Peter Brosens e Jessica Woodworth sono noti per i loro documentari ma il successo di critica lo hanno ricevuto per i tre lungometraggi diretti e prodotti insieme: Khadak (insignito del Leone del Futuro a Venezia 2006), Altiplano (Settimana della critica a Cannes 2009) e La quinta stagione (La cinquième saison, in concorso al Festival di Venezia 2012). Sanno raccontare con bravura ma spesso i loro lavori ottengono riscontro soprattutto (a volte, soltanto) nell’ambito di prestigiosi Festival: forse perché sono intelligenti, bene realizzati ma non strizzano l’occhio al pubblico.
In Un re allo sbando, scritto da tempo e di cui sono anche coproduttori, hanno unito le anime del loro cinema realizzando un falso documentario su un falso Re del Belgio, il tutto con divertimento di hi il film lo ha fatto e di chi lo vede. Si ride, si vivono le emozioni di persone che iniziano a capire se stessi e tolgono le barriere verso gli altri, con leggerezza si dibatte sui problemi dei Balcani o sulla paura turca di non entrare nella Comunità Europea. Una storia on the road che non abbandona nemmeno per un momento l’interesse anche se non sempre tutti i personaggi hanno la stessa capacità di dialogare col pubblico. L’ingenuità di questa neo Armata Brancaleone è quanto di più spiazzante si possa immaginare: credono di avere raggiunto l’Italia e si stupiscono che le autorità si rivolgano a loro in albanese, finiscono in Serbia e hanno la pericolosa protezione di un violentissimo ex cecchino, giungono in Bulgaria travestiti da donne e rimettono in discussione la loro vita fatta di compromessi e di delusioni. E’ un bagno di grande umanità, dove anche i personaggi minori hanno qualcosa da insegnare, soprattutto la generosità disinteressata, il desiderio di essere utili al prossimo. Filippo del Belgio, figlio primogenito di re Alberto II, a cui è succeduto dopo l'abdicazione per motivi di salute, ha accettato con ironia questo suo alter ego un po’ fuori dal tempo e dalla realtà, fantoccio in mano d’altri che non può mai dire cosa pensa, che sogna di scrivere, finalmente, un discorso senza dovere sempre dire parole altrui. E’ vessato dalla Regina, è formalmente appoggiato dal Capo del Protocollo (che però teme le sue gaffe), è considerato un cliente dalla bella Capo Ufficio Stampa, riceve un po’ d’umanità solo dal suo valletto che lo considera una persona vera. La figura chiave della storia è un fantomatico regista britannico di documentari, bravo ma privo di successo, che trasforma un lavoro di routine – un video agiografico sul Re – in occasione per potere emergere, per ottenere qualche soddisfazione. I Valloni che si staccano dal Belgio mentre il Re è a Istanbul per una visita di Stato ai turchi preoccupati di non entrare in Europa, il tentativo di immediato rientro in Patria, le perturbazioni magnetiche che azzerano le comunicazioni aeree e la possibilità di utilizzare telefoni e radio. A questo punto, il cineasta al seguito diviene regista di un’improbabile fuga dalla Turchia sul bus di un altrettanto improbabile gruppo folkloristico bulgaro. Da questo momento, ne succedono di tutti i colori, con l’arrivo a Sofia dove l’Ambasciata è chiusa, spostamento in Serbia, avventura in Albania. Quando finalmente il mondo torna alla normalità, per i nostri eroi inizia una nuova, triste avventura. Una produzione realmente low cost (guardare per credere), un cast di ottimo valore con la palma del migliore allo stralunato Re di Peter Van den Begin.
