su due personaggi: un immigrato africano e un orfano ombroso.
Dani e uno scultore in legno, sfuggito alle persecuzioni politiche del governo del Togo, passando per gli orrori della guerra libica sino all’arrivo sulle coste siciliane, ove ha perso la moglie morta nel dare alla luce la loro figlioletta. Un dolore da cui non si è mai ripreso, sino a covare un profondo senso di colpa per aver accettato che la donna lo seguisse in questa pericolosa avventura. Ora vive a Pergine, in Val di Mocheni tra le montagne del Trentino, in un appartamento messo a disposizione dalle autorità. E’ quasi del tutto incapace di accettare i doveri di un padre, ossessionato com’è dal viso della bimba che gli ricorda quello della madre. Michele è un undicenne che vive nello stesso borgo con la madre e il nonno paterno Pietro, apicoltore e falegname. Il padre del ragazzo è morto sotto una slavina e lui non perdona la madre per averlo mandato a cercare soccorsi, purtroppo giunti quando il genitore era già morto. Le esistenze del ragazzo e dell’adulto s’incrociano mentre l'inverno si avvicina e con esso quella neve che l’africano non ha mai visto. Una coppia che, all’inizio, ha pochi punti di contatto, ma che progressivamente si avvicina sino comprendersi e amarsi. E’ una storia delicata, guidata con mano ferma lungo un percorso lineare in cui non mancano i tratti prevedibili, ma che ha il merito di commuovere senza fare leva sulla facile retorica dei sentimenti.