Il cinema italiano ha messo in scena in più di un’occasione la mafia e i suoi protagonisti, l’originalità del film Salvo, opera prima di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza non è, dunque, tanto nel tema affrontato quanto nella scelta di isolarne un personaggio e scavare nella sua psicologia. In questo i due registi offrono continui riferimenti sia al cinema western, ad esempio a Duello al sole (Duel in the Sun, 1946) di King Vidor, o a quello gangsteristico, molti sono i rimandi, ad esempio, a Una pallottola per Roy (High Sierra, 1941) di Raoul Walsh (1887 – 1980), di cui lo stesso regista curò, nel 1949, un rifacimento in ambiente western: Gli amanti della città sepolta (Colorado Territory).
Il film ha vinto entrambi due premi alla Semaine de la Critique di Cannes 2013: il Grand Prix della Giuria e il Prix Révélation. Salvo è uno dei guardaspalle di un boss mafioso che salva da un agguato organizzato da un gruppo rivale. Scoperto il mandante del tentato omicidio, riceve l’incarico di ucciderlo, penetra nella sua casa e scopre che questi vive con una sorella cieca. La cosa lo turba non sino al punto di farlo desistere: uccide il malavitoso e rapisce la ragazza, ma dice al suo capo di aver ammazzato entrambi. La donna, che per il trauma ha riacquistato la vista, diventa la scintilla che mette in discussione la vita e i valori del criminale che s’innamora, ricambiato, della prigioniera. Il capo scopre ciò che è successo e gli ingiunge di uccidere la donna, altrimenti sarà lui ad essere ammazzato. Salvo libera la ragazza e affronta i delinquenti, uscendo gravemente ferito dalla sparatoria. Ora è la donna ad aiutarlo e a voler rimanere con lui sino alla fine. E’ un approccio quasi romantico che, tuttavia, non rinunzia ad elementi neri facendo risaltare la disperazione e l’amarezza di esistenze irrimediabilmente perdute.