Nel settembre 2008 la banca d’investimenti americana Merrill Lynch denunciò perdite miliardarie (in dollari) dando l’avvio a quella crisi che travolgerà progressivamente il mondo intero e che ancora continua. Alla base di questo disastro c’erano milioni di titoli subprime basati su prestiti concessi a debitori non in grado di accedere a tassi d’interesse di mercato. Proprio per questo si trattava di operazioni molto onerose per i debitori, ma altrettanto lucrative per i creditori. Tutto era nato dal boom dell’edilizia che aveva indotto una grande platea di americani a comprare a credito case il cui costo era lontano dalle loro possibilità. Quando i nodi vennero al pettine, chi aveva in mano titoli basati su quei prestiti si trovò a possedere carta straccia.
Margin Call (letteralmente richiesta d’integrazione della garanzia quando il suo valore scende al disotto di un certo indice) è l’opera prima di J. C. Chandor. Vi si racconta, vista dall’interno di una grande banca d’affari, la notte che precede il crollo del mercato e, in particolare, il tentativo, quasi del tutto riuscito, di sbarazzarsi dei titoli spazzatura che la società ha in portafoglio affibbiandoli ai clienti, innescando una valanga che finirà col travolgere milioni di risparmiatori e mettere in ginocchio l’intera economia mondiale. Il regista conosce bene questo mondo – suo padre ha lavorato per trent’anni proprio alla Merrill Lynch – e lo descrive con una proprietà di linguaggio e una precisione che gli hanno valso, nel 2012, la candidatura al premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Ciò che rende il film, che è girato quasi per intero in poche stanze, veramente straordinario è la tensione che la regia riesce a stabilire con dialoghi e azioni che maneggiano statistiche, grafici e ipotesi finanziarie, ma che, in la realtà, grondano più sangue di quello che scorre in un mattatoio, un mattatoio per esseri umani, ben inteso.