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Ninte ··· Ninte ··· Hot

Ninte ···

ImageIl teatro dialettale ha spesso causato un certo imbarazzo alla critica, che ha oscillato fra l’esaltazione di alcuni, pochi grandi autori – attori, tipici i casi di Gilberto Govi e Totò, e un malcelato disprezzo. Nella stragrande maggioranza dei casi ci si è limitati a considerarlo un’area buona, al massimo, per commedie ridanciane o rarissime perle drammatiche. Un atteggiamento superbo che ha dimenticato come anche quello di Eduardo De Filippo fosse, per buona parte, teatro dialettale e come lo stesso Luigi Pirandello degli inizi, si vedano le recensioni di un illustre e particolare critico quale Antonio Gramsci, era così classificato. Senza contare che, a ben vedere, potrebbero essere giudicati copioni in dialetto non pochi testi di Carlo Goldoni (1707 – 1793) o, per andare ancora più indietro, Angelo Beolco detto (Ruzante, 1496c.a.–1542).

Da qualche tempo le cose stanno cambiando e registi soliti praticare il teatro alto hanno iniziato a sporcarsi le mani con commedie in vernacolo. L’ultimo arrivato e Lorenzo Costa che ha esordito in questo campo con Ninte. E' un debutto di tutto rispetto sia per la direzione sia per il testo. Andiamo con ordine. La messa in scena, poverissima nella scenografia e nei mezzi tecnici, è stata impreziosita da due tocchi geniali: la prima scena, quella del ritorno dalla prigionia, rappresentata con le siluette dei due attori che siedono dietro un velatino su cui è proietto ciò che un viaggiatore vedrebbe dal finestrino di un treno. Un'altra bella trovata è la festa per il ritorno dei reduci, intravvista dietro un grande sipario semitrasparente. Per il resto il regista ha guidato gli attori nel modo migliore possibile, quello che fa sì che non si senta la sua mano sulla scena. Il testo di Bartolomeo Rotondo, in arte Angelo O. Freda, è altrettanto semplice. Siamo nel 1945 e due ex – internati ritornano a casa, un paesino nell’entroterra genovese, per scoprire che, durante la loro assenza, molte cose sono cambiate. C’è di mezzo, soprattutto, un fantolino la cui paternità rimbalza dall’uno alla figlia dell’altro e, soprattutto, un clima di trasformismo e una voglia di normalizzazione da cui, da lì a poco, nascerà la Repubblica in cui ancora viviamo. E' un testo semplice e senza grandi pretese, ma anche un quadro d’ambiente e di personalità tutt’altro che trascurabile.

valutazione: 1 23 4 5

Praduzione: Compagnia dialettale di Genova; testo: Bartolomeo Rottondo (Angelo O. Freda); regia: Lorenzo Costa; aiuto regista: Miro Gerbi; effetti audio e video: Marco Cacciamani, Gianriccardo Scheri; interpreti: Luis Frontini, Miro Gerbi, Moira Gerbi, Massimo Orsetti, Bianca Podestà, Antonio Poggi, Sabrina Ruiba, Riccardo Scafidi, Nicola Varese, Siria Frascatani.

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